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La notizia del probabile ripristino della Messa in latino voluta dal Papa non mi ha sorpreso affatto: già da tempo si diceva che Ratzinger, dimostratosi da sempre grande estimatore del latino, avrebbe modificato il presente stato delle cose, ristabilendo un certo grado di libertà nella celebrazione delle Messe. Io ho sempre trovato che ci fosse qualcosa di assurdo e di ridicolo, oltre che di totalitario dal punto di vista della Chiesa, nel proibire che la Messa fosse celebrata in latino, in opposizione a un rituale utilizzato per un numero straordinario di anni. C’è stato un momento in cui, per volontà del clero progressista, era molto difficile ricevere il permesso per fare Messe in latino, in particolare qui in America, dove io vivo. Ma tutto questo, negli ultimi anni, aveva iniziato a cambiare: ora ci sono parti della Messa che possono essere dette sempre in latino, per lo meno quando non si tratta di Messe obbligate, come quelle della domenica. Da un punto di vista personale, preferisco decisamente la Messa in latino. É una questione d’abitudine, e d’altra parte sia per i fedeli francesi, sia a maggior ragione per quelli italiani, il latino non ha mai posto il minimo problema di traduzione. Inoltre ho sempre rimpianto che alcune parti della Messa, come l’inizio, “Introibo ad altare Dei”, cioè “Io salirò alla casa del Signore”, in America siano state completa mente soppresse. C’è qualcosa di profondamente bello ed evocativo nella lingua delle origini del rito, e in Francia scrittori cattolici come Françoise Mauriac e Jacques Maritain hanno sempre espresso molta nostalgia per le formule di rito pronunciate in latino. In qualche modo facevano una loro propaganda a favore delle modalità originarie del rituale. Il cambiamento, negli anni Sessanta, avvenne ovviamente nell’illusione di stimolare la comunicazione: si pensava di promuovere la Messa, di diffonderla, di renderla più accessibile a tutti. Ora la questione non è cercare di capire se quel mutamento abbia funzionato o meno nel raccogliere altri fedeli, ma di comprendere che è necessario lasciare la libertà di agire come si crede, in un ambito del genere. L’idea che bisogna proibire la Messa fatta o detta in un certo modo non solo non ha alcun senso, ma secondo me è addirittura controproducente per la Chiesa. Io credo che questo sia stato capito bene da Benedetto XVI, il quale cerca giustamente di smorzare al massimo certi conflitti insensati. Se si fanno delle regole assolute si può star certi che si verificherà un conflitto. Se invece non s’impone una normativa rigida non ci saranno scontri perché non ci saranno discussioni: semplicemente non ne parlerà nessuno. La Messa è una di quella materie che non dovrebbe essere resa oggetto di regolamenti amministrativi. Il Papa, oggi, agisce in modo molto calmo, dimostrando sapienza e consapevolezza nel placare le passioni che nascono da querelles insignificanti e che fanno il gioco dei non credenti, ai quali piace vedere i cattolici agitarsi su soggetti minuscoli, che distraggono da problematiche tanto più importanti. Insomma, bisogna lasciare libertà alle persone. E se ci sarà libertà riguardo a certi temi, diminuiranno i problemi. Penso che questa sia un atteggiamento generale del Papa: evitare al massimo le controversie favorendo la libertà delle scelte. Lui sa che meno se ne parla e meglio funzioneranno le cose. In questo modo d’agire vedo una forte e chiara volontà politica, nel senso migliore del termine. Un problema non molto significativo lo diventa se la Chiesa cerca di controllare tutto con regolamentazioni fanaticamente minuziose, e adottando, anche sui minimi particolari, atteggiamenti totalitari. É un po’ la stessa cosa che succede nelle amministrazioni o in certe università. Ci si polarizza su dettagli insignificanti facendoli diventare montagne enormi, e sviando l’attenzione dal cuore delle cose. Per fortuna il Papa attuale mostra di capire che è importante rinunciare a tutto questo. Faccio un esempio: c’è molta agitazione, negli Stati Uniti, sulla posizione che deve avere il prete da una parte o dall’altra dell’altare. Basta dire: fate quello che volete per svuotare il problema, che nell’assenza del dibattito perde qualsiasi rilevanza. Non bisogna affatto considerare il ripristino della Messa in latino come una prova del tradizionalismo del Papa. Il suo conservatorismo è una forzatura, un grottesco luogo comune. Che cosa ha fatto di conservatore Ratzinger da quando è divenuto Papa? Nulla. Finora ha dato solo prova di lucidità, saggezza ed elasticità mentale, alleggerendo molte delle problematiche che affliggono la Chiesa. Vorrei infine segnalare un’altra prospettiva a conforto della mia predilezione per la Messa in latino. Sappiamo che la nozione di rituale implica l’assenza di cambiamento. Bisogna pensare al lato buono e creativo delle abitudini. Se per esempio si fa un lavoro molto intellettuale, ci piace, o ci è addirittura necessario, avere una routine che non cambia, perché ciò favorisce la concentrazione e l’approfondimento. Il rituale, che si compie come un automatismo, può essere preziosamente liberatorio, affrancandoci dalle preoccupazioni dominanti. La nozione di rituale è insomma inscindibile dalla continuità, perché se si cambia di continuo si finirà per distruggere il rituale stesso.

 

(Testo raccolto da Leonetta Bentivoglio)

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