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La camera di Maria Valtorta (© Fondazione Valtorta)
La camera di Maria Valtorta (© Fondazione Valtorta)

Lo scarno ed inesaustivo Comunicato del Dicastero per la Dottrina della Fede del 22 Febbraio 2025 dal titolo Circa gli scritti di Maria Valtorta, parlando di “semplici forme letterarie di cui si è servita l’Autrice per narrare, a modo suo, la vita di Gesù Cristo”, accostandola poi a quei testi che “nella sua lunga tradizione la Chiesa non accetta come normativi”, ossia “i Vangeli apocrifi”, ha riaperto il vaso di Pandora della “pubblica opinione” con un’escalation di dichiarazioni d'indipendenza dalla mistica (la Valtorta, e più in generale, fors'anche, dall'intera branca teologica) da parte di religiosi e sacerdoti diocesani, giovani e meno giovani, con il seguito di semplici fedeli e cooperatori vari che, forse ansiosi di non apparire sempliciotti oscurantisti medievali (siamo nel 2025, o nell'anno 60°, circa, dal Concilio Vaticano II), e del tutto dimentichi dei vari Padri Agostino Gemelli e delle persecuzioni di grandi anime mistiche quali ad esempio Padre Pio e don Dolindo Ruotolo, si affrettano a dichiarare con certo compiacimento il proprio scetticismo, o plus-realismo rispetto al Re che dir si voglia.

Il Comunicato ricalca, a ben vedere, le parole dell’allora Segretario Generale della CEI, Dionigi Tettamanzi, in una lettera del 6 maggio 1992 all'editore dell'opera valtortiana: «Proprio per il vero bene dei lettori e nello spirito di un autentico servizio alla fede della Chiesa, sono a chiederLe che, in un’eventuale ristampa dei volumi, si dica con chiarezza fin dalle prime pagine che le ‘visioni’ e i ‘dettati’ in essi riferiti non possono essere ritenuti di origine soprannaturale, ma devono essere considerati semplicemente forme letterarie di cui si è servita l’Autrice per narrare, a modo suo, la vita di Gesù»; parole a loro volta in linea con la condanna espressa nel 1985 dall’allora Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede (CDF) Cardinal Ratzinger, in una lettera al Cardinal Siri di Genova: la messa all’Indice dell’Opera valtortiana conservava intatta dopo vent'anni «tutto il suo valore morale». Dunque, confermava il futuro Papa Benedetto XVI, «non si ritiene opportuna la diffusione e raccomandazione di un’Opera la cui condanna non fu presa alla leggera ma dopo ponderate motivazioni al fine di neutralizzare i danni che tale pubblicazione può arrecare ai fedeli più sprovveduti».

Proprio al cardinale Siri una trentina d'anni prima, nel 1956, era stato chiesto di scrivere una prefazione al testo della Valtorta, testo da cui affermava d'aver ricevuto «un’impressione eccellente», così da poter dare una sorta di imprimatur. Ma il cardinale aveva dovuto desistere non appena l’Opera era stata avocata a sé dalla Suprema Congregazione del Sant’Uffizio, che con decreto del 16 dicembre 1959 non concedeva l’imprimatur e anzi la inseriva nell’Indice dei Libri proibiti. Un articolo, non firmato, del 5 gennaio 1960 sull’Osservatore Romano spiegava, si fa per dire, il perché: «Una vita di Gesù malamente romanzata […] una lunga e prolissa vita di Gesù […] Alcune pagine, poi, sono piuttosto scabrose. […] potrebbe facilmente pervenire nelle mani delle religiose e delle alunne dei loro collegi […] gli specialisti di studi biblici vi troveranno certamente molti svarioni storici, geografici e simili […] avrebbe meritato una condanna anche se si fosse trattato soltanto di un romanzo, se non altro per motivi di irriverenza». Nel 1966 l'Indice sarebbe stato poi formalmente abolito, anche se «Mons. Pasquale Macchi, segretario particolare di Papa Paolo VI, aveva confermato già nel 1963, nel corso di un lungo incontro col Padre Berti, che l'opera di Maria Valtorta non era, in effetti, all'Indice (che già era stato abolito) ed aveva menzionato che il Papa, allora arcivescovo di Milano, aveva letto uno dei quattro volumi dell'opera di Maria Valtorta ed aveva donato l'opera completa al seminario Maggiore».

Anni prima Papa Pio XII aveva ricevuto il manoscritto della Valtorta dalle mani del suo confessore, il futuro Cardinale Padre Agostino Bea e il suo giudizio era favorevole. Con l'unica riserva di cassare la presentazione, in cui si parlava di fenomeno soprannaturale, consigliò di pubblicare l'opera senza togliere nulla, nemmeno dove la Valtorta dichiarava di riportare "visioni" e "dettati". Per il Papa evidentemente, le antenne del sensus fidei dei battezzati avrebbero fatto il resto: “Pubblicate l'opera così com'è. Non vi è motivo di esprimere un'opinione quanto alla sua origine, che sia straordinaria o no. Chi legge capirà”, disinnescando così, con un'accogliente prudenza, sia il fanatismo da esaltati che il pregiudizio scettico e aprioristico così tanto in voga ancora oggi.

Padre Pio da Pietrelcina, un anno prima della sua morte nel 1967, a una penitente di nome Elisa Lucchi che gli chiedeva il permesso di leggere L'Evangelo come mi è stato rivelato, rispondeva: “Non solo vi permetto di leggerlo, ma ve lo raccomando”.

Uno dei più insigni ed eruditi mariologi del Novecento, padre Gabriele M. Roschini (OSM), all’inizio della sua opera mariologica, La Madonna negli scritti di Maria Valtorta (1973), confessava di non aver mai trovato rappresentata prima – in decenni di ricerche e studi – una così vivida e compiuta immagine della SS. Vergine, e di esserci arrivato solo dopo aver vinto delle importanti resistenze interiori: «Anch'io, infatti, sono stato, un tempo, tra coloro che, senza un'adeguata conoscenza dei suoi scritti, hanno avuto un sorrisolino di diffidenza nei riguardi dei medesimi. Ma dopo averli letti e ponderati, ho dovuto come tanti altri lealmente riconoscere di essere stato troppo corrivo; e ho dovuto concludere: Chi vuol conoscere la Madonna (una Madonna in perfetta sintonia col Magistero ecclesiastico, particolarmente col Concilio Vaticano II, con la S. Scrittura e la Tradizione ecclesiastica) legga la Mariologia della Valtorta! […] giacché la Vergine Maria nell'opera di Maria Valtorta è più importante dei miei libri… la mariologia che scaturisce dagli scritti pubblicati e inediti di Maria Valtorta è stata per me una vera scoperta. Nessun altro scritto mariano, nemmeno la somma di tutti quelli che ho letto e studiato, era stato in grado di darmi su Maria, capolavoro di Dio, un'idea così chiara, così viva, così completa, così luminosa e anche affascinante, e nello stesso tempo semplice e sublime, come gli scritti di Maria Valtorta». Maria Valtorta è dunque da annoverare tra «i diciotto principali mistici (mariani) dei tempi antichi e moderni […] A chi poi volesse vedere, in questa mia asserzione, uno dei soliti iperbolici slogan pubblicitari, non ho da dare che una sola risposta: Legga, e poi giudichi!».


Da tempo nel mondo cattolico esiste un sospetto per il misticismo che non di rado, e più volentieri all’interno del clero medesimo, tende a cedere a un anti-misticismo dalle tinte isteriche. Proprio coloro i quali, si ritiene, dovrebbero avere innata una sana curiositas per i fatti evangelici “così come accaddero” e dovrebbero letteralmente ardere dal desiderio di conoscenza per quello che è malamente definito il “Gesù storico” ― non c’è una condivisa e viscerale passione, ad esempio, per quelle opere cinematografiche che cercano di restituirci vis a vis il Signore e il suo transito terreno, cito su tutti per accuratezza e “adesione” The Passion di Mel Gibson, dopo la cui visione un sacerdote mi confidò di aver pianto per tre giorni? ―, ebbene costoro sono i primi a incupirsi e a mettersi insensatamente di traverso al solo udire le parole “mistica” e “rivelazioni private”: «Dopo l'ultima uscita del Card. Fernandez e le obiezioni assurde di tanti che della Valtorta non hanno letto una riga e non conoscono gli studi di insigni teologi in materia», scrive sui social il teologo don Alfredo Maria Morselli, «questa grande donna mi sta diventando sempre più simpatica e sto pensando che ci sono molte probabilità che sia una vera mistica. Una opposizione che puzza di saccenteria sulfurea: in apologetica si dice probatio ex adversariis. Se viene negata la soprannaturalità di un fatto, mi devi spiegare anche il perché: altrimenti ti limiti al non constat, senza dire consta non esse». Il parallelismo Valtorta-Vangeli apocrifi, per altro, si rivela una toppa peggiore del buco, ossia, continua Morselli, «contro la logica; infatti bisognerebbe provare che la Valtorta dipende da detti Vangeli, e che tutte le affermazioni contenuti negli apocrifi sono false; infatti potrebbero esserci dei testi non ispirati che narrano cose vere; e la Valtorta potrebbe aver visto queste cose realmente accadute. L'autorità della Chiesa non può e non deve intervenire a mo' del Marchese del Grillo (Io sono io e voi non siete un cavolo), ma deve spiegare ai figli quali sono gli eventuali errori. Per uno studio della questione, consiglio l'introduzione del libro del P. Gabriele Maria Roschini, La Madonna negli scritti di Maria Valtorta». E come padre Roschini, al detrattore, non abbiamo da dare che la sua stessa risposta: Legga, e poi giudichi!.


Giuliano Diofili, senza titolo (1985)
Giuliano Diofili, senza titolo (1985)

L'episodio dell'adultera condotta a Gesù dai farisei, tramandata dal solo Vangelo di Giovanni (8,1-11), ci mette di fronte - senza spiegarlo - a quest'enigmatico quanto significativo scrivere di Gesù nella polvere, per terra (Jesus autem ... scribebat in terra). Mentre lo chiamano, non senza ipocrisia, "maestro", i farisei stanno allestendo una trappola per metterlo finalmente in stato d'accusa. Stavolta, credono, il "maestro" non avrà scampo: se infatti contesterà la lapidazione si mostrerà un trasgressore della Legge e passibile a sua volta di condanna; se la ammetterà, negherà invece quel principio di misericordia di cui si è fatto fin lì portatore, disgregando il suo magistero e disperdendo la folla dei suoi seguaci.

Dovette essere una scena altamente drammatica e pericolosa: una folla di persecutori carichi di odio, e secondo loro portatori di una violenza giusta, trascinano la povera vittima prossima al macello, al cospetto un "maestro" a cui intendono far fare la stessa identica fine. Per ben due volte la risposta di Gesù, mentre costoro scaricano le loro accuse sull'adultera, si risolve in un silenzioso scrivere in terra sulla polvere, compiendo un gesto apparentemente senza senso, prima di recidere la questione con il famoso: “Chi tra di voi è senza peccato, scagli per primo la pietra su di lei”.

Quel che accade qui realmente, cioè nascostamente, è preannunciato nel libro di Geremia in cui si dice: “recedentes a te, in terra scribentur”, coloro che si allontanano da te, sono scritti nella polvere. La tensione è massima perché, nonostante la vittima non sia innocente (come in genere nei miti), ma colpevole (il vangelo di Giovanni ce la presenta già come adultera), il meccanismo vittimario che "maneggiano” i farisei può funzionare solo via transfert, e cioè solo se la raccolta e il travaso - per così dire - dei peccati dei persecutori su un'unica vittima, riesce. Solo, cioè, se la vittima è giudicata a tutti gli effetti colpevole (in questo caso lo è) e immolata anche al posto di tutti, i farisei potranno liberarsi, a spese di quest'ultima, della propria violenza e dei propri peccati. Tornandosene poi a dormire il sonno dei giusti.


Ma qualcosa va storto, il Signore solleva il tema della colpevolezza dell'intera folla dei "giusti" d'Israele, il meccanismo vittimario non riesce ed entrambi, adultera e Figlio di Dio, non finiscono lapidati. Il tema sollevato dalle parole del Signore con quel "Chi di voi è senza peccato, scagli la prima pietra" è prodotto esattamente da quel gesto, ripetuto due volte, di scrivere per terra, nella polvere (Jesus autem inclinans se deorsum, digito scribebat in terra [...] Et iterum se inclinans, scribebat in terra).

È Maria Valtorta a soccorrerci e a riempire di significato l'indicazione data dall'autore biblico nel libro di Geremia. Alla raffica di accuse rovesciate dai giusti sull'adultera corrisponde una precisa sentenza di Gesù su ogni singolo che l'ha lanciata. È una specie di “anticipo” del “giudizio particolare”: coloro che si allontanano da te sono scritti nella polvere, ognuno col suo preciso capo d'imputazione... Scrive Valtorta:


“[...] «Maestro? Parliamo a Te. Ascoltaci. Rispondici. Non hai capito? Questa donna è stata sorpresa in flagrante adulterio. Nella sua casa. Nel letto dell’uomo suo. Ella lo ha sporcato con la sua libidine».
Gesù scrive.
«Ma è stolto quest’uomo! Non vedete che non capisce nulla e traccia dei segni sulla polvere come un povero folle?».
«Maestro, per il tuo buon nome, parla. La tua sapienza risponda al nostro interrogare. Ti ripetiamo: questa donna non mancava di nulla. Aveva vesti, cibo, amore. E ha tradito».
Gesù scrive.
«Ha mentito all’uomo che aveva fiducia in lei. Con bocca mendace l’ha salutato e col sorriso l’ha accompagnato alla porta, e poi ha aperto la porta segreta e ha ammesso il suo amante. E mentre il suo uomo era assente per lavorare per lei, essa, come una bestia immonda, s’è avvoltolata nella sua lussuria».
«Maestro, è una profanatrice della Legge oltre che del talamo. Una ribelle, una sacrilega, una bestemmiatrice».
Gesù scrive.
Scrive e cancella lo scritto col piede calzato dal sandalo e scrive più là, girandosi piano su Se stesso per trovare altro spazio. Sembra un bambino che giuochi. Ma quello che scrive non è parola di giuoco. Ha scritto successivamente: «Usuraio», «Falso», «Figlio irriverente», «Fornicatore», «Assassino», «Profanatore della Legge», «Ladro», «Libidinoso», «Usurpatore», «Marito e padre indegno», «Bestemmiatore», «Ribelle a Dio», «Adultero». Scritto e riscritto mentre sempre nuovi accusatori parlano.
«Ma insomma, Maestro! Il tuo giudizio. La donna va giudicata. Non può col suo peso contaminare la terra. Il suo fiato è veleno che turba i cuori».
Gesù si alza.
Misericordia! Che viso! È un balenare di lampi che si avventano sugli accusatori. Sembra ancor più alto, tanto tiene la testa eretta. Sembra un re sul suo trono, tanto è severo e solenne. Il manto gli è caduto da una spalla e fa un lieve strascico dietro a Lui. Ma Egli non se ne cura. Con volto chiuso e senza la più lontana traccia di sorriso sulla bocca e negli occhi, pianta questi occhi in volto alla folla, che arretra come davanti a due lame ben puntute. Fissa uno per uno. Con una intensità di indagine che fa paura. I fissati cercano di arretrare nella folla e di nascondersi in essa. Il cerchio così si allarga e sgretola come minato da una forza occulta.
Infine parla. «Chi di voi è senza peccato scagli sulla donna la prima pietra». E la voce è un tuono accompagnato da un ancor più vivo lampeggiare di sguardi. Gesù ha conserto le braccia sul petto e sta così, ritto come un giudice, in attesa. Il suo sguardo non dà pace. Fruga, penetra, accusa.
Prima uno, poi due, poi cinque, poi a gruppi, i presenti si allontanano a capo basso. Non solo gli scribi e i farisei, ma anche quelli che erano prima intorno a Gesù ed altri che si erano accostati per sentire il giudizio e la condanna e che, tanto quelli che questi, si erano uniti per insolentire la colpevole e chiedere la lapidazione. Gesù resta solo con Pietro e Giovanni. Non vedo gli altri apostoli.
Gesù si è rimesso a scrivere, mentre la fuga degli accusatori avviene, e ora scrive: «Farisei», «Vipere», «Sepolcri di marciume», «Menzogneri», «Traditori», «Nemici di Dio», «Insultatori del suo Verbo»… Quando tutto il cortile si è svuotato e un gran silenzio si è fatto, non rimanendo che il fruscio del vento e quello di una fontanella in un angolo, Gesù alza il capo e guarda. Ora il volto si è placato. È mesto, ma non più irato. Dà un’occhiata a Pietro, che si è lievemente allontanato appoggiandosi ad una colonna, ed una a Giovanni che, quasi dietro a Gesù, lo guarda col suo sguardo innamorato. Gesù ha un’ombra di sorriso guardando Pietro e un più vivo sorriso guardando Giovanni. Due sorrisi diversi. Poi guarda la donna, ancora prostrata e piangente ai suoi piedi. L’osserva. Si alza, si riaggiusta il manto come fosse in procinto di mettersi in cammino. Fa un cenno ai due apostoli di avviarsi verso l’uscita. Quando resta solo, chiama la donna. «Donna, ascoltami. Guardami». Ripete il comando, perché essa non osa alzare il viso. «Donna, siamo soli. Guardami». La disgraziata alza un viso su cui pianto e polvere fanno una maschera di avvilimento.
«Dove sono, o donna, quelli che ti accusavano?». Gesù parla piano. Con serietà pietosa. Tiene il volto e il corpo lievemente piegati verso terra, verso quella miseria, e gli occhi sono pieni di una espressione indulgente e risanatrice. «Nessuno ti ha condannata?». La donna, fra un singulto e l’altro, risponde: «Nessuno, Mae­stro». «E neppure Io ti condannerò. Va’. E non peccare più. Va’ alla tua casa. E sappi farti perdonare. Da Dio e dall’offeso. Non abusare della benignità del Signore. Va’». E la aiuta a rialzarsi prendendola per una mano. Ma non la benedice e non le dà la pace. La guarda avviarsi, a capo chino e lievemente barcollante sotto la sua vergogna, e poi, quando è scomparsa, si avvia a sua volta coi due discepoli.
Dice Gesù: «Quello che mi feriva era la mancanza di carità e di sincerità negli accusatori. Non che mentissero nell’accusa. La donna era realmente colpevole. Ma erano insinceri facendosi scandalo di cosa da loro commessa le mille volte e che unicamente una maggior astuzia e una maggior fortuna avevano permesso rimanesse occulta. La donna, al suo primo peccato, era stata meno astuta e meno fortunata. Ma nessuno dei suoi accusatori ed accusatrici – perché anche le donne, se non alzavano la loro parola, la accusavano in fondo al cuore – erano scevri di colpa. Adultero è chi trascende all’atto e chi appetisce all’atto e lo desidera con tutte le sue forze. La lussuria è tanto in chi pecca che in chi desidera peccare. Ricordati, Maria, la prima parola del tuo Maestro, quando ti ho chiamata dall’orlo del precipizio dove eri: “Il male non basta non farlo. Bisogna anche non desiderare di farlo”. Chi accarezza pensieri di senso, e suscita con letture e spettacoli cercati appositamente e con abitudini malsane sensazioni di senso, è ugualmente impuro come chi commette la colpa materialmente. Oso dire: è maggiormente colpevole. Perché va col pensiero contro natura, oltre che contro morale. Non parlo poi di chi trascende a veri atti contro natura. L’unica attenuante di costui è in una malattia organica o psichica. Chi non ha tale scusante è di dieci gradi inferiore alla bestia più lurida.
Per condannare con giustizia occorrerebbe essere immuni da colpa. Vi rimando a dettati passati, quando parlo delle condizioni essenziali per esser giudice. A Me non erano ignoti i cuori di quei farisei e di quegli scribi, non quelli di coloro che si erano uniti ad essi nell’inveire contro la colpevole. Peccatori contro Dio e contro il prossimo, erano in loro colpe contro il culto, colpe contro i genitori, colpe contro il prossimo, colpe, soprattutto numerose, contro le mogli loro. Se per un miracolo avessi ordinato al loro sangue di scrivere sulla loro fronte il loro peccato, fra le molte accuse avrebbe imperato quella di “adulteri” di fatto o di desiderio.
Io ho detto: “È quello che viene dal cuore che contamina l’uomo”. E, tolto il mio cuore, non vi era alcuno fra i giudici che avesse il cuore incontaminato. Senza sincerità e senza carità. Neppure l’esser simili a lei nella fame concupiscente li induceva a carità. Io ero che avevo carità per l’avvilita. Io, l’Unico che ne avrei dovuto aver schifo. Ma ricordatevi però questo: che quanto più uno è buono e più è pietoso verso i colpevoli. Non indulge alla colpa per se stessa. Questo no. Ma compatisce i deboli che alla colpa non hanno saputo resistere.
L’uomo! Oh! più che canna fragile e vilucchio sottile è facile ad esser piegato dalla tentazione e portato ad avvinghiarsi là dove spera trovare un conforto. Perché molte volte la colpa avviene, specie nel sesso più debole, per questa ricerca di conforto. Perciò Io dico che chi manca di affetto per la sua donna, ed anche per la figlia sua propria, è per novanta parti su cento responsabile della colpa della sua donna o della sua creatura e ne risponderà per esse. Tanto l’affetto stolto, che è soltanto stupido schiavismo di un uomo ad una donna o di un genitore ad una figlia, quanto una trascuratezza d’affetti, o peggio una colpa di propria libidine che porta un marito ad altri amori e dei genitori ad altre cure che non siano i figli, sono fomite ad adulterio e prostituzione e, come tali, sono da Me condannati.
[...] Alla colpevole indico la via da seguirsi per redimersi. Tornare alla sua casa, umilmente chiedere perdono e ottenerlo con una vita retta. Non cedere più alla carne. Non abusare della bontà divina e della bontà umana per non scontare più duramente di ora la duplice o molteplice colpa. Dio perdona, e perdona perché è la Bontà. Ma l’uomo, per quanto Io abbia detto “Perdona al fratello tuo settanta volte sette”, non sa perdonare due volte.”

L'adultera è congedata ed esortata a cambiar vita, a non peccare più, ma non perdonata perché – diversamente da Maria di Magdala – interiormente è ancora indisposta ad accogliere la Verità nella sua vita con cuore puro; lei che probabilmente, come dice il Signore, alla fine non s'è salvata:


“ Non le do pace e benedizione perché non era in lei quella completa recisione dal suo peccato che è richiesta per esser perdonati. Nella sua carne, e purtroppo nel suo cuore, non era la nausea per il peccato. Maria di Magdala, sentito il sapore del mio Verbo, aveva avuto disgusto per il peccato ed era venuta a Me con la volontà totale di essere un’altra. In costei era ancora un ondeggiamento fra le voci della carne e dello spirito. Né ella, nel turbamento dell’ora, aveva ancora potuto mettere la scure contro il ceppo della carne e reciderla per andare mutilata del suo peso bramoso al Regno di Dio. Mutilata di ciò che era rovina, ma accresciuta di ciò che è salvezza.
Vuoi sapere se si è poi salvata? Non a tutti fui Salvatore. Per tutti lo volli essere, ma non lo fui perché non tutti ebbero la volontà d’esser salvati. E questo è stato uno dei più penetranti strali della mia agonia del Getsemani».”

©2021 Laportastretta(Lc13,24)
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