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Martin e Friedrich Heidegger

 

 

VOLUME I

[Anni Dieci]

“DOBBIAMO LIBERARCI DELL’ASSOLUTISMO DEL SOGGETTO”

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I. HEIDEGGER CATTOLICO (1909-1919)

CAPITOLO PRIMO

IL PRIMO INIZIO ANTI-MODERNISTA (CATTOLICO ROMANO)

1. Gli anni del Kulturkampf: modernisti e liberali contro “populisti” cattolico-romani (römlinge). La “Chiesa d’emergenza” di Friedrich Heidegger; 2. Conrad Gröber e Carl Braig; 3. La critica agli stereotipi esistenzial-letterari (le “personalità”, le vite d’artista): l’«autenticità» come originaria conformità (adaequatio) alla vita trinitaria; 4. Il retroterra pantedesco (grossdeutsche) del cattolicesimo heideggeriano: i due poli del romanticismo tedesco (germanesimo), ariano-protestante e cattolico-fränkisch

​1. Gli anni del Kulturkampf: modernisti e liberali contro “populisiti” cattolico-romani (römlinge). La “Chiesa d’emergenza” di Friedrich Heidegger

 

       BIGINI – Heidegger nasce da famiglia cattolica, nel 1889, a Meßkirch, piccola cittadina del Baden-Württemberg posta tra il lago di Costanza, le Alpi sveve e il corso superiore del Danubio; una terra, come scrive Safranski, «ai confini tra il ceppo alemanno e quello svevo», l’uno «per natura un po’ pigro, malinconico, anche piuttosto meditabondo», l’altro «un tipo più sereno, più aperto e anche un po’ sognatore. Il primo incline al sarcasmo, l’altro al pathos»1 (non a caso «i numi tutelari» che Heidegger scelse per sé furono «un alemanno, Johann Peter Hebel, e uno svevo, Friedrich Hölderlin»); ma anche una terra in cui, fin dal primo Ottocento, si impiantò la tradizione liberale e in cui la lotta fra Stato e Chiesa (il cattolicesimo romano) conobbe momenti altamente drammatici. La rivoluzione del 1848 ebbe qui infatti, nella cosiddetta «“cerchia lacustre” sveva», un saldo punto d’appoggio: «questa era la terra di Hecker e Struve e della prima proclamazione della repubblica tedesca»2. E se la Chiesa era riuscita a sfruttare lo slancio liberale dei moti del ‘48 in chiave antiliberale (parlando di “libera Chiesa in libero Stato”, di «eliminazione dell’ingerenza statale nelle scuole e nelle università» nonché di «libera amministrazione del patrimonio ecclesiastico»), il governo del Baden per tutta risposta aveva fatto arrestare, nel 1854, l’arcivescovo di Friburgo. La crisi era poi rientrata, il governo aveva dovuto riconoscere come la Chiesa fosse ancora «troppo radicata» nella mentalità della popolazione, «soprattutto in campagna e nelle piccole città». Safranski parla di un vero e proprio populismo cattolico (katholische Populìsmus) della regione del Baden, tanto devota alla Chiesa di Roma (kirchenfromm) quanto infastidita dallo Stato laico (staatsverdrossen) “liberale”: «Questo populismo cattolico della Germania sudoccidentale era fedele alla Chiesa ma guardava allo Stato con fastidio, era gerarchico, ma desideroso di autonomia di fronte al potere statale. Era antiprussiano, più regionalista che nazionalista, anticapitalista, agrario, antisemita, legato alla terra natia e si radicava soprattutto negli strati sociali più bassi»3.

      Non passarono molti anni che la crisi riaffiorò, e questa volta in forma di spaccatura all’interno dello stesso fronte cattolico. Lo strappo venne da una minoritaria «borghesia colta» e «nazional-liberale» e dette avvio al cosiddetto Kulturkampf, la battaglia (rivoluzione?) “culturale”. Si prese a pretesto il Concilio Vaticano I (1870), in particolare la proclamazione dei dogmi dellinfallibilità papale e della conoscenza di Dio con la sola ragione4. Si dice che il Beato Pio IX fu oggetto di dure critiche da parte di alcuni vescovi che tra i banchi lasciarono correre questa voce: «Non gli basta essere un Padre Santo, adesso vuole diventare anche un Padre Eterno?». E poiché Pio IX, da un tale punto di vista “culturale” (o di cattolicesimo “adulto”, come diremmo altrettanto bene oggi) procedeva a un “rinnovamento” unilaterale della Chiesa di Roma (in verità solo un approfondimento del ministero e un rafforzamento dello spirito di Dottrina) i dissociati intesero identificare se stessi come “tradizionalisti” e “vetero-cattolici” (Altkatholischen) e la loro “dottrina”, conseguentemente, come “veterocattolicesimo” (Altkatholizismus), pur sposando le più tipiche e velenose istanze moderne già riprovate da Pio IX nell’Enciclica Quanta cura e nel Syllabus Errorum (1864) 5. In particolare i “tradizionalisti” si adoperavano per la «soppressione del celibato e della confessione orale, compiendo in tal modo un avvicinamento al protestantesimo»6, ma nondimeno per la «limitazione del culto dei santi», per l’«autonomia delle comunità» e per una, più “democratica”, «scelta del parroco». Si trattava, per dirla con una più che eufemistica definizione di Hugo Ott, di «una forma spregiudicata di cattolicesimo»7. Così mentre la maggioranza dell’episcopato tedesco, assieme al partito cattolico del Reichstag (lo Zentrum), finì per allinearsi al Concilio Vaticano I, la minoranza «colta» e «nazional-liberale» dei dissociati organizzò le sue file in un primo congresso, a Monaco nel 1871, dove il nuovo dogma dell’infallibilità papale fu denunciato come frutto di una “cospirazione gesuitica”. Benché con buoni appoggi tanto nel governo centrale («di tendenza “illuminata” e anticattolica, che cercava di consolidare l’unità tedesca sotto il bastone prussiano»8) che in quello regionale del Baden, il movimento, pur riuscendo a creare «una propria organizzazione ecclesiastica» e ad eleggere un suo vescovo, «rimase esiguo quanto al numero di adepti; non superò mai i centomila aderenti». Il Baden rimase tuttavia una delle sue roccaforti e Meßkirch in particolare proprio negli anni ‘70 e ‘80: «Ci furono periodi in cui vi aderiva la quasi metà della popolazione»9. L’unico testo che documenta le lotte tra cattolici e modernisti nel borgo natio di Heidegger è Der Altkatholizismus in Meßkirch. Die Geschichte seiner Entwickung und Bekämpfung (Il veterocattolicesimo a Meßkirch. Storia del suo sviluppo e della sua repressione, 1912) del dottore e sacerdote Conrad Gröber. Alcune sue annotazioni dal giornale locale di Meßkirch, racconta Nolte, restituiscono l’esatta misura dell’alleanza e stretta saldatura tra il nuovo Reich di Bismarck e la tradizione liberal-illuministica: «“Il Reich tedesco deve diventare il baluardo di tutto ciò che il Syllabus papale ha bollato con le sue maledizioni”; bisogna lottare contro gli adepti di Roma, chiamati “Römlinge”, e “ripulire il paese dal nemico interno per dare quiete e pace al Reich tedesco”»10.

Gröber, divenuto poi arcivescovo di Friburgo, fu anche direttore del Konradihaus di Costanza dove Heidegger (grazie alle borse di studio da lui stesso procurategli in vista della futura, si supponeva certa, ordinazione sacerdotale) poté ricevere quell’educazione superiore a lui altrimenti inaccessibile. Ancora nel 1957 Heidegger ricorderà affettuosamente Gröber come un “paterno amico della mia terra”.

      Gli anni della “battaglia culturale” si distinsero per il clima persecutorio, e segnatamente classista, instaurato dai benestanti veterocattolici. La differenza di classe era, per così dire, raddoppiata e bissata da un’ulteriore differenza confessionale: «Lo sappiamo per nostra amara esperienza», scrisse Gröber, «quanta serenità giovanile andò perduta in quegli anni, in cui i figli delle famiglie del vecchio cattolicesimo, più ricche, evitavano quelli delle famiglie cattoliche più povere, e affibbiavano soprannomi ai loro preti e a loro stessi, li bastonavano e li immergevano nelle fontane per ribattezzarli; ma sappiamo purtroppo, sempre per esperienza personale, che gli stessi insegnanti appartenenti al vecchio cattolicesimo dividevano le pecore dalle capre, e chiamavano gli scolari cattolici col nomignolo di “pesti nere” e facevano sentire tangibilmente che non si poteva percorrere impuniti le vie del cattolicesimo romano. Erano tutti apostati, senza eccezione, e dovevano unirsi ai vecchi cattolici se volevano ottenere a Meßkirch un posto definitivo. Lo si è visto anche molto tempo dopo, che soltanto cambiando religione era possibile conquistarsi un posticino in questa città di dileggiatori»11. Fu così anche per Friedrich Heidegger, padre del filosofo, mastro bottaio e sacrestano della Chiesa di rito romano di St. Martin, a Meßkirch. Appartenendo ai Römlinge (cattolici romani), vide la sua Chiesa sconsacrata de facto nel 1875, quando il governo prussiano ne concesse il diritto d’uso “in comune” coi modernisti, costringendo lui e la comunità cattolica di Meßkirch a riattare a luogo di culto, grazie all’aiuto dei monaci di Beuron, un umile deposito di frutta. Per circa vent’anni questo deposito divenne la «Chiesa d’emergenza» della piccola comunità e proprio qui, nel 1889, Heidegger ricevette il sacramento del battesimo. Esauritasi poi la fronda modernista, nel 1895, il torto venne riparato e la Chiesa di St. Martin (inclusa la sacrestia antistante la piazza, dove si trasferì la famiglia Heidegger) restituita. Era il 1° dicembre, prima domenica di Avvento, e involontario protagonista dell’evento leggenda vuole fosse proprio il filosofo seienne: «In questa occasione il piccolo Martin si trovò senza volerlo a giocare un ruolo-chiave: il sacrestano dei vecchi cattolici trovava imbarazzante dover passare al suo successore la chiave della chiesa, e così non trovò di meglio che cacciarla in mano a suo figlio, che in quel momento stava giocando sul sagrato»12. Come vedremo Heidegger non si allontanerà mai col suo pensiero, pur desiderandolo, da questo sagrato (come da quello della Chiesa di Roma in generale) “partecipando ​​suo malgrado, come ogni vero pensatore, all’opera immensa della rivelazione13.

 

TEOLOGO – Le chiavi di Pietro tornarono così a Pietro – stando alla lettera degli eventi – dalle mani di Heidegger bambino: immagine potente e carica di senso, “destinale” (Geschickliche) per dirla nella terminologia del filosofo adulto. “Giuntura” tra modernismo e cattolicesimo infatti, con tutte le aporie che questo comporta, Heidegger sembra esserlo stato per la quasi totalità del suo cammino. Venuto da quella «Chiesa d’emergenza» che, semplice creatura, lo aveva “reso” figlio di Dio col battesimo, e che a causa del modernismo14 aveva sofferto l’esproprio e la clandestinità, Heidegger avrebbe “ripetuto” benché, purtroppo, in senso inverso – nella direzione “ostinata e contraria” di un soggetto che non vuol più inginocchiarsi all’unico Dio (nietzscheanamente frainteso, in quanto modello di tecnica e nichilismo contemporanei, per il male stesso) ma andarsene a cercare “da sé” uno “nuovo” – questo passaggio e questo tornare alla Chiesa cattolica autentica15. A parti, si vuol dire, invertite: allontanandosi dal Dio e dal cattolicesimo romano, dato nietzscheanamente per morto poiché sovrapponibile in toto allo spirito e al destino del nichilismo, Heidegger si sarebbe orientato senz’altro verso l’attesa e la preparazione (come lui stesso definisce da ultimo il suo pensiero, un “pensiero preparatorio”) di un’epoca, di un Dio e di una Chiesa radicalmente nuove – e soprattutto che tali avrebbero dovuto essere proprio in quanto post-cattoliche e post-cristiane16. Heidegger volendo dunque la Chiesa ma non questa cattolica, bensì un’altra “più vera” e a suo dire “non nichilista” (benché sempre misteriosamente sottratta e inafferrabile) si sarebbe condannato da sé all’insuccesso. Né il sospetto di aver malinteso il cattolicesimo e il suo Dio, ritrattando la malriposta stima per “segnavia” confusi quanto fuorvianti quali furono per lui Lutero e Nietzsche, lo ha mai sorprendentemente colto. Questo “vedere doppio” che – in un’inavvertita oscillazione tra le due chiese – gli ha fatto cercare la Chiesa autentica solo nella pertinace negazione dell’unica vera, ha dovuto prevedibilmente risolversi in un sentiero interrotto (Holzweg). Il lasciapassare per la «terza era» si basa infatti su una dialettica (ma ineseguibile) negazione della Chiesa cattolica, sul nietzscheanamente curioso tener fermo il nichilismo “di Dio” e l’insuccesso della Chiesa cattolica romana (narrazione che, più da vicino, mostra invece una volontà immobilizzata e inchiodata all’impotenza dall’evento e della sapienza della Croce17). Il nuovo Dio e la nuova Chiesa dovranno cioè, per il filosofo, non (poter) essere più quelli. Altrimenti la diagnosi sarebbe, come è, interamente sbagliata18.​​

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BIGINI – Quasi che il potenziale del suo pensiero – lo si volesse rendere in un’immagine poetica – si trovasse raccolto e cristallizzato nell’attimo in cui il bambino riceve le consegne della chiesa rivale per tradurle in quella vera, “reggendo” così insieme “nelle chiavi” la resa della protesta modernista (in lui subito riaccesa, appena lasciato il convento, e sua guida anzi fino alla fine) e l’imminente “ritorno” della vera Chiesa e del vero Dio “sdoppiati” nella singolare previsione di una parusia “sui generis” (quella di un «ultimo dio» che aggrappandosi alla rete dell’“Evento” l’avrebbe “strappata”, strappandole così anche una nuova “dedizione” dell’“Essere”). Un sentiero in tal modo, come da lui stesso intuito, interrotto.

 

TEOLOGO – …e interrotto ai piedi della Croce, una Croce volontariamente, quanto inutilmente, rifiutata19. Il suo è un pensiero che non vuole più essere cattolico, che ne rifiuta il «sistema», la struttura, i dogmi (la prima e più significativa “svolta”, secondo Ott, fu proprio dal cattolicesimo20) non potendo però essere ancora, allo stesso tempo, altro, se la filosofia dev’essere ricerca, ma anche ritrovamento della verità, e non c’è altra verità né salvezza sulla terra che in Cristo e nella sua Chiesa. È questa la localizzazione (Erörterung) che azzardiamo del pensiero di Heidegger: una filosofia che non volendo più il cattolicesimo, il suo Dio e la sua Chiesa – lo stesso Heidegger affermò, in una sorta di “autoprofezia”, che «l’esperienza fondamentale dell’essere […] guida di volta in volta ma non viene esperita»21 – si ostinerà nella ricerca, fondazione e infine vana attesa di una nuova epoca pagana (e segnatamente post-cristiana nel senso della Christenheit oder Europa novalisiana), in cui precisi elementi e contenuti escatologici cattolici sono inavvertitamente riproposti (e inutilmente cannibalizzati) dietro fattezze ora gnostiche ore quietistiche (Nolte). Ecco perché il contesto storico del Kulturkampf può fornire le coordinate di una configurazione di pensiero in apparenza tanto misteriosa e trasversale quanto, a ben vedere, squisitamente germanica. Alla protesta contro i dogmi sanciti da Pio IX, una ventina d’anni prima della nascita del filosofo, si aggiunse con Pio X quella contro il motu proprio sulla Summa Theologiae di San Tommaso d’Aquino, rimasta particolarmente indigesta, come vedremo, proprio a Heidegger (Pio X infatti vi riaffermava «la Summa Theologiae di Tommaso d’Aquino unica base per la teologia e per la filosofia del cattolicesimo»).

Note

1. Rüdiger Safranski, Ein Meister aus Deutschland. Heidegger und seine Zeit, tr. it. Heidegger e il suo tempo, TEA, Milano 2001, p. 12.

2. Ernst Nolte, Martin Heidegger. Politik und Geschichte im Leben und Denken, tr. it. Martin Heidegger tra politica e storia, Laterza, Bari 1994, p. 19.

3. R. Safranski, Op. Cit., p, 15.

4. Cfr. §. 1.2

5. Tutte quelle «erbe nocive che Gesù Cristo non coltiva, perché non sono piantagione del Padre» (naturalismo, razionalismo, indifferentismo, socialismo, comunismo, massoneria e liberalismo), portate successivamente “a concetto” da Pio X (1907) nel modernismo, «la sintesi di tutte le eresie» (Cfr. Pio X, Pascendi Dominici gregis, p. 23), o come disse il cardinal Ferrari, arcivescovo di Milano, già nel 1905: «una rifioritura del protestantesimo con quanto di peggio che si ammanta di una certa veste di pietà».

6. E. Nolte, Op. Cit., p. 20.

7. Hugo Ott, Martin Heidegger – Unterwegs zu seiner Biographie, tr. it. Martin Heidegger: sentieri biografici, SugarCo, Milano 1988, p. 44.

8. Cfr. Victor Farias, Heidegger e il nazismo, Bollati Boringhieri, Torino 1988, p. 15. In un secondo congresso nel 1872 si rivendicò il diritto di fronte al governo prussiano di poter «rappresentare l’unica Chiesa cattolica ufficiale», sollecitando presso lo stesso governo l’“autorizzazione” a una riforma del culto e dell’amministrazione ecclesiastica. Nel 1873 fu istituita una gerarchia ecclesiastica parallela «fondata sul potere di vescovi eletti da un’assemblea a ciò deputata», mentre un terzo congresso tenutosi a Costanza nello stesso anno «sfociò nella creazione di un ordine sinodale comunitario». Nel 1878 si abolì il celibato obbligatorio per gli ecclesiastici. All’alba del 1901 si contavano una quarantina di «parroci riconosciuti dallo Stato» (tra Prussia, Baden, Baviera e Assia) per un totale di circa cinquantamila fedeli.​

9. R. Safranski, Op. Cit., p. 12. 

10. E. Nolte, Op. Cit., p. 21.

11. Op. Cit., pp. 15-16. 

12. Op. Cit., p. 17.

13. R. Girard, Delle cose nascoste sin dalla fondazione del mondo, Adelphi, Milano, 2002, p. 339.

14. (e dalla sua agguerrita, inquietante estraneità sempre recalcitrante e reclamante un diritto a “essere”).

15. Una, santa, cattolica e apostolica ma soprattutto romana.

16. Era ancora, lo vedremo più avanti, la pia illusione di una «terza era» già vagheggiata dai romantici, da Novalis e Schleiermacher in particolare. Eloquente in tal senso il suo “sì” al rito funebre cattolico assieme al suo “no” alla Croce sulla lapide, sostituita da una stella riconducibile con tutta probabilità alla stella danzante (tanzenden Stern) nietzscheana, o ancora all’immagine poetica del “dio” a venire accennato in una sua lirica da L’esperienza del pensare: « [...] Andare verso una stella (Auf einen Sternen zugehen), questo soltanto. / Pensare è trovarsi limitati a un solo pensiero / che un giorno si arresta nel cielo del mondo, / come una stella. » (M. Heidegger, L’esperienza del pensare, Città Nuova, Roma 2000, p. 49).

17. Mi permetto di rimandare al mio Roberto Bigini, Filosofia del diavolo. Una breve storia dell’essere, Agorà&co, Lugano 2018.

18. Il modernismo del filosofo in teologia suona per noi anche una specie di campanello d’allarme: venendoci a segnalare cioè l’ulteriore necessaria incompiutezza, in ambito ontologico, del suo essere anti-moderno. Incompiuto come il suo gigantesco corpo a corpo coi filosofi della modernità il cui nichilismo, non perdonato ad esempio a Cartesio, Heidegger non volle riconoscere, approvandolo per di più apertamente, in Lutero, il quale avrebbe compreso che «la fede non ha bisogno di pensare l’essere» - perché la fede sarebbe in rapporto ai puramente enti Dio e gli dei, morto l’uno e fuggiti gli altri - e nello stesso Nietzsche (condannato in apparenza come l’ultimo nichilista della filosofia occidentale, ma approvato intimamente per il suo anti-cristianesimo ontologico). 

 

19. Heidegger stesso ha spiegato che i suoi sentieri interrotti (Holzwege) si interrompono nella radura che si apre nel cuore del bosco, dove si trova la legna-bosco (Holz). Sappiamo che la Croce, in quanto ripetizione dell’albero della vita della genesi, è conosciuta dai Padri della Chiesa anche come «il Legno della vita». Perciò, scrive Iacomo Bosio commentando San Giovanni Damasceno, «sì come per il legno entrò la morte; così era necessario che, per il Legno ancora, donata fosse la resurrettione, e la vita».

20. «La non ammissione nei gesuiti - per scarsa idoneità fisica -, l’allontanamento dalla diocesi arcivescovile di Friburgo […] La prima svolta - certo non ideologica - andava profilandosi con il distacco dal cattolicesimo e dal sistema dei circoli cattolici» (Hugo Ott, Op, Cit., p. 88)

21. Martin Heidegger-Elisabeth Blochmann, Carteggio 1918-1969, p. 154.

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