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La Filosofia del diavolo in breve
Satanismo dialettico e svolta trinitaria

I. La negazione del Padre e del Figlio

Hoffmann dà al racconto il nome dell’antagonista, il gregario di satana Ignazio Denner, figlio del satanista Trabacchio, e non del protagonista, il cacciatore Andrea, per mettere immediatamente al centro il contesto teologico – in particolare la resistenza cristologica, sola efficace e nient'affatto dialettica, di Andrea – di cui è davvero questione nella novella. Non v'è alcuna “rimitizzazione” del racconto, alcun ritorno all'“oscurantismo cattolico” premoderno, come il marxista Franz Fühmann vorrebbe erroneamente dedurre dal rifiuto di Andrea del duello dialettico (duello che è: non la legittima difesa di sé e del suo signore, il dare la propria vita per..., ma la lotta hegeliana che costruisce l'identità di sé, del soggetto, nel dare la morte al signore, e a sé, dunque diabolicamente). Andrea fa all’inverso una sua propria lotta, una sua cristologica resistenza: rifiuta di contrapporsi dialetticamente ai signori nel duello proprio poiché respinge le false accuse suggerite dal tentatore, sola ed unica scaturigine (nel racconto e non solo) di ogni disgrazia. Denner tenta Andrea al Non serviam della sua stessa prospettiva ribelle, satanica, sacrificale in senso girardiano, ma Andrea non “abbocca”. Dire sì alla tentazione, accettare marxisticamente il duello (la mitologica resistenza al “signore” malvagio), significherebbe infatti satanizzarsi a propria volta (permettere entro se stessi “l'incarnazione del diavolo”, ossia l'unione ipostatica rovesciata, confermare il maritainiano «angelismo»). Di qui il risibile contraltare dialettico, da parte del critico marxista, che accusa Andrea di “troppa onestà”. I suoi signori-padroni (Vach e Dio) sono così tanto malvagi che non rispondere (in realtà cor-rispondere) a una tale malvagità fa di Andrea (nell'eccessiva onestà) un imbelle meritevole del male che lui stesso, sottraendosi alla contrapposizione, andrebbe così misteriosamente a originare (!). Poiché Andrea non vuole satanizzarsi, ossia divenire un “giusto” persecutore dei suoi signori, gli tocca subire il male che lui stesso, non facendo ad altri, farebbe a sé 1! L'enorme accecamento logico di una tale rilettura marxista, il suo rifiuto di venire a patti con l'attore diabolico in carne e ossa, risolto per intero in un gioco simbolico sempre solo perdente e sovrastrutturale, imprendibile (e nonostante Hoffmann non lesini in alcun modo nella sua rappresentazione, oltre a giustapporlo sistematicamente con la devozione cristiana del protagonista) ci appare come un qualcosa di inspiegabile e legato probabilmente al perdurare dell'incantamento ideo-reale, quell'essere festgezaubert di cui resterà vittima ad esempio Nataniele nel Sandmann (Hoffmann è sempre più avanti, come lui stesso già sapeva, dei suoi critici a venire). La “vera” partita infatti, comincerebbe per Fühmann solo a partire dal duello contro i signori, là dove invece, all’inverso, tutto è già deferito e compiuto in satana e nella sua soverchiante negatività (si entra nell'unione ipostatica rovesciata, è il trionfo del non-pensiero dell'«angelismo»). Non volendo “se stesso”, in favore di un'inazione bigotta e priva di coraggio, Andrea manifesterebbe la “volontà di rendere eterna la propria schiavitù”, generando dunque lui stesso (?) la spettralità e il male che lo travolgono (e che provengono invece dall'esterno, da delle creature che non avranno, infine, la meglio). È vero il contrario. Proprio volendo“si” nel duello Andrea si consegnerebbe all'unione ipostatica con satana, unione dai cui tentacoli, rimanendovi in larga parte invischiato, tenterà per l'intera novella di divincolarsi. L'interpretazione dialettica moderna non è, in effetti, che un tale gioco di prestigio, inserisce il male dove non è (nel signore tanto cattivo e nel servo troppo onesto) per toglierlo dal luogo in cui realmente è (satana e i suoi gregari, i satanisti Trabacchio e il figlio Ignazio Denner): derealizza una creatura reale (l'angelo caduto) nascondendola nella sua riduzione a “simbolo”, a rappresentazione di un male esclusivamente umano, nel mentre stesso in cui realizza il non-essere, ipostatizzando la «rappresentazione persecutoria» (la calunnia, la detractio resa reale e causa efficiente dell'azione) che fa dei signori dei signori malvagi, e di Andrea un servitore e un figlio “un po' meno” onesto, un ribelle dialetticamente “necessario”. Gioco satanico dunque. Poiché Satana esiste come creatura personale e impersonata, e non già come rappresentazione – la quale invece è l'arma, la menzogna ipostatizzata in persecuzione – con cui questi satanizza soggetto e signori, uomini, Dio e natura.

Curioso. Hegel infatti scrive: «Il male e il falso sono soltanto degli “universali” … non hanno affatto la malvagità del diavolo, e a prenderli per entità diaboliche si finisce col farne dei “soggetti” particolari» – ossia prenderli per ciò che sono, il diavolo e la sua opera. Sia mai. Corretto prenderli invece per ciò che non sono – un di meno di universalità incarnata (la “malessenza” dello spirito dialettico) e attribuirne la colpa all'uomo schiacciato e intrappolato nella soggettività sbagliata (l'unione ipostatica rovesciata)! Malvagio è l'uomo non abbastanza universale, non abbastanza ipostatizzato con l’angelo («angelismo»), cioè con satana. È il colpevole rifiutarsi di Andrea al processo dialettico, unica via al Bene dell'universalità incarnata, al farsi mondo della soggettività assoluta (invece eterna oscillazione tra Male e male minore). Al male viene così “tolta la persona” angelica (lucifero), aggiunta un'universalità che ne fa un soggetto senza nome, e (una tale sostanza ipostatizzata) attribuita ad ogni uomo come sua unica chance quanto alla riuscita (se non le resiste non “vince”), e provenienza quanto alla responsabilità (è colpa sua se fallisce perché non se la intesta)! Non è dunque – come vorrebbe darci a credere la scuola hegelo-marxista – una lotta tra “forze” simboliche (non sono “rapporti di forza” puramente umani, è sempre la stessa “forza”!) che fa perdere ad Andrea la signoria reale del rapporto, ma una lotta tra forze reali, tra creature, che non lo fa vincere (cioè perdere sempre) al modo illusorio (diabolico-dialettico) dei moderni.

La realtà onirico-dialettica: è Andrea che non vuole satanizzarsi, che non vuole (contro) “se stesso”! La realtà fattuale: è il diavolo (nelle persone di Denner e Trabacchio) che perseguita Andrea e i suoi per vincerli al male e introdurli nel «sistema del divorare e essere divorati», nella Trinità rovesciata in cui si accede attraverso il sacrificio umano e più esattamente per auto-cannibalismo: la moglie in fin di vita, nella prima parte del racconto, viene salvata facendole bere il sangue ritualizzato di un proprio ignoto fratello; nella seconda parte, ad Andrea ingiustamente condannato e carcerato per l'omicidio del signore, opera in realtà di Trabacchio, viene offerta similmente la salvezza, dallo stesso Trabacchio, nella “comunione” con il sangue del proprio figlio barbaramente trucidato. La prima tentazione andrà a buon fine (ne moriranno il “figlio” più piccolo, il “signor” conte di Vach e, più tardi, la moglie); la seconda invece, rifiutata da Andrea benché ormai prossimo al patibolo, aprirà lo spazio all'intervento della divina provvidenza – o meglio, non ne devierà più il corso come nella tornata precedente – che fermerà in extremis il braccio secolare e salverà il secondo figlio, più avanti, da un secondo ed ultimo tentativo diabolico di sacrificio.

Abbiamo in questo modo due Bildungen parallele o meglio, l'unica Bildung possibile e la sua infernale parodia – questa, avviata dallo Jasagen (acconsentire) alla tentazione diabolica, una vera e propria Anti-Bildung che sviluppa l'anti-climax discendente della macchinazione (il «decorso ideo-automatico del soggetto», come l'abbiamo chiamato altrove) e “spirato” dallo spirito maledetto dell'Avversario antico, l'«ingannatore» e l'anti-Cristo, la cui firma è inequivocabile (la “negazione del padre e del figlio”, dare la morte assoggettandosi a colui che ne è signore); infatti

 

Chi è l'ingannatore (il falsificatore) se non colui che nega che Gesù è il Cristo?

Questi è l'anticristo, colui che nega il padre e il figlio. 2

 

E quella, invece ascendente e corrispondente alla Bildung della resistenza cristologica di Andrea, attuata non senza difficoltà, ma con esito infine positivo, e “spirata” da quello Spirito Santo “che è signore e dà la vita” (Dominum et vivificantem) e “che procede dal Padre e dal Figlio” (qui ex Patre Filioque procedit). Dalla prima tornata abbiamo infatti, né potrebbe essere altrimenti, un “signore” ed un figlio trucidati, dalla seconda un padre e un figlio salvati. Trinità rovesciata e «sistema del divorare e essere divorati» nell'un caso e Trinità autentica nell'altro. Dare la vita e dare la morte. È questo frammezzo l'autentico campo di gioco del Denner, e non, come crede Fühmann, quello tutto interno alla dialettica hegeliana, e dunque interamente falsato, il cui signore non può dar altro che la morte e i cui sfidanti non possono esserne che controfigure e «doppi mostruosi». E così deve anche essere se la dialettica hegeliana, come dice Heidegger, «ist der Prozeß der Produktion der Subjektivität des absoluten Subjekts», è il processo di produzione della soggettività del soggetto assoluto e la sua “necessaria attività”, «und als solcher dessen “notwendiges Tun”» 3.

Dell'hegeliano “ciò che il servo compie è in realtà un'azione del signore” non abbiamo fatto altro che allargare, virgolettandolo, il campo d'oscillazione semantica del termine “signore” sì da intravedere in controluce, nella consueta dialettica in apparenza solo terrena e immanente, la contemporanea e ben più essenziale struttura trinitaria a essa sottesa e ad essa assolutamente necessaria, quella trascendente. Senza struttura trinitaria infatti, nessuna “dialettica” – e cioè il suo annientamento – è mai possibile. Senza un Padre, un Figlio e uno Spirito Santo da satanizzare (rovesciare) non avremmo alcuna dialettica servo-signore.

 

II. L’impossibile come scopo

Centrale all'avvio di tutto il «processo» è infatti l'idea di Dio, quella «rappresentazione persecutoria in virtù della quale soltanto satana regna» (Girard) onde il rapporto teologico che intratteniamo con noi stessi, con Dio e con la natura è completamente rovesciato e costretto a una mortifera dinamica inversa: l'imposizione dell'impossibile al possibile dell'heideggeriana Machenschaft, la macchinazione. È il dio della macchinazione, il deus che scaturisce propriamente ex machina.

Ciò pone la questione, sempre più vistosa e inaggirabile, circa il tipo di apprensione che l'uomo può avere di sé e del mondo – cioè attraverso quale tipo di mediazione si attua la sua conoscenza: se per “adesione” a un'idea, il puro Jasagen a una rappresentazione di “sé”, del “creato” e del “Creatore” (pensare peccando di «angelismo») o per discursus, la vera e propria conoscenza umana, che è raziocinativa ed è il lavoro del vero e proprio intelletto.

Ora, se il progetto qui rivelato è un progetto umanamente impossibile (divenire signori del proprio “signore”) la cui causa è una nascosta e inconfessata finalità metafisica (distruggere l'essenza trinitaria e il suo creato nel moderno “umanismo”), la sua opera non potrà essere che di puro rovesciamento, copertura e, insieme, temporeggiamento in attesa dell'inesorabile sconfitta: invertire dunque la rotta e la polarità della vita non certo per “rifarla” migliore ma solo per, sporcandola e deformandola, assicurare per qualche tempo ancora il dominio della signoria satanica (o dal lato umano, la schiavitù del peccato), dannandone allo stesso tempo i seguaci, gli “esecutori riluttanti” non meno dei più convinti seguaci.

Il dialettico divenire signori del proprio “signore” è così il «sistema del divorare e essere divorati» e più esattamente: divorare (uccidere) Dio e essere divorati dal diavolo. La sfida lanciata al “signore” (il duello hegeliano) ne è la regale porta d'ingresso.

Heidegger colse a suo modo questo carattere di sfida all'“essere” come l'elemento problematico dell'essenza del nichilismo e della tecnica moderna, la chiave di volta, cioè, della risoluzione dell'“essere” in niente. Secondo il filosofo tale elemento di “sfida” e “pro-vocazione” (das herausfordernde), che si raccoglierebbe nel cosiddetto Gestell – l'Imposizione, il porre provocante – costituisce l'essenza ancora impensata della “tecnica” moderna. Pur lontano dal nostro contesto teologico, Heidegger gli è purtuttavia abbastanza vicino da cogliere in un tale «im-porsi provocante» (das herausfordernde Stellen) la duplice impronta caprina: nasconde la verità e spinge in direzione inversa rispetto all'“essere”: «nasconde il disvelare come tale» (es verbirgt das Entbergen als solches), «maschera il risplendere e il vigere della verità» (verstellt das Scheinen und Walten der Wahrheit) e «spinge nel rapporto inverso e opposto a ciò che è» (drängt in den entgegengesetzt-gerichteten Bezug zu dem, was ist).

Non potendosi rovesciare Dio se ne rovescerà dunque, almeno, il creato, dirottandolo in direzione esattamente opposta rispetto al movimento dell'“essere” e ciò significa: sottoponendolo alla “cura” dialettica (la pura “processualità” negativa e violenta) che ne farà una seconda natura (zweite Natur), il regno – dice Hegel – della “libertà realizzata” e del “Diritto” («il mondo dello spirito prodotto muovendo dallo spirito stesso, come una seconda natura»).

Nascondere, dunque, e sottoporre a inversione il creato: ecco il compito della macchinazione, che si manifesta però, ha spiegato ancora Heidegger, non prima che l'“essere” sia stato abbandonato e l'essenza del nichilismo sia, dunque, già stata “rilasciata” e vigente: «L'essenza del nichilismo è l'abbandono dell'essere in quanto in tale abbandono l'essere si lascia andare nel fare e nel macchinare» (Das seinsgeschichtliche Wesen des Nihilismus ist die Seinsverlassenheit, sofern in ihr sich ereignet, daß das Sein sich in die Machenschaft losläßt). A questo punto è stato necessario ripristinare l'ambito teologico di trascendenza 4 – sottraendo l'“essere”, per così dire, agli artigli della dimensione immanente, indifferenziata, in definitiva pagana (la doppiezza) della soggettività moderna – e andare a rileggere l'enunciato heideggeriano nel modo seguente: «L'essenza del nichilismo è l'abbandono di Dio [tramite la tentazione] in quanto in tale abbandono l'ente si lascia andare nel fare e nel macchinare».

Ma se Heidegger nella suo cammino di pensiero non ha potuto (o voluto) venire a capo delle reali (teologiche) soggettività qui all'opera, ha comunque cólto l'essenza della macchinazione diabolica in modo ineccepibile. Essa è ciò che «organizza e mantiene nella sua signoria» (einrichtet und in der Herrschaft hält) una precisa «imposizione» (Zwang): quella con cui la «la volontà ha imposto l'impossibile, al possibile, come scopo» (corsivi nostri).

 

III. La strategia del divoratore di bambini (Kinderfresser)

E rieccoci al Denner. L'imposizione dell'impossibile al possibile come scopo è il produrre la vita dalla morte che si attuerebbe nel «processo» (in verità sacrificale) che alimenta ed è proprio della sola soggettività «dialettica» (in verità satanica) dove creato e creature sono approssimate al nulla – unicamente – di un tale “sé”.

Ma «il più non viene dal meno», diceva padre Reginald Garrigou-Lagrange, e la vita prodotta dalla morte non è che l'illusione (che sarà oggetto delle ironie di Benjamin sulla “filosofia del tragico”) promessaci dal Falsario antico nel suo prender dimora presso di noi, nel suo unirsi ipostaticamente a noi attraverso il nostro consenso al peccato. È la strategia del divoratore di bambini, il Kinderfresser così ben rappresentato da Hoffmann in questo racconto. Né dev'essere un caso, sebbene Hoffmann attribuisca spesso i suoi ruoli diabolici a personaggi italiani (come Coppelius nel Sandmann così anche qui Trabacchio è un medico stregone napoletano) che il Denner sia ambientato nella regione di Fulda, teatro storico di infanticidi rituali ebraici 5.

Ora però, si farebbe torto alla signoria satanica e al suo regista, cui i Vangeli «conferiscono il titolo di Principe non alla leggera» 6, se si chiudessero gli occhi dinanzi alla sua capacità istitutrice, fondativa, “positiva”. Nel Denner Hoffman ci segnala come il banchetto satanico, la profferta diabolica del pasto auto-cannibalico (il «cannibalismo rituale» di “sé”) produca “benefici”, benché apparenti e tutti interni alla processualità dell'essenza anti-trinitaria, a loro modo “guaritivi”, aumentando la longevità delle vittime (Giorgina risanata, Trabacchio che non invecchia 7). Più in generale, lo ha spiegato per primo Girard, sul meccanismo satanico sono fondate intere culture. Dunque il principio di un tale meccanismo non può essere solo un principio di decomposizione (se così fosse avrebbe estinto assai presto la sua sovranità terrena), ma altrettanto decisamente dev'essere un principio di composizione. Prima satana avvia una comunità alla disgregazione (provoca in essa la violenza indifferenziata del tutti contro tutti) poi, sul ciglio estremo, la riagguanta ricomponendola a spese di uno solo (la violenza “differente” e “buona” del tutti contro uno “cattivo”): mostro dapprima colpevole di ogni male e inimicizia il capro espiatorio è trasfigurato poi, dalla “violenza buona”, in divinità risanatrice e instauratrice della pax diaboli (principio enunciato apertamente da Caifa nel “processo” contro Gesù: « È meglio che un solo uomo muoia per il popolo e non perisca la nazione intera»). La vittima divinizzata è il pharmakon, cioè al tempo stesso il veleno che provocherebbe la rottura dell'unità comunitaria (falso, vero solo nel caso “didattico” di Cristo) e la cura (la sua ingiusta messa a morte che la ricompone, e che a partire da Cristo non riesce più): è qui ovunque all'opera l'idea di Dio – e non Dio – come rivelerà l'Incarnazione. È questa l'«illusione» su cui è basato il sistema, «la cui azione però è reale nella misura in cui questa falsa trascendenza riesce a farsi obbedire» 8. Proprio qui l'Incarnazione irromperà come una spada nell'opera dis-incarnatrice dei cicli storici dialettici della Trinità rovesciata, nel sistema del «sistema del divorare e essere divorati». L’avvio del ciclo anti-trinitario attraverso la rappresentazione persecutoria – accusare il “signore”, rovesciare il signore (satanismo dialettico propriamente hegeliano) – ha in letteratura anche una declinazione più specificamente teologica ed estetica – accusare Dio, redimere Dio – tipico della cosiddetta “filosofia della tragedia” (le interpretazioni del tragico, greco e non solo, date dalla filosofia estetica moderna e contemporanea).

Il problema è posto, in definitiva, nel modello stesso di soggettività adottato dal singolo uomo. Così su Andrea grava la medesima maledizione incombente, secondo Girard, sull'eroe del romanzo moderno: «La maledizione che grava sull'eroe non si distingue dalla sua soggettività», scrive il filosofo francese, «È lui che condanna se stesso. Perché la soggettività romanzesca odia a tal punto se stessa? [...] Bisogna che questa soggettività abbia prestato fede a una promessa fallace proveniente dall'esterno. Agli occhi di Dostoevskij questa fallace promessa è essenzialmente promessa di autonomia metafisica. Dietro tutte le dottrine occidentali che si susseguono da due o tre secoli vi è sempre il medesimo principio: Dio è morto, tocca all'uomo prenderne il posto. La tentazione dell'orgoglio è eterna ma diventa irresistibile nell'era moderna poiché è orchestrata e amplificata in maniera inaudita. La “buona novella” moderna è intesa da tutti. Quanto più profondamente si scolpisce nel nostro cuore, tanto più violento è il contrasto tra questa meravigliosa promessa e la brutale smentita che le infligge l'esperienza» 9. Oppure bisogna che la «fallace promessa» di «autonomia metafisica» giunga dall'interno di un cuore, per così dire, già “colonizzato” dal Nemico. Ed è il motivo per cui su Andrea una tale maledizione, pur andando in parte a segno, è infine neutralizzata e sventato per sempre il sacrificio del banchetto “tragico”. Perché egli sdegna fin dall'inizio la soggettività proffertagli dal tentatore con tutti quei luccichii («tutta questa gioielleria scintillante – frivola, falsa») tenendogli così sospettosamente chiuso il proprio cuore.

Il problema è l'auto-contraddittorietà del soggetto (che una volta entrato nel ciclo dei sacrifici dialettici deve continuamente auto-superarsi o auto-divorarsi) la quale vista, più a fuoco, si rivela proprio come il soggetto stesso dell'auto-contraddittorietà (la soggettività diabolica da cui a quel punto si dipende in un rapporto servile, appunto “servo-signore”).

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Note

1. La qual cosa però non è vera che all'interno del duello dialettico, ossia solo se Andrea si volesse satanizzato. In questo caso, come Hegel ebbe a pretendere nel suo commento al Wallenstein di Shiller, egli non scegliendo (non volendo dialetticamente “determinarsi” e optando invece per la pura, astratta universalità) “armerebbe” l'indeterminatezza contro di sé. Sarebbero l'“altro” cioè a scegliere per e contro di lui.

2. Τίς ἐστιν ὁ ψεύστης εἰ μὴ ὁ ἀρνούμενος ὅτι Ἰησοῦς οὐκ ἔστιν ὁ Χριστός; οὗτός ἐστιν ὁ ἀντίχριστος, ὁ ἀρνούμενος τὸν Πατέρα καὶ τὸν Υἱόν (Prima lettera di Giovanni 2,22). Menzogna e falsità vertono dunque in modo fondamentale sulla Trinità, cioè sul Dio autentico in quanto unione ipostatica di Dio stesso con la sua creatura più bella: l'uomo.

3. Martin Heidegger, Wegmarken, Klostermann, Frankfurt am Main 1976, p, 430, tr. it. Segnavia, Adelphi, Milano 2002, p. 378.

4. O meglio rivelarne la trascendenza innanzitutto nascosta e, una volta portata in vista, osservabile come invertita.

5. Scrive Ariel Toaff in Pasque di sangue: «Importanza particolare è stata attribuita all'infanticidio rituale plurimo di cui vennero accusati gli ebrei di Fulda in Franconia nel Natale del 1235. In base al resoconto che ci viene fornito negli Annali di Erfurt, in questo anno, il giorno 28 di dicembre, 34 ebrei di entrambi i sessi sono stati passati a fil di spada dai crociati, perché due di loro, nel santo giorno del Natale, hanno ucciso crudelmente i cinque figli di un mugnaio, che abitava fuori delle mura della città. (Gli ebrei) hanno raccolto il sangue delle vittime in sacche cerate e, dopo avere appiccato il fuoco alla casa, se ne sono andati per i fatti loro. Quando la verità è venuta alla luce e dopo che gli ebrei stessi hanno confessato la propria colpevolezza, hanno ricevuto la punizione che meritavano. Gli Annali di Marbach, riferendosi allo stesso avvenimento, spiegavano che gli ebrei avevano commesso l'orrendo misfatto “per servirsi del sangue come propria cura”. Sulla base di questa inusitata notazione, c'è chi ha individuato nei fatti di Fulda la nascita di un nuovo motivo, inteso a spiegare e caratterizzare i religiosi infanticidi: il cosiddetto “cannibalismo rituale”. Se fino ad allora gli ebrei erano stati accusati di crocifiggere cristiani, per lo più nei giorni della Pasqua, “in dispregio alla passione di Cristo”, senza che al sangue delle vittime fosse attribuito un particolare significato, a partire da Fulda nel 1235 il sangue, presumibilmente consumato dagli ebrei con scopi rituali, magici o curativi, avrebbe assunto un peso determinante e pressoché esclusivo. Il mito della crocifissione degli infanti cristiani sarebbe nato dalla fertile immaginazione di Tommaso di Monmouth, a seguito del delitto che aveva avuto come vittima il piccolo William di Norwich nel 1144. Il mito del cannibalismo rituale avrebbe invece tratto origine dai fatti di Fulda nel 1235, tendenziosamente interpretati in questo senso dai circoli clericali che facevano capo a Corrado di Marburg, abate del monastero imperiale di Fulda. A sostegno di questa interpretazione, oggi largamente accettata, si sottolinea che appena un anno dopo l'imperatore Federico II istituiva una commissione d'inchiesta per verificare se effettivamente gli ebrei usassero cibarsi del sangue di bambini cristiani. A questa teoria possono muoversi alcune obiezioni, che non appaiono di scarso rilievo. Proprio nella motivazione addotta all'istituzione della commissione di Federico II, secondo gli Annali di Marbach, si dice esplicitamente che i suoi membri erano chiamati a indagare “se gli ebrei considerassero necessario il consumo di sangue cristiano nei giorni della Pasqua”. Ora sappiamo che il presunto infanticidio rituale di Fulda era avvenuto nei giorni di Natale e non a Pasqua, segno che l'imperatore tedesco, pur avendo presente quei fatti recenti, aveva in mente supposti omicidi rituali, occorsi in altre località della Germania e collocati temporalmente alla vigilia della Pasqua, quando l'uso rituale del sangue era supposto, se non accertato. Secondariamente, la precisazione che gli ebrei di Fulda avevano raccolto il sangue delle vittime “come propria cura” (ad suum remedium) non ne indica necessariamente un consumo per via orale e quindi una forma di cannibalismo rituale. Abbiamo visto infatti che, secondo i loro accusatori e talvolta nelle loro stesse confessioni, gli ebrei si servivano del sangue, ridotto in polvere, per rimarginare le ferite, come quella della circoncisione, per stagnare le emorragie di vario tipo e per spalmarlo sul corpo e sul viso con intenti esorcistici. Se queste considerazioni sono di qualche valore, allora la rilevanza specifica di Fulda come luogo di nascita del supposto cannibalismo rituale va certamente rivista, e ciò fermo restando il fatto che il consumo del sangue nelle celebrazioni della Pasqua diverrà in seguito un motivo sempre più ricorrente ed esplicito nelle accuse e nei processi. Era Tommaso da Cantimpré (1201-1272) a fornire la sua interpretazione teologica del significato da attribuire all'apprezzamento da parte degli ebrei del sangue cristiano come medicamento prodigioso e infallibile. Secondo il frate del monastero di Cantimpré, nei sobborghi di Cambray, gli ebrei erano eredi della maledizione che aveva colpito i loro progenitori, rei di avere crocifisso il Redentore. Il loro sangue era irrimediabilmente inquinato e fonte inestinguibile dei loro malanni e delle loro intollerabili sofferenze fisiche e morali. L'unica infallibile terapia a tali orrende e dolorose infermità era costituita dal sangue cristiano, che andava trasfuso nei loro corpi per risanarli. La conferma di questa ineccepibile verità Tommaso l'aveva trovata, come prevedibile, nelle zelanti confessioni di un dotto ebreo, di recente purificato dalle sacre acque del battesimo. Questi, da alcuni identificato con il celebre converso Nicholas Donin, responsabile del grande rogo del Talmud a Parigi nel 1242 e forse legato alle polemiche antiebraiche successive all'omicidio rituale di Fulda, gli avrebbe riferito che un sapiente ebreo, stimato da tutti per le sue doti profetiche, avrebbe aperto il suo animo in punto di morte per confermare che i tormenti patiti dagli ebrei, nel corpo e nell'anima, potevano trovare sicura guarigione soltanto grazie alla benefica assunzione di sangue cristiano. Liquido o in polvere, essiccato o in grumi, fresco o bollito, il sangue, liquido magico dal fascino ambiguo e misterioso, faceva sentire la propria presenza prepotente nelle storie dei sacrifici d'infanti, nelle cui pieghe si era celato, forse con minor successo di quanto si pensi, fino ad allora. Le accuse di omicidio rituale si moltiplicavano: a Pforzheim nel Baden nel 1261, a Bacharach nel 1283 e nello stesso anno a Magonza, a Troyes in Francia nel 1288. Si trattava in genere di infanticidi, di cui non erano specificate le modalità; talvolta ancora di crocifissioni, come nei casi di Northampton nel 1279 (apud Northamtonam die Crucis adoratae puer quidam a Judaeis crucifixus est), di Praga nel 1305 e forse anche in quello di Chinon in Turingia nel 1317. A vendere gli infanti agli ebrei perché potessero compiere i loro orrendi sacrifici erano in genere mendicanti, uomini e donne, che per ottenere qualche soldo non andavano tanto per il sottile, balie e nutrici senza scrupoli o genitori snaturati. Quando l'offerta sul mercato si rivelava insufficiente, gli ebrei erano costretti a darsi da fare direttamente per rapire i pargoli da crocifiggere, correndo in tal modo rischi non indifferenti. In genere, inchieste e processi si concludevano con la confessione e l'impietosa condanna di coloro che sempre e comunque erano considerati a priori i colpevoli. Spesso la giustizia era amministrata in modo molto sommario e allora massacri e roghi punivano l'intera comunità ebraica, come a Monaco nel 1285, quando quasi duecento ebrei erano bruciati vivi nella sinagoga, accusati da una vecchia pezzente di averla persuasa con il denaro a rapire un bambino per loro conto. [...] A Oberwesel sul Reno un ragazzo di nome Werner, anch'egli quattordicenne come Ludovico di Ravensburg, sarebbe stato torturato a morte dagli ebrei per tre giorni e poi gettato nelle acque del fiume. Il suo corpo avrebbe risalito la corrente in maniera stupenda fino a Bacharach e qui avrebbe preso a far miracoli, curando malati e sofferenti. La tradizione, raccolta da tardi agiografi, riferiva che “il buon Werner” era stato impiccato per i piedi dagli ebrei, intenzionati a fargli vomitare l'ostia, che aveva assunto in precedenza in chiesa, e in seguito gli sarebbero state aperte crudelmente le vene, perché il suo sangue ne fuoriuscisse e potesse essere raccolto. Insomma, si trattava di uno straordinario, e forse un po' troppo ridondante concentrato di accuse, intese a esaltare l'aureola di martirio del povero Werner: dalla crocifissione e dal cannibalismo rituale alla profanazione dell'ostia. E tuttavia già nel Cinquecento “il buon Werner” da vittima degli ebrei si era trasformato nel rubicondo santo patrono dei vignaioli nella regione che dalla Renania si estendeva al Giura e all'Alvernia. La stretta parentela tra sangue e vino, costante nei secoli, consentiva al santo martire di proteggere efficacemente il Cabernet e il Merlot dei solerti e zelanti coltivatori francesi e tedeschi. L'altro santo, Rodolfo di Berna, ucciso nel 1294, sarebbe stato torturato e decapitato nella cantina del palazzo di un ricco ebreo della città svizzera, chiamato Jöli, durante i giorni di Pasqua di quell'anno. Nei resoconti agiografici del primo Settecento si precisava che l'infante cristiano era stato crocifisso e il suo sangue prelevato dagli ebrei “intenzionati a praticare le loro dannate superstizioni”. Più specificamente la morte violenta di Corrado, uno scolaretto di Weissensee in Turingia, non lontano da Erfurt, avvenuta nel 1303 e attribuita agli ebrei, veniva messa in rapporto dai cronisti con la celebrazione di Pesach. Per osservare le norme pasquali prescritte dal culto, gli omicidi del giovane Corrado, che sarebbe divenuto un santo popolare nelle regioni della Germania centrale, lo avrebbero svenato per raccoglierne il prezioso sangue» (Ariel Toaff, Pasque di sangue. Ebrei d'Europa e omicidi rituali, Il Mulino, Bologna 2007, pp. 123-128).

6. René Girard, Vedo Satana cadere come la folgore, Adelphi Edizioni, Milano 2001, pp. 58-59.

7O anche, pensando al Signore degli anelli di Tolkien, a Frodo e a Gollum, ai quali il possesso dell'unico anello doveva conferire un'«innaturale lunga vita».

8. René Girard, Vedo Satana cadere come la folgore, p. 134. 

9. René Girard, Menzogna romantica e verità romanzesca, Bompiani, Milano 2002, cap. Gli uomini saranno dèi gli uni per gli altri, pp. 49-72.

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