- Giovanni Cavalcoli OP
- 1 gen 2024
- Tempo di lettura: 24 min

III
Come fare per essere perdonato?
Lutero invece sentiva supremamente un bisogno irrefrenabile di certezza [certitudo, termine della filosofia moderna, più esattamente cartesiano, afferente a un altro luogo del pensiero, appunto quello del Cogito, ndc] di essere perdonato, di essere gradito a Dio, di certezza di sapere che i suoi peccati erano perdonati, un bisogno di sentire la tenerezza di Dio, un desiderio certamente nobile e segno di un’anima religiosa; una prospettiva giusta ma in fin dei conti insufficiente, perché rischia di spingere il soggetto a ripiegarsi su se stesso [appunto, ndc] con la conseguenza di abbracciare proprio quel pelagianesimo che, al seguito di Agostino, volle combattere per tutta la vita, cadendo anzi nell’eccesso opposto di sottovalutare l’apporto del libero arbitrio e della ragione. Eppure egli, da buon occamista, non si accorse di lasciarsi sedurre dal pelagianesimo di Ockham, il quale aveva concepito il soprannaturale non come necessario alla figliolanza divina, ma come semplice volontà di Dio, il quale, se avesse voluto, poteva accordarci visione beatifica anche senza la grazia.
Lutero non sposò questa tesi di Ockham, ed anzi abbassò anche troppo la debolezza della natura corrotta rispetto alla grazia, più sulla linea di Agostino. Ma quel bisogno di assoluta certezza di essere in grazia non era segno di umiltà, ma di eccessiva stima nel potere della volontà, anche qui in contrasto con la sua sottostima del potere del libero arbitrio.
In realtà nella vita presente non possiamo ancora avere quella certezza che sarà propria della patria, ma ci troviamo sempre in una situazione oscillante, per la quale continuamente ricadiamo nel peccato, fosse pure solo peccato veniale, come preciserà il Concilio di Trento.
La pace che possiamo avere quaggiù è un aumento di confidenza in Dio, ma sempre accompagnato dal timore di peccare, distinto dal timore d’aver peccato, effettivamente eliminabile da un attento esame di coscienza. Finché siamo quaggiù, infatti, sempre sentiremo lo stimolo della concupiscenza, come pure chiarirà il Concilio di Trento, ma il peccato sempre ritornante sempre lo possiamo togliere con la penitenza. Dobbiamo quindi rassegnarci alla concupiscenza, non al peccato. Questo va sempre di nuovo tolto grazie al perdono divino.
Lutero confondeva il timor di Dio col terrore di Dio. Dio in certe circostanze, come riconosce la Bibbia stessa (Sal 88,16-17), può effettivamente suscitare in noi terrore e spavento. Sembra rimproverarci duramente. Ci irrita e ci contraria nelle avversità o perché ci impedisce di fare la nostra volontà o di ottenere ciò che desideriamo. Ci fa temere di non essere predestinati. Ci sembra inaffidabile. Sembra che non si curi di noi. Ci viene il dubbio che esista o non esista.
Notiamo peraltro che il terrore si può avere a causa di forze prevalenti che ci minacciano e dalle quali non sappiamo come sottrarci. Ma è ragionevole provare un simile sentimento verso Dio? No certamente. Eppure per l’occamista, per cui Dio è inaffidabile perché è irrazionalmente volubile, la cosa è possibile.
Ci si potrebbe chiedere: ma chi glie l’ha fatto fare a Lutero affidarsi ad Ockham? Perché non ha scelto San Tommaso e Sant’Agostino? Perché non ha accettato gli insegnamenti della Chiesa e le massime dei Santi? Era sicuro di interpretare bene la Bibbia? Per la verità, egli si sentiva ad un tempo attratto e respinto da Ockham: attratto perché credeva che il suo concetto di Dio, pura onnipotenza irrazionale e pura cieca volontà, fosse più biblica di quella ragionevole e cristallina di Tommaso; respinto perché si era accorto del suo pelagianesimo, dal quale però, senza accorgersene, fu attratto anche lui, dove non è difficile rintracciare, tutto sommato, una punta di quell’antropocentrismo rinascimentale, che egli aveva tanto in odio e del quale accusava il Papa.
Ora Lutero, per togliere il terrore, finì per togliere anche il timore, finendo in quella che il Concilio di Trento chiamerà «inanis haereticorum fiducia» (Denz.1553), con lo spiegare che mentre quando ci confessiamo è indubbio che dobbiamo esser certi della misericordia di Dio, non altrettanto possiamo essere sicuri del nostro stato di grazia e di essergli graditi con la nostra condotta, benché possiamo congetturarlo da alcuni segni interiori.
Da qui però il sano timore di poter peccare e di poter essere in peccato, benché debba prevalere una serena fiducia. Finché infatti siamo quaggiù, a causa dell’inclinazione a peccare conseguente al peccato originale (la «concupiscenza»), spesso pecchiamo: ma non dobbiamo scoraggiarci perché ogni volta Dio è pronto a perdonarci. Se invece aboliamo il timore, diventiamo troppo sicuri, non vigiliamo più, non scansiamo i pericoli, ed è proprio il momento in cui rischiamo sul serio.
Lutero non volle adattarsi a questo stato di misurata instabilità e di non totale e definitiva certezza, che da sempre è insegnato dalla saggezza dei Santi. Si era incaponito a volere da Dio un responso chiaro e definitivo, come se si fosse trattato di un dogma, mentre in realtà nella dinamica della volontà relativa alla salvezza è impossibile che Dio nella vita presente ci conceda questa certezza. Ancora qui la confusione di intelletto e volontà tipica di Ockham.
Fatto sta che Lutero resistette per alcuni anni nel sopportare questo stato per lui inaccettabile, per cui ad un certo punto, non potendone più, nel 1515 nella famosa «esperienza della torre» (Turmerlebnis) egli in un lampo di mistico entusiasmo credette che gli apparisse Cristo il quale gli avrebbe rivelato che poteva adattarsi a tranquillamente a peccare: bastava che egli avesse ferma fede che comunque si sarebbe salvato, il che è già tutto il succo del messaggio di Lutero, il quale continuò comunque a credere nell’esistenza dei beati e dei dannati.
Dunque un perdono totale ed assoluto senza passare attraverso il sacramento della Confessione! Molto comodo, ma le cose non stanno così. Lutero credette, come egli stesso disse, che «gli si spalancassero le porte del paradiso». Ma si trattava di una pericolosa illusione, generatrice di presunzione ed incorreggibilità. Il luteranesimo era nato. Tutto il resto viene da qui.
Ora è vero che Dio può perdonarci direttamente, anche senza la Confessione; e siamo anche liberi di rifiutare un Confessore che non ci ama, non ci capisce e ci maltratta. Il Confessore dev’essere esigente, ma anche comprensivo. Ma niente e nessuno può giustificarci nel respingere il sacramento della penitenza come tale. Questa è stata l’eresia di Lutero.
Lutero aveva davanti a sé l’esempio nobilissimo delle Confessioni di Sant’Agostino: come mai non ha saputo condividere ed apprezzare la gioia del grande Santo e Dottore nello sperimentare il frutto della Confessione? Perché pretendere più di quanto l’uomo può sapere della sua posizione davanti a Dio? È, questa, umiltà o siamo daccapo con la superbia di Ockham?
I buonisti di oggi non hanno fatto che estendere a tutta l’umanità quella salvezza della quale Lutero era convinto nel suo caso personale e che egli propone a coloro che seguono la sua concezione della fede. Egli tuttavia continuava a credere nel mistero della predestinazione, che tanto lo angosciava. I buonisti, per togliere questa angoscia, hanno inventato la ben nota tesi del «tutti salvi», in modo da sopprimere la domanda di Sant’Agostino «cur iste et non ille?», domanda alla quale l’Ipponense rispondeva: «noli judicare si non vis errare». I buonisti obbediscono ad Agostino non perché non sanno perché questo sì e l’altro no, ma perché credono in forza della loro misericordia che si salvano tutti.
Le radici occamiste
Lutero dichiara apertamente di seguire la scuola di Ockham: «sum occamicae factionis», che si connette col pensiero agostiniano, del quale pure l’agostiniano Lutero comprensibilmente si dichiara ammiratore. Tuttavia il sensismo volontarista di Ockham ben poco ha a che fare con la spiritualità agostiniana e Lutero, carattere emotivo e passionale, ne rimane infetto.
Lutero assume, del platonismo agostiniano, solo il pensiero morale, mentre è ostile alla dottrina platonica delle idee, tanto ammirata da Agostino. Decisamente Lutero non è uno speculativo e per questo nutre antipatia per Aristotele e San Tommaso. Ma ciò gli nuoce perché l’attenzione alle loro nozioni filosofiche, psicologiche, cosmologiche e metafisiche gli avrebbe risparmiato le eresie nelle quali è caduto.
Encomiabile certamente è la cura che ha di esprimersi nel linguaggio biblico e l’attenzione alla teologia biblica; tuttavia, fraintende San Paolo in senso libertario come se la vita di grazia concedesse una libertà che dispensa dall’obbedienza alla legge, senza accorgersi che la polemica di Paolo contro la legge si riferisce alla volontà di restare attaccati alle pratiche prefigurative della venuta del Signore e non certo all’obbligo sempre permanente dell’osservanza dei dieci comandamenti.
Ma la mancanza di una buona formazione filosofica impedisce a Lutero di interpretare rettamente diverse dottrine della Scrittura, che sono state interpretate dalla Chiesa appunto utilizzando categorie di Aristotele e di San Tommaso come nel dogma trinitario, dell’Incarnazione, della Redenzione, dell’anima, degli angeli, degli attributi divini, dei sacramenti, dei princìpi della morale.
Quanto ad Ockham, egli concepisce Dio come ente personale dotato di volontà, ma non di intelletto distinto dalla volontà, col pretesto che Dio è semplicissimo, per cui in Lui l’intelletto s’identifica con la volontà. Tuttavia Ockham trascura il fatto che la ragione di volontà è distinta dalla ragione di intelletto, per cui, se è vera la suddetta identificazione reale, resta pur sempre in Dio una distinzione di ragione fra intelletto e volontà, distinzione che ci permette di distinguere ciò che Dio pensa da ciò che Dio fa, la veracità e sapienza da una parte, e l’onnipotente e libera bontà dall’altra.
Ockham non intende rinunciare alla peculiarità dell’intelletto, che ha rapporto con la verità e la ragione, solo che per lui ciò che veramente e unicamente sussiste è la volontà nella sua concretezza esistenziale, per cui se l’intelletto vuole avere uno spazio, deve adattarsi a inserirsi nella volontà, la quale poi a sua volta ha la pretesa di sostituirsi all’intelletto, sicché la verità e la ragione non vengono più a dipendere dall’intelletto, ma dalla volontà.
Ockham intende salvaguardare l’onnipotenza e la libertà della volontà divina e l’istanza in sé è giusta. Senonché ciò avviene a spese dell’intelletto, dove non funziona più il principio di identità che viene sostituito dal sì-no della volontà intesa come libero arbitrio. Ora è vero che in Dio c’è il libero arbitrio, ma non nel senso in cui esso esiste in noi che possiamo scegliere una cosa e il suo opposto, il bene e il male. In Dio il libero arbitrio non è altro che il principio delle scelte e delle decisioni divine concernenti il creato, scelte che non sono necessitate dall’essenza di Dio, ma sono contingenti. Tuttavia l’oggetto di queste scelte non sono solo dei singolari, ma anche degli universali, immutabili e necessari non nel senso che esistano necessariamente, se no non sarebbero enti contingenti, ma nel senso che si tratta di essenze che sono così e non possono non essere così, altrimenti sarebbero altre essenze. Occorre ricordare che Dio ha creato la natura umana fatta in un certo modo, cosicché, per conservare quella identità, è necessario che essa abbia quelle caratteristiche e sia regolata da quelle date leggi, leggi universali, perché si tratta di doveri che vincolano tutti gli uomini, e che sono immutabili, altrimenti la natura cambierebbe l’uomo, per cui non sarebbe più uomo, ma un’altra cosa. Il fatto è purtroppo, come si sa, che Ockham non ammette la realtà degli universali, che per lui sono semplici astrazioni mentali. Da qui le conseguenze sono gravissime sia per quanto riguarda la teologia che l’antropologia e la morale.
Per Ockham Dio non ha creato degli universali, ma solo i singolari, perché nella sua mente non esistono intenzioni universali, ma solo particolari. Qual è la conseguenza sul piano della volontà divina, delle decisioni divine e dei comandamenti divini? Dio non agisce in base alla ragione, ma solo in base alla sua volontà. Non è quindi vincolato al principio d’identità o di causalità o di finalità, perché ciò, secondo Ockham, costituirebbe un ingiusto limite alla libertà ed onnipotenza divine. Benché egli tenga al principio di non contraddizione, il volontarismo fa sì che Dio possa fare che una cosa sia contradditoria, che non abbia una ragione, una causa o un fine.
Nel creato per Ockham non c’è niente di universale, necessario ed immutabile. Dio non ha doveri verso nessuno, non deve render conto a nessuno e non è legato a nessun patto con l’uomo, ma può cambiare volontà quando e come vuole e nessuno può chiedergli conto del mutamento, perché ciò, secondo Ockham, sarebbe un voler scrutare, controllare o sindacare le decisioni divine, che invece per la loro misteriosità sono al di là di ogni nostra comprensione. Se Dio in questa sua condotta gli sembra prepotente, irragionevole, infido, ingiusto e crudele, peggio per lui; è segno che manca di umiltà e sottomissione ai valori divini.
Bisogna osservare ad Ockham che la fedeltà di Dio ai patti non va considerata un porre limite alla sua libertà e alla sua onnipotenza. E neppure il fatto che Egli comandi solo il bene e non il male pone un limite alla sua onnipotenza. E neppure è un limite alla sua onnipotenza se è bene solo ciò che comanda. Nel contempo non bisogna dimenticare che Egli vuole una cosa in quanto è buona.
Se quindi sappiamo che una cosa è buona, possiamo esser certi che è voluta da Dio e se Dio veramente comanda o permette qualcosa, possiamo esser certi che è cosa buona, benché al di là della nostra comprensione. Ockham su questo punto non ha torto. Sbaglia sul primo punto.
Lutero è partito dalla Scrittura, ma non l’ha capita
Il passo che successivamente Lutero compì dopo l’esperienza della torre fu quello di respingere l’autorità del Papa, il quale non aveva approvato la sua soluzione al problema della giustificazione, ricordando che la fede necessaria alla salvezza non è la fede di salvarsi comunque senza combattere il peccato, ma è quella fede che viene messa in pratica frequentando il sacramento della penitenza.
A questa mossa del Papa Lutero rispose con un’altra mossa: la negazione del sacramento dell’Ordine come ministero della Confessione e volendo colpire alla radice il sacramento dell’Ordine, già che c’era, pensò bene anche di negare il potere del sacerdote di dir Messa. Ma ciò non bastava ancora: sapendo che i sacramenti e la vita religiosa sono oggetto della dottrina della Chiesa, da lui aborrita, pensò bene di eliminare anche la vita religiosa e gli altri sacramenti, escluso il Battesimo, troppo evidentemente voluto da Cristo.
L’esperienza angosciante della Confessione è alla radice della riforma di Lutero. La constatazione degli abusi e delle ingiustizie della gerarchia lo condusse alla convinzione, come già era successo a Wycliff e ad Hus, che la gerarchia e quindi il sacerdozio sacramento non fosse stato istituito da Cristo. Per questo, venne nella convinzione che l’organizzazione direttiva della Chiesa doveva essere radicalmente cambiata.
Lutero rifiutò l’apostolato petrino per ordinazione e quindi la successione apostolica, accogliendo solo l’apostolato per rivelazione come quello paolino, trasmissibile non per successione, ma per vocazione. Egli stesso si ritenne il primo esponente di simile apostolato, per cui si mise a nominare apostoli i suoi seguaci ed è così che è nata la Chiesa luterana.
Una cosa che ancor oggi non è del tutto chiara è quale sia stata esattamente la visione di Lutero nei confronti dell’istituto del Papato. Lutero ebbe a dire che egli avrebbe accettato il Papa se il Papa fosse fedele al Vangelo. Questa frase è estremamente significativa, perché sembrerebbe mostrare che Lutero non volle rifiutare l’istituto del Papato e quindi il sacramento del sacerdozio come tali, ma la loro cattiva applicazione e quindi – dobbiamo inferire – ricondurli all’obbedienza di quella che è la volontà di Cristo.
Tuttavia, questa sembra essere un’interpretazione troppo benevola, che annovererebbe Lutero tra i riformatori cattolici. In realtà la storia ci dice che Lutero di fatto concepì una Chiesa senza il Papa e senza la successione apostolica, ma guidata dall’organismo direttivo da lui istituito, che ad un certo punto cominciò a ritrovare alcuni ministeri, come quello del Vescovo, del diacono o del parroco, ma intesi nel senso inteso da Lutero.
Di fatto, rompendo con Papa Leone X, egli dette prova – così almeno pare – di considerare finita la successione dei Papi in quanto istituto contrario alla volontà di Cristo. Per questo, senza ovviamente negare la necessità che la comunità cristiana abbia un capo, egli venne nella convinzione – riflesso di una tipica mentalità occamista – che la Chiesa non sia un’unica comunità sotto un solo capo, ma un insieme di comunità ognuna col suo pastore.
La frase di Gesù «uno solo è il vostro maestro e voi siete tutti fratelli» la intese nel senso che capo della Chiesa è Cristo e solo Cristo, senza vicari o mediatori sulla terra se non i singoli pastori delle comunità, per cui egli considerò se stesso il primo esemplare di simile modo di concepire il ministero ecclesiale per cui per tutta la vita si dette da fare per istituire comunità di questo tipo, le quali sono venute così a costituire la Chiesa luterana fino ai nostri giorni.
IV
Lutero non nega la storicità dei dodici apostoli con a capo Pietro. Solo che tutto è finito lì. Secondo Lutero si è presa sì l’abitudine di dare a Pietro e agli apostoli dei successori, ma l’essenziale della volontà di Cristo non era questo. L’importante era che ci fosse la fedeltà al Vangelo; ma questa si poteva realizzare anche senza che fosse necessaria una catena di successori degli apostoli lungo tutto il corso della storia.
Anzi questo fatto, secondo Lutero, ha provocato nei Papi un progressivo aumento della propria considerazione e del proprio potere, fino ai suoi tempi, nei quali tale esorbitante pretesa nel Papa era diventata scandalosa, inaccettabile e antievangelica.
Da qui – secondo Lutero – la necessità non tanto dell’abolizione dell’istituto del papato, quanto piuttosto dell’abbassamento del Papa al livello di tutti gli altri fratelli, ognuno in grado di conoscere quanto il Papa la Parola di Dio ed anzi di correggerlo quando sbaglia. Per questo Lutero diceva che «ogni cristiano è Papa».
I lefevriani, che pretendono di correggere il Papa in fatto di dottrina o di tradizione, non si accorgono qui di avere la stessa presunzione di Lutero. Questa tesi si sposa bene con l’altra famosissima del justus et peccator, in quanto tutti appaiono empiricamente peccatori, ma i credenti sono santi, benché ciò non si veda: un buon espediente per poter esser considerati santi senza penitenza dei propri peccati.
Così pure Lutero mantiene le note della Chiesa: unità, cattolicità, apostolicità e santità, ma dà ad esse un’interpretazione occamistica: l’unità non è una sola fede, ma l’insieme di fedi simili e diverse; la cattolicità non significa che la Chiesa possegga una reale universalità, giacché per Ockham, l’universale non è una realtà, ma una fictio mentis; universale significa che la Chiesa è dappertutto come insieme di comunità simili tra di loro; santità non vuol dire un fatto osservabile, perché secondo Ockham solo i fatti empirici sono constatabili. Ora la Chiesa è spirituale. Pertanto la santità della Chiesa non è cosa visibile, ma puro oggetto di fede e quindi invisibile all’esperienza.
Altra cosa da chiarire è se e che cosa c’è stato di buono nella sua riforma. Papa Francesco ha detto che Lutero ci ha offerto una «medicina». Questa è esattamente la missione del sacerdote, del Papa, del Vescovo, dell’Apostolo. Cristo è medico, venuto per i malati e non per i sani. Considerando gli atti del Concilio Vaticano II non si può negare che esso ha assunto alcune proposte di riforma a suo tempo avanzate da Lutero, come il concetto del sacerdozio comune dei fedeli, la necessità di basare la teologia sulla Sacra Scrittura, l’azione dello Spirito Santo nel popolo di Dio, la Messa come memoria della Pasqua e pregustazione della risurrezione, i ministeri laicali maschili e femminili, il dovere di tutti di predicare il Vangelo, l’uso della lingua volgare nella liturgia.
La cosa che va a merito di Lutero è quella, come ha rilevato Papa Francesco, di «aver capito che senza Dio siamo nulla e che il problema fondamentale della nostra vita è il nostro giusto rapporto con Dio» [1] e nel contempo – possiamo aggiungere – è stato quello di non essersi mai separato dal contatto con la Scrittura, e in special modo dalla fede in Cristo Verbo Incarnato, morto e risorto nostro Redentore e Salvatore che ci dona il suo Spirito per la nostra santificazione.
Ciò dimostra che Lutero ha sempre visto la Scrittura come mezzo per stare in rapporto con Cristo. Tuttavia il rifiuto che fece dell’aiuto nell’interpretarla che viene da parte del Magistero della Chiesa e dei dottori cattolici, gli nocque, in quanto, se da una parte rimase in lui la convinzione che la salvezza è assicurata dalla fede in Cristo, dall’ascolto della sua Parola, dalla grazia del perdono dei peccati, dall’altra, sordo e cieco alla dottrina della Chiesa, trascurò quei chiarimenti e quelle esplicitazioni del Vangelo, che Cristo stesso aveva ispirato al Magistero della Chiesa, tra le quali l’argomento che ci interessa, ossia il ministero della Confessione.
È certo che le domande, le preoccupazioni, i dubbi, le angosce, i terrori e gli spaventi che agitarono l’animo del giovane Lutero sono gli stessi del credente: sono certo di essermi pentito? Mi sono confessato bene? Ho fatto bene la penitenza? Sono sincero nel mio amore per Dio? Nascondo al Confessore qualche peccato? Dio mi ha perdonato? Provo sdegno nei confronti di Dio? Mi ripugna la sua volontà?
Si è tormentato laddove avrebbe dovuto trovare la pace. Si è troppo spaventato delle ricadute. Confondeva la tentazione al peccato col peccato. Credeva che Dio fosse adirato con lui nonostante la sua buona volontà. Sentiva Dio adirato benché non riuscisse a capire che male aveva fatto. Temeva che Dio lo mandasse all’inferno nonostante la sua innocenza. O viceversa si sentiva sempre in colpa nonostante gli sforzi in contrario. Non accettava di non poter evitare il peccato. [H1]
Tutto ciò nel giovane Lutero denota un fortissimo interesse per la propria salvezza, ma in una forma ossessiva. Da che cosa dipendeva? Probabilmente dal trauma dell’educazione ricevuta, da un temperamento eccessivamente impressionabile e da un ragionare cavilloso derivato da Ockham.
Certo, uno che disprezzi Dio, l’ateo, l’agnostico, il panteista è le mille miglia lontano dal lasciarsi prendere da simili pensieri. Lo sdegno contro Dio, che prendeva Lutero al pensiero del Dio punitore, denota invece un animo ribelle, ma si tratta pur sempre di relazionarsi a Dio. Il rapporto con Dio esiste, esiste la ricerca della salvezza, dell’innocenza, della purificazione, della giustificazione, della grazia e della pace, esiste l’ascetismo e l’autodisciplina, ma in un clima psicologico agitato, aggrovigliato e confusionario e in uno stato di spirito profondamente inquieto e polemico, con punte di amarezza e disperazione.
Nel Lutero riformatore, dopo la Turmerlebnis, abbondano, invece, come è noto, le espressioni della confidenza in Dio e di fiducia nella sua misericordia, Lutero esprime anzi la sua volontà di obbedire a Dio in una forma paradossale, di marca prettamente occamistica, come la disponibilità ad andare anche all’inferno, se questa dovesse essere la volontà di Dio.
Del resto Lutero è convinto che Dio sia sempre con lui e di parlare sempre a suo nome: per questo non tollera di essere contraddetto nell’interpretazione della Scrittura. Non risulta che egli abbia ma ascoltato l’avvertimento di qualche teologo cattolico e tanto meno del Papa, che gli facevano notare le sue eresie.
È molto facile trovare in Lutero questi stessi sentimenti del Salmista: «Le tue frecce mi hanno trafitto, su di me è scesa la tua mano. Per il tuo sdegno non c’è in me nulla di sano» (Sal 38, 3-4); «Mi hai castigato e io ho subìto il castigo» (Gr 31,18); «Sono oppresso dai tuoi terrori. Sopra di me è passata la tua ira, i tuoi spaventi mi hanno annientato» (Sal 88,16-17); «Nel giorno dell’angoscia alzo a te il mio grido» (Sal 86,7); «Al mattino fammi sentire la tua grazia, poiché in te confido» (Sal 143,8).
«Distogli lo sguardo dai miei peccati, cancella tutte le mie colpe» (Sal 51,11); «Nella tua grande bontà cancella il mio peccato» (Sal 51,3); «Tu hai rimesso la malizia del mio peccato» (Sal 32,5); «Quando ero oppresso dall’angoscia, il tuo conforto mi ha consolato» (sal 94,19); «Mi hai fatto provare molte angosce e sventure; mi darai ancora vita» (71,20). «Signore, secondo la tua misericordia, si plachi la tua ira» (Dn 9,16). Egli sa bene che «Misericordia e ira sono in Dio» (Sir 6,12).
Si direbbe che in Lutero anche nel periodo della sua vita monastica, manchi una vera carità verso Dio, un bisogno di contemplazione e di unione con lui; tutta la sua spiritualità si risolve in un bisogno di salvezza, di sentire la tenerezza di Dio, un Dio tutto per lui. Non pare sensibile all’invito del Salmista «Gustate e vedete quanto è buono il Signore» (Sal 34,9): egli sembra piuttosto voler gustare il proprio stato interiore di sicurezza e di pace, sia pur assicuratogli da Cristo. Quando il Garcia-Villoslada lo definisce «frate assetato di Dio» [2] non mi sembra che colga nel segno.
Lutero non fu un mistico ed egli stesso disprezza i mistici considerandoli infetti di platonismo. Egli non si sarebbe riconosciuto in queste parole del Salmo «Come la cerva anela ai corsi d’acqua, così la mia anima anela a te, o Dio» (Sal 42-43,2). Neppure gl’interessava lodare la tenerezza di Dio per il creato: «la tenerezza del Signore si espande su tutte le creature» (Sal 145,9). Tutta la sua aspirazione era la giustificazione «Beato l’uomo al quale Dio non mette in conto il peccato» (Rm 4,8).
Coscientissimo del prezzo che Cristo ha pagato per salvarci, sapeva bene che «Senza spargimento di sangue non esiste perdono» (Eb 9,22). Non disdegnava il precetto di Giacomo «Confessate i vostri peccati gli uni agli altri» (Gc 5,16) e sapeva bene che è Dio che toglie i peccati: «Qual dio è come te, che toglie l’iniquità?» (Mi 7,18) e che «Chi confessa le proprie colpe troverà indulgenza» (Pr 28,13); «Il figlio dell’uomo ha il potere di rimettere i peccati» (Mt 9,6). Sapeva che «a chi si pente Dio offre il ritorno» (Sir 17,19); per questo chiedeva al Padre «rimetti a noi i nostri debiti» (Mt 6,12). Ma è rimasto cieco sulle parole di Cristo «Ricevete lo Spirito Santo; a chi rimetterete i peccati saranno rimessi e a chi non li rimetterete resteranno non rimessi» (Gv 20,22-23).
Non ha capito il sacerdozio di Cristo, nonostante il chiarissimo insegnamento della Lettera agli Ebrei e per conseguenza non ha capito il sacerdozio cristiano credendo che il sacerdozio fosse un’istituzione dell’Antico Testamento abolita da Cristo e sostituita con la figura del buon pastore. Non ha capito quindi la funzione e il valore specifico del ministero del Confessore, ma l’ha scambiato per una volontà puntigliosa e inesorabile – anche qui emerge il farisaismo occamista – di dominio e controllo sulle anime. Tuttavia ha conservato la coscienza della propria responsabilità di pastore, di apostolo, di dottore in teologia, di predicatore del Vangelo, di commentatore della Scrittura, di suscitare di discepoli di Cristo, di servitore dei poveri per amore di Cristo.
Le qualità del Confessore
Abbiamo visto come Lutero ha impostato il problema del ministero nella Chiesa e quindi la questione del sacerdozio col suo ufficio di dir Messa e confessare, e quindi la questione dell’Episcopato e del Papato. Abbiamo visto altresì la problematica del fedele che deve confessarsi, partecipare alla Messa, ascoltare il Magistero della Chiesa, obbedire ai pastori, vivere la vita della Comunità.
Chiediamoci adesso: ma Cristo come esattamente ha voluto il suo ministro di salvezza? In particolar modo, secondo il tema di questo articolo, come ha voluto il Confessore? Qual è l’ideale di Confessore che propone? Come delinearlo? Quali i suoi doveri? Quali i suoi poteri? Quale la sua utilità per il bene delle anime? Quale dev’essere il metodo del suo lavoro di operaio del Vangelo? Quali i rischi del suo ministero? Quali gli errori da evitare? Quali sono gli errori concernenti la funzione del Confessore? Come deve regolarsi nel discernere e giudicare?
È chiaro che per trattare una simile delicata e complessa materia occorrerebbe ben più spazio di quanto mi è concesso in questo articolo. Tuttavia è possibile presentare una sintesi delle cose da dire, avendo già parlato del modo sbagliato col quale Lutero intende il sacramento della Penitenza e il modo sbagliato col quale si confessava.
Mi rifaccio a un grande moralista domenicano tedesco del secolo scorso, il Padre Benedetto Enrico Merkelbach, autore di un ponderoso trattato di teologia morale [3], aggiungendo le indicazioni pastorali che in materia provengono dalla riforma della pratica del confessionale promossa dal Concilio Vaticano II, che tiene conto delle difficoltà opposte da Lutero e le risolve.
Il Merkelbach dice che il Confessore dev’essere padre, maestro, giudice e medico. La riforma conciliare, raccogliendo alcune istanze di Lutero, aggiunge: dev’esser amico e fratello. L’anima del confessare dev’essere la carità, il che implica uguaglianza fraterna davanti a Cristo Signore, nostro fratello, maestro, servitore, medico e giudice amorevole misericordioso.
Che dev’essere padre, è più che evidente. Il Papa lo ha illustrato mille volte con la parabola del figliol prodigo. Non insisto su questo, anche se c’è sempre bisogno di ricordarlo, perché sempre risorgono le tentazioni all’impazienza, all’impulsività, alla precipitazione, alla vendetta, al rigorismo, alla durezza, alla freddezza, alla spietatezza, al menefreghismo.
Il Confessore è maestro. Il Confessionale è ottima occasione per impartire una formazione dottrinale accurata, mirata, sistematica, personalizzata, ad hoc, circostanziata, graduale, soprattutto per quanto riguarda la Confessione, la morale, l’ascetica, la vita ecclesiale, il cammino di santificazione, la correzione dei vizi, l’acquisto delle virtù.
Il Confessore deve sapere quando assolvere e quando non assolvere. Oggi molti fedeli non sanno che cosa è la Confessione e come ci si confessa perché i sacerdoti a loro non lo insegnano o perché li confessano male. Molti fedeli non possono essere assolti non perché il Confessore li scopre in stato di peccato mortale, il che sarebbe un giudizio temerario, salvo possedere doni specialissimi come li aveva San Pio da Pietrelcina, ma perché entrano in confessionale senza le dovute disposizioni per essere assolti. In tal modo, invece di confessarli, conviene istruirli sul come si devono confessare, esortandoli a mettere in pratica le istruzioni ricevute.
Una cosa da notare riguardo a questa funzione giudiziaria del Confessore è che in particolare la riforma conciliare attenua l’aspetto giudiziario del sacramento a favore di quello pacificante come effetto della riconciliazione con Dio e con i fratelli. In passato si usava parlare del «tribunale» della Penitenza. Oggi si preferisce parlare di sacramento della riconciliazione. Naturalmente il sacramento mantiene la sua essenziale forma giuridica, rifiutata da Lutero, forma per la quale la liceità coincide con la validità. Infatti, mentre una Messa può essere valida ma non lecita, se il Confessore non ha la giurisdizione, salvo casi in articulo mortis del penitente, il suo atto non è valido.
Altra cosa da notare è che la pratica del passato, col suo esagerato, minuzioso e puntiglioso legalismo e giuridismo, faceva nascere e coltivava facilmente degli scrupolosi. Lutero in fondo non è altro che il caso di uno scrupoloso guidato da Confessori occamistici, i quali con la loro puntigliosità e severità lo hanno fatto scoppiare, anche se egli, da parte sua, come è stato da sempre notato, possedeva a sua volta una morbosa simpatia per Ockham, occasionata dal trauma della fanciullezza e da un temperamento religioso eccessivamente emotivo.
La riforma nata dal Concilio ha rimediato a questo guaio. Oggi gli scrupolosi non esistono più, ma siamo caduti nell’eccesso opposto: nessuno più si sente in colpa, perché la considera una neurosi di competenza dello psicoanalista. Anzi si è perduto il concetto di guida spirituale e di cura dell’anima come prerogative del Confessore. Quello che interessa è il benessere psichico, per cui lo psicologo tende a sostituirsi al Confessore con la pretesa di dare al paziente direttive e consigli che sarebbero di spettanza del Confessore.
Tuttavia bisogna ammettere che un aspetto buono della moderna prassi del Confessionale è dato dal fatto che i Confessori aggiornati sanno tener conto delle conoscenze della psicologia moderna, la quale meglio di quella del passato, di tendenza volontarista e rigorista, ci rivela quanto è oscuro il fondo della psiche umana e quanto forti sono i condizionamenti psichici, consci ed inconsci, nel bene come nel male, della nostra condotta morale. Ecco perché oggi c’è più misericordia che per il passato. Ma anche qui il freudismo ha provocato una forma di lassismo, per cui, col pretesto della misericordia certi Confessori, nonostante lo sbandierato progressismo, non sanno più purificare le anime e farle progredire, ma le lasciano ristagnare nel vizio illudendole col famoso pecca fortiter et crede firmius di luterana memoria.
L’imparzialità del giudizio può essere messa a ulteriore prova quando si tratta di confessare la donna. Infatti nella Confessione si danno una speciale apertura d’anima, profonda comunione spirituale, confidenza, fiducia e stima reciproche, un comprendersi l’un l’altro a fondo, un manifestare ciò che ad altri non si direbbe. Ora tutto ciò nell’incontro fra uomo e donna sveglia naturalmente l’emotività e la reciproca attrazione sessuale. Se tutto si fermasse qui, non ci sarebbe niente di male; anzi questa reciprocità stimola la comunione spirituale.
Ma il fatto è che ciò avviene in due creature infette dal peccato originale quindi dalla concupiscenza, che spinge al peccato, mentre è evidente che in confessionale questa spinta dev’essere totalmente assente. Da qui la necessità nel Confessore di un supplemento di castità, che lo tenga al riparo da quel pericolo. Oggi non si usa più la grata ed è cosa saggia, perché così si comunica meglio. Oggi si è capito meglio che se certe condizioni esterne sono sempre utili all’acquisto e alla difesa della virtù, ciò che è decisivo è l’energia interiore della volontà sostenuta dalla grazia.
Il difetto della disciplina di prima del Concilio era connesso con un atteggiamento di sottovalutazione della donna e ostilità nei confronti del sesso visto solo nello stato di natura decaduta e non in quello protologico ed escatologico [4].
Il risultato e il presupposto era la diffidenza e la disistima nei confronti della donna, considerata come tentatrice meno intelligente del maschio, da trattare con durezza e con un atteggiamento scostante, come si farebbe con un fanciullo discolo, con la pretesa di comandarla a bacchetta e che dovesse dire tutto al Confessore, come se egli tenesse la parte di Dio, al Quale tutto si deve dire, così che il Direttore sacerdote o superiore ha la possibilità di controllare la sua condotta nei minimi dettagli.
Non si concepiva una virtù femminile distinta da quella maschile, ma la donna era considerata virtuosa nella misura in cui imitava il maschio. Ciò non ha impedito il sorgere di sante donne ed anche Fondatrici di Istituti femminili, i quali però dovevano dipendere rigorosamente in tutto dal ramo maschile.
In tutte le religioni il sacerdote è anche medico o quanto meno si paragona a un medico. La salute fisica è presa come simbolo della salute spirituale. Gesù stesso si è paragonato a un medico. La vita presente è una specie di degenza ospedaliera – Papa Francesco ha parlato di «ospedale da campo» –, dove il malato guarisce progressivamente pur restando malato, mentre l’uscita dall’ospedale, a completa guarigione avvenuta, coincide col momento in cui lasciamo questo mondo. Così il Confessore è un medico dello spirito, che deve curare quel malato spirituale che è il penitente ed ottenere che egli cammini e progredisca nel bene, abbandonando progressivamente il male. Chi è il buon samaritano, oggi tante volte evocato, se non il buon Confessore medico delle anime?
Ora l’idea luterana della corruzione totale della natura non favorisce questa visione terapeutica, pur così genuinamente evangelica, giacché un processo di guarigione suppone una natura che abbia conservato una certa misura di salute e di normalità da cui partire: ma se tutto è distrutto, che cosa c’è da fare se non gettare tutto nell’immondezzaio? Il Vangelo parla di servi che possiedono dei talenti da trafficare. Se col peccato abbiamo perso tutto, che cosa traffichiamo?
Lutero ha trascurato questo progressivo abbandono del peccato e acquisto della giustizia, questa progressiva diminuzione del male e aumento del bene, questo passaggio, come dice San Paolo, dall’uomo vecchio all’uomo nuovo, dall’uomo carnale all’uomo spirituale. L’uomo luterano, nonostante il Battesimo e l’influsso dello Spirito Santo, non sembra crescere nelle virtù naturali e soprannaturali: sembra che non progredisca verso la perfezione e il regno di Dio.
La mortificazione della carne in nome dello spirito gli sembra pelagianismo platonico, dal che il rifiuto dei voti religiosi e le pratiche ascetiche da lui considerate farisaismo. Crede di essere lui il paladino della libertà cristiana contro il supposto legalismo della morale cattolica.
Conclusione
Ho preso in considerazione la questione della Confessione in chiave ecumenica. Essa dovrebbe esser messa a tema dei dialoghi ecumenici, ma ho l’impressione che non lo si faccia. Indubbiamente è un tema nel quale i nostri fratelli luterani dovrebbero recuperare i valori che Lutero respinse, ma nel contempo ho cercato di evidenziare che su questo punto Lutero avanzò anche istanze giuste, che sono state accolte dalla riforma della prassi promossa dal Concilio Vaticano II. Il problema è che oggi spesso si fa un ecumenismo che non corrisponde in pieno a quanto è chiesto dal Decreto Unitatis redintegratio. Esso infatti si muove su due linee: quella della verità e quella della carità.
Molto si parla della seconda, poco della prima; eppure è quella caratterizzante l’ecumenismo come tale. Infatti, la pratica della carità vale in tutti gli aspetti della vita cristiana e non solo nei nostri rapporti con i luterani. Ciò che invece qualifica e caratterizza l’attività ecumenica è la questione della verità, ossia il fatto, come dice il Decreto, della permanente esistenza, nella dottrina dei nostri fratelli, di «impedimenti che si oppongono alla piena comunione ecclesiastica» (n.3) e di «carenze» (ibid.). E il Concilio logicamente prosegue affermando che «tutti quelli che già in qualche modo appartengono al popolo di Dio» – quindi anche i fratelli luterani – «bisogna che siano pienamente incorporati» (ibid.). E come questo si potrà ottenere? Nella carità reciproca e nel comune amore per la verità.
P. Giovanni Cavalcoli
Fontanellato, 10 agosto 2023
Note:
[1] Dal discorso del Papa del 31 ottobre 2016 nella chiesa luterana di Lund in occasione della commemorazione del 500° anniversario della Riforma di Lutero. Vedi anche l'Udienza del 31 marzo 2017 ai partecipanti al convegno del Pontificio Comitato di scienze storiche su Lutero; il discorso del 7 dicembre 2017 alla Presidenza della Federazione luterana mondiale; l’omelia del Papa del 15 novembre 2015 nella chiesa evangelica luterana di Roma.
[2] Martin Lutero. Il frate assetato di Dio, Istituto Propaganda Libraria,Milano 1985, 2 voll.
[3] Summa theologiae moralis ad mentem divi Thomae, Desclée deBrouwer, Bruges 1938-39, 3 voll.
[4] L’insegnamento di San Giovanni Paolo II sull’etica sessuale ha ampliato lo sguardo dal presente stato di natura decaduta allo stato edenico e a quello escatologico della futura risurrezione. Oggi i giudizi adeguati sulla deontologia sessuale devono esser presi alla luce di questo orizzonte antropologico più ampio, che risulta dalla Rivelazione. Ho illustrato questo nuovo concetto della castità e dell’unione-reciprocità uomo-donna nel mio libro La coppia consacrata, Edizioni Viverein, Monopoli (BA) 2008.
Fonte
1.3 https://padrecavalcoli.blogspot.com/p/il-ministero-del-confessore-terza-parte.html; 1.4 https://padrecavalcoli.blogspot.com/p/il-ministero-del-confessore-quarta.html.