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Il dialogo s’impegna sul piano della ricostruzione letteraria, con un gusto quasi settecentesco per i dettagli, compresi quelli biografici, le citazioni ad hoc dalle opere, in che modo compiere poi la connessione, lo spostamento dentro l’altra storia – quella della metafisica occidentale dopo la frattura diciamo così post-hegeliana? Qui sta il pregio maggiore del testo, che riguarda appunto la scelta di una strategia espositiva parimenti innovativa. Essa consiste nel ricostruire le figure delle opere di Hoffman, nel senso letterale di questo termine latino, traduzione del greco typos. Figura è ciò che significa sia sé che l’altro. E qui il dialogo costruisce una costellazione di figure che appunto significano sé nell’universo hoffmanniano, ma sono nello stesso tempo costellazione di altrettanti motivi ideali. I due interlocutori sono immobili ma questo non è un difetto, la costellazionè è mobile. Almeno in questo è platonica: mostra la relazione fra le idee, appunto come figure. Così il magnetizzatore, la personificazione dell’ideale, il platonismo di don Giovanni, l’alterità dell’io, il raddoppiamento ideale-automatico del mondo sono come proiettati su una scena. Per sua forma interna, il dialogo tende così al teatro – un grande teatro di idee.

 

(dalla prefazione di Barnaba Maj, La costellazione ‘figurale’ di E.T.A. Hoffmann)

Roberto Bigini, E.T.A Hoffmann. Divorare e essere divorati

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  • Anno di edizione:   2014

    In commercio da:   dicembre 2014​

    Pagine:   140, Brossura

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