
INTRODUZIONE
I
BIGINI – Quale sia il vero motivo dello “storico” accanimento contra Heidegger, che dal dopoguerra si rinnova in una singolare palingenesi persecutoria – gli abnormi provvedi-menti “denazificatori” di un'abitazione requisita, la sospensione dall'insegnamento e il sequestro, poi scongiurato, della biblioteca personale del filosofo; ma anche i testi di Faye e Farias nei tardi anni Ottanta, fino alle più recenti, e scientificamente indegne, manipolazioni dei Quaderni neri 1 – non è ancora stato detto. Per lo meno al di fuori del circuito storiografico-giornalistico che costituisce, agli occhi del filosofo e non solo, quale «forma di dominio dello spirito», il cuore stesso del problema 2. Ossia in una sede, per quanto la cosa possa riuscire nelle nostre possibilità, “accademica”. Se il problema, infatti, fosse realmente la responsabilità teorica di un pensiero filosofico, nel “lungo” e spaventoso macello del “secolo breve”, perché allora non Jünger, Jung o Carl Schmitt, che delle loro simpatie politiche, come del loro antisemitismo, non fecero notoriamente mistero? Perché proprio Heidegger?
TEOLOGO – A questa domanda si potrebbe obiettare la caratura filosofica stessa di Heidegger, ingombrante già dalle prime sperimentazioni fenomenologiche in ambito reli-gioso, fino al suo tentativo più tardo di riconfigurare l’intera filosofia, imprudentemente ridotta a «pensiero calcolante» (rechnende Denken), in «pensiero poetante» (dichtende Denken). Quasi che l'accanimento persecutorio potesse rivendicare pro domo sua, instal-landosi su uno scranno che non gli compete, l'evangelico «A chiunque fu dato molto, molto sarà chiesto». Simmetricamente Heidegger, al tribunale della “giustizia divina altrui” («la dittatura della pubblica opinione», come era solito chiamarla), avrebbe opposto la propria, avocando a sé le attenuanti di un tentativo, se non altro, di grandezza. È il celebre motto Wer gross denkt muss gross irren, “chi pensa in grande deve sbagliare in grande”, con cui il filosofo accennava e rovesciava (a sua volta) sui detrattori una chiara accusa di mediocrità...
BIGINI – E tuttavia questa componente, benché presente, non sembra rivestire un ruolo centrale. Non è la “responsabilità teorica”, la carica pretesa immorale e addirittura endo-gena dell’uomo Heidegger 3 a riversarsi e travasare come un’infezione nel suo pensiero (Faye, come accennavo, si è spinto a una tesi grottesca quale “l’introduzione del nazismo nella filosofia”) giustificandone così la messa all’indice e una definitiva damnatio memoriae; tanto più se dovessimo tener conto, con lo stesso filosofo, che teoria “affonderebbe” modernamente in una distinzione (teoria-prassi) impensata quanto quella essere-ente, e sulla quale pertanto, poiché dagli analoghi esiti nichilistici, invocare una doverosa sospensione del giudizio (epoché): «Teoria e prassi», dirà un Heidegger ottantenne a Le Thor (1969) riprendendo Comte, «saranno forse sorelle, ma nate da genitori ignoti!» 4. È questo Ignoto – è una tale “X” – il vero e proprio rovello del filosofo tedesco...
TEOLOGO – …“X” che ruotata in modo adatto è forse più verosimilmente, come vedremo, una Croce (la stessa che comparirà più avanti, misteriosamente ma non troppo, nella riflessione del filosofo a indicazione dell'Essere da cercare). Il pensiero di Heidegger si muove infatti in una zona grigia dalla quale (come già la “nobile sofistica” socratica ma, poiché successivo alla rivelazione cristiana, in un inaggirabile auto-scacco) non riesce propriamente a uscire, e guadagnare così un'autentica posizione teorica. Ci muoviamo ovunque su sabbie mobili, sembra gridare il filosofo in un comprensibile (ma nient'affatto giustificato) allarme ai colleghi di tradizione illuminista e insieme cattolica; in qualunque direzione che non sia quella orientata alla differenza originaria e da essa anche proveniente (quella Croce che non ha più potuto-voluto guadagnare) il cammino di pensiero sarebbe già scivolato a valle di ogni possibilità di successo. Guadagneremmo, invece, un'«etica originaria», una prassi autentica, solo quando – e soprattutto se mai – scoprissimo un pensiero, secondo il filosofo, del pari originario, meno tecnicamente compromesso di quello fin'ora invalso, e veniamo qui al punto: «il Cristianesimo – l'Occidente post-greco» 5.
Il “caso Heidegger” sembra così “coagularsi”, piuttosto, attorno all'enigmatico e a tutt'oggi indecifrato «pensiero dell'essere» 6, la cui “topologia”, da localizzare nel frammezzo impensato di cui sopra (ontico-ontologico), rivela una curiosa sovrapposizione proprio con il Cristianesimo heideggerianamente inteso (il Cristianesimo, non si può dirlo meglio di René Girard, sacrificale), presunto “cuore di tenebra” del nichilismo occidentale (ma che tale è solo sposando una diagnosi che non potrebbe essere più errata, quella di Nietzsche), ossia del medesimo idealismo moderno di cui Heidegger si è sempre voluto censore e, come vedremo, in parte anche un riuscito fustigatore 7.
BIGINI – Il «pensiero dell'essere» dovrebbe intra-vedersi in altre parole nell'oscura filigrana e traslucenza di questo stesso malinteso Cristianesimo: l'«altro pensiero», nelle intenzioni del tedesco, giungerebbe come il risvolto finalmente positivo (è la cosiddetta svolta, la Kehre) di un accadere storico troppo a lungo impossibile, nichilistico e negativo proprio poiché cristiano 8. A partire da Cartesio solo raddoppiato e “incarnato” nel mondo della tecnica, sinonimo, come noto, di “metafisica compiuta” 9. «L'impianto» infatti, dirà Heidegger ancora a Le Thor, non è, «per così dire», che «il negativo fotografico dell'evento». Gestell ed Ereignis, impianto ed Evento, macchinazione ed Essere, si co-appartengono secondo il filosofo come facce di una stessa medaglia 10, di casa entrambe nel medesimo luogo ove però – i tempo sembrano ormai maturi per precisarlo – la falsa divinità “sacrificale”, annidata nel cristianesimo di facciata accolto in grande stile, su tutti, proprio da Heidegger, opera e trionfa apparentemente indisturbata. L'«ultimo dio» della filosofia si rivelerebbe così – è la tesi articolata nel presente lavoro – come la prima creatura (o una delle primissime) della teologia, quella magistralmente descritta e individuata da Girard nel fenomeno del mimetismo satanico e che, detto più semplicemente, è lucifero caduto stesso 11.
Note
1. Per farsi un'idea della pesante manovra editoriale sui testi del filosofo basti la lettura dell'ottimo Martin Heidegger. La verità sui Quaderni neri, corposo e dettagliatissimo studio di Francesco Alfieri e F.-W. von Hermann, ultimo assistente di Martin Heidegger, edito da Morcelliana nel 2016.
2. Come scrive Heidegger a Elisabeth Blochmann, il giornalismo ha la sua ratio nell'asservimento alla presa di potere dell'“elemento tecnico”: «Espresso marxisticamente: sotto il potere dell'elemento tecnico [das Technische] (nel quale io includo anche le moderne psicologia e psicagogia) “cultura” e “spirito”, “morale” e “civiltà” sono decaduti a puri e semplici mezzi tecnici. La forma di dominio dello spirito è il giornalismo, prendendo il termine in senso ampio ed essenziale» (Martin Heidegger-Elisabeth Blochmann, Carteggio 1918-1969, Il Melangolo, Genova 1991, p. 150).
3. La stessa che a certi politici odierni fa ripetere pappagallescamente: “il fascismo non è un'opinione, ma un reato”.
4. Heidegger si riferisce al beffardo “approfondirsi” del pensiero tecno-scientifico (che dell'intero pensiero idealistico moderno, secondo lui, è propriamente erede) nel suo rapporto con la natura nel XX secolo. Al crescere della “struttura”(Gestell) tecnico-metodologica, al trionfare del “metodo scientifico”, corrisponde di pari passo lo svanimento e la sempre maggiore indeterminazione del suo oggetto (la “scienza” stessa, da intendersi secondo Heidegger sempre metafisicamente, al modo di Hegel, come l'«Essere»). È dunque propria del XX secolo “la vittoria del metodo sulla scienza”, come preannunciato da Nietzsche (la vittoria della tecnica, cioè, sull'Essere) evidente, ad esempio, nel “principio di indeterminazione” di Heisenberg. Spiega Heidegger a Le Thor: «Ma cosa accade in seguito con Niels Bohr e i fisici moderni? Essi non credono, nemmeno per un istante, che il modello di atomo da loro proposto rappresenti l'ente in quanto tale. Il senso della parola ipotesi – e dunque della teoria – è cambiato. Esso è ormai soltanto un “presupposto che...” da sviluppare. Essa oggi ha un senso puramente metodologico e non più ontologico, il che non impedisce affatto a Heisenberg di continuare ad avanzare la pretesa di descrivere la natura». In tale contesto l'experimentum assume sempre di più il carattere di chiave di volta e fondamento della scienza, dell'Essere stesso: «Nell'esperimento ciò che conta è dunque l'effetto. Se l'effetto non sopraggiunge la teoria viene cambiata. La teoria è quindi essenzialmente modificabile e pertanto puramente metodologica. In fondo essa è ormai soltanto una delle variabili della ricerca» (Seminari, Le Thor, pp. 124-125). Appare chiaro così che in tutto il pensiero moderno, e specialmente nella sua fine, «la natura in quanto natura si sottrae». «La questione è che l'uomo moderno», chiosa Heidegger, «si trova ormai in un rapporto fondamental-mente nuovo con l'essere, – E CHE NON NE SA NULLA» (p. 143). Il progredire del progresso è un curioso approssimare e avvicinare sempre più, beffardamente, il non-senso della “x” (ancora una volta vista in anticipo da Nietzsche: “Da Copernico in poi l'uomo rotola dal centro verso una x”).
5. M. Heidegger, Quaderni neri 1938/39 [Riflessioni VII-XI], Bompiani, Milano 2016, p. 284. È così che l'esigenza di approfondire la comprensione heideggeriana del cristianesimo (il retroterra cattolico di Heidegger fu già indicato da Nolte come all'origine della prima, e forse unica, sua vera «svolta», benché negativa – un'antica ribellione luciferina che non vuol mai comprendersi come tale) si fa oggi improrogabile tanto da suggerire sviluppi teorici decisivi. Mai come nel caso di Heidegger diverrà necessario separare le diverse correnti di pensiero (metafisica greca, cristianesimo, romanitas e modernità) dando “a Cesare quel che è di Cesare, e a Dio ciò che è di Dio”. Infatti, non solo Heidegger non è mai giunto a formulare un pensiero più originario di quello cristiano-occidentale da lui sempre, fuorché all'inizio, (mal)inteso, ma all'inverso la sua peculiare (in)comprensione del cristianesimo ci è utilissima nel render ragione dell'impossibilità essenziale del suo, e di qualsivoglia altro, «pensiero dell'essere» (si tratta in ogni caso di doppi anti-trinitari).
6. Ribattezzato nella famosa intervista con lo Spiegel, e come vedremo non senza ragione, l'«altro pensiero», das andere Denken, il «pensiero dell'Essere» verrà ulteriormente connotato da Heidegger come «pensiero preparatorio» (In cammino verso il linguaggio) e come «pensiero tautologico» (Seminari di Zollikon).
7. Il pensiero dell’Essere (barrato) sarebbe, cioè, ancora un doppio di quel Cristianesimo che Heidegger non ha più potuto, o voluto, comprendere.
8. Ma che positivo un tale pensiero non sarà mai, poiché quest’“essere” e quest’“altro” che Heidegger instancabil-mente cerca, e sistematicamente non trova, è proprio il Nemico cattolicamente inteso, l'Avversario per eccellenza. La svolta da un cristianesimo sacrificale può essere infatti, per definizione, sempre e soltanto un doppio del cristianesimo sacrificale stesso. Heidegger rimane intrappolato nel “pensiero” della dialettica, e dunque, secondo la sua stessa comprensione, nel non-essere; senza mai realizzarlo del tutto è lui stesso ad auto-accusarsene, non riuscendo mai più a varare quel pensiero “tautologico” che resterà un puro proposito e una pia illusione.
9. Anziché vedervi un'inversione rispetto al cristianesimo, Heidegger ci vede una prosecuzione, una continuità e una riaffermazione del pensiero tecno-nichilistico. In un primo momento tenterà di salvare il proprio progetto coniugando cogito ed escatologia cristiana (Essere e tempo come sistematizzazione della fenomenologia della religione sulle lettere di Paolo); più tardi affermerà che il cogito è solo un riposizionamento del creazionismo cattolico. Il primo cortocircuito di Heidegger avviene proprio con Cartesio, tra il 1919 e il 1921, con la lettura delle Meditazioni metafisiche. Cogito e cristianesimo. Per essere “inverata” la (evidentemente non ancora matura) esperienza cristiana andrebbe dislocata e rifondata nell'«Io penso». Cfr. A. Fabris, Guida a Heidegger, p. 68. Dunque, il cristianesimo non sarebbe ancora vero... ci vuole il cartesianesimo! Ma Heidegger è un pensatore che, periodicamente, si auto-supera. Più tardi farà “conto pari” tra cartesianesimo e Cristianesimo (sarebbero lo stesso nichilismo) non riuscendo proprio così, invece, a pensarli.
10. La mano che ferisce è la stessa che cura? Tenendo fin d'ora a mente che l'Ereignis ha in sé un doppio del Gestell, la parte oscura dell'Enteignis. Ovvero: Enteignis e Gestell sono lo stesso che non si vuole rivelare. Ce lo preannuncia lo stesso Heidegger quando dice: ammesso e non concesso che “il dio” si riveli e non invece, come sembra egli stesso ritenere possibile e suggerire, si sottragga.
11. In Heidegger (il rifiuto e dunque) la mancata comprensione del Dio biblico-cristiano (che lo costringe giocoforza alle strette del consumatissimo spazio diabolico), lungo la linea ermetico-gnostico-massonica che interessa gran parte del pensiero tedesco moderno (Goethe, Fichte, Hegel e Böhme tra i tanti), si s-volgerebbe “ex positivo” in un pensiero che tenta disperatamente di superarLo, es-ponendo invece sempre di più il ruolo e la figura (meta) storicamente centrali del falsario antico, il padre del non-essere, dei “velamenti”, della menzogna e della morte.
II
TEOLOGO – Ciò spiega il “movente” in primo luogo, ed essenzialmente, teologico (benché dissimulato dall'avanscena del “politico” e oggi del politicamente corretto) dell'accanimento storico contra Heidegger, il cui “sentiero interrotto”, nel possibile smascheramento dell'ultima bugia, per così dire, dell'«ultimo dio», rischierebbe di spalancarsi sulla verità essenziale, e nient'affatto nichilistica, di un cristianesimo correttamente inteso – di aprirsi cioè sulla radura, sulla Lichtung questa volta autentica del cattolicesimo e del suo unico eterno «sistema»: la Trinità. L'ultimo dio infatti è sì l'ultimo, ma anche il primissimo capro espiatorio misconosciuto e scambiato dal filosofo per il “dio” che dissimula se stesso (da qui l'importanza attribuita alla maschera e a dioniso, ossia a satana). Ciò spiegherebbe anche perché, più in generale, pur avendo ingaggiato con l'idealismo-nichilismo europeo un corpo a corpo tra i più ricchi e affascinanti che la storia della filosofia ad oggi ricordi, Heidegger non riesca a toccarlo e a mostrarlo ancora, per intero e dall'esterno, per ciò ch'esso realmente è 12, “inciampando” proprio nel cuore – teologico e religioso – del suo ambizioso progetto di rifondazione del pensiero (l’Essere barrato). Quello di Heidegger deve assumere così la forma, lui per primo ne è consapevole tanto da abbozzarne una proposta “teorica”, di un pensare-“mostrare” parziale: per non usare violenza diretta all'«oggetto», all'Essere 13, il Signore della seconda e definitiva venuta (come l'esposizione tecno-scientifica sarebbe colpevole di fare sia in quanto scienza che in quanto fede 14 – assicurando nell'un caso la certitudo cartesiana nel sensibile, nell'altro nel sovrasensibile), gliene usa una indiretta, con-sentendo a un difetto, questa volta, di “visione” (lo “lascia essere”, come vedremo, velato!). Stando alla sua stessa interpretazione del detto eracliteo (per cui il Signore di Delfi, Apollo, «non nasconde né rivela soltanto, bensì dà segni») il mostrare heideggeriano va inteso del pari come un mostrare che “accenna”, allusivo, e pertanto strutturalmente chiaro-scurale.
BIGINI – Può, però, davvero essere questo il compito autentico di un pensiero? Lasciare delle zone in ombra – non pensate – e indicarle addirittura come fondamento 15 di quelle pensate? 16 Non scade qui il pensiero, legittimando in quanto tali non-conoscenza e non-essere (in quanto cioè “inattaccate” e “intonse”), al di sotto della sua propria dignità? Non vi è qui forse – nel riconoscere loro una dignità troppo alta, separata e distante dal conoscibile e dall'essente, e dunque dall'uomo – una resa proprio al non-essere come chiave di volta del pensiero?
Quel che è certo è questo: i Greci, dice Heidegger, avrebbero lasciato incompiuta e non pensata la verità, e più precisamente la lethe della verità; Heidegger, scartandone volutamente tutto il compimento squadernato da cristianesimo, teologia e scienza annesse (ai Greci indisponibile) lascerà realmente incompiuta e non pensata la lethe della verità, attribuendone per di più la responsabilità non al proprio fallimento ma al “pensiero in generale”, quasi fosse appunto una sostanza cartesiana, che sbaglierebbe “nella sua stessa essenza”.
E, inoltre, sono realmente sufficienti arte e poesia a mettere al sicuro la pericolosità estrema di tali oscuri “materiali”? O non è vero piuttosto l'inverso, che non-conoscenza e non-essere, col pretesto di essere “non-oggettivanti” 17, forniscono l'alibi a una defaillance fondamentale del pensiero? 18
Infatti se il “pensabile” nell'impensato si risolve in un quid che non solo «si sottrae», ma lo fa anche strutturalmente (si vuole, sembrerebbe, sottrarre, torna sempre a ri-velarsi) 19 al pensatore non resta che ridimensionare il proprio ruolo limitandosi a indicare un “compito” che resta sempre a venire (l'Essere barrato) e a tratteggiare la possibilità di un «pensiero preparatorio» in vista, tutt'al più, di una resa dei conti finale – l'Ereignis, cioè l’evento-appropriazione in cui il “dio” potrebbe rivelarsi ma anche, prevalendo l'Enteignis, sottrarsi 20. Il pensiero di Heidegger segue così le tracce, facendosi ad esso conforme, di questo peculiarissimo “Essere”: “eseguendo” la corrispondenza al suo continuo ri-velarsi, muta conseguentemente la propria essenza da “rappresentare” in “accennare” ciò che non è (né costitutivamente, secondo la nostra tesi, nemmeno mai sarà).
12. Anti-Trinità, Trinità rovesciata.
13. Essere da cui “invece” dipenderebbe il darsi o sottrarsi “futuro” di Dio (ma che si rivela girardianamente solo un doppio, tanto dal criticatissimo Dio cattolico quanto dell'ultimo, cosiddetto, dio).
14. Il «sistema del cattolicesimo». Che resta la matrice nichilistica, secondo Heidegger, del pensiero scientifico moderno.
15. Fondamento che si svelerà da sé e rispetto a cui il pensiero, se non vuol essere oggettivante, cioè nichilistico, non ha nessun potere né compito se non quello di “preparare il terreno” (l'auto-etimologia: Heid-egger) della futura auto-rivelazione, o sottrazione, dell'essere.
16. Giova ricordare infatti come l'epoca greca classica, gettando le prime fondamenta della metafisica e del Logos, abbia preparato il terreno al radicarsi del Cristianesimo e al definitivo svelarsi di ogni divinità sacrificale arcaica, ovvero di ogni non-essere e non-conoscenza. Il dio-nascosto, come ricorda San Paolo agli ateniesi nel discorso all'Areopago, è finalmente presente e svelato.
17. Ma a ciò servirebbe solo un cambiamento reale della soggettività “di fronte a cui...”. E nel caso di Heidegger c'è sì una messa in epoché della soggettività (il filosofo parla di un “lasciar pervenire a se stesso questo davanti a che cosa”), ma unicamente futuribile ed esperibile nell'abbandono (Gelassenheit) all'Evento.
18. Ciò veniva riconosciuto inizialmente da Heidegger. Nel 1937, nelle Domande fondamentali della filosofia. Selezione di «problemi» della «logica», affermava che il ruolo-guida, di Wegbereiter, nel passaggio all'altro inizio, sarebbe stato proprio del pensiero e non più della poesia come nel primo inizio greco.
19. Per questo, come incalza il suo auditorio di medici e psichiatri a Zollikon, «Ogni proposizione che si pensa in questo pensiero deve essere ogni volta ripensata» (Seminari di Zollikon).
20. Di fatto, il bivio Ereignis-Enteignis rilancia a un livello (in apparenza) ontologicamente differente e superiore il medesimo impensato funzionante ai piani inferiori del Gestell. Il Gestell, l'impianto, sarebbe infatti una “rivelazione” monca di velatezza che un giorno potrebbe "risolversi" rivelandosi come Ereignis, però, della Velatezza, ossia Enteignis del “dio” in putrefazione.
III
TEOLOGO – Ora questa china ombrosa, nascosta, misteriosa, è per un verso fonte di fascinazione, suggestione e seduzione. Heidegger è un “seduttore”. Gli è universalmente riconosciuto, oltre a esserne ben visibile l'impronta nella storia della filosofia, in oratoria come in prosa – «l'ultimo sciamano del pensiero», secondo la pregnante definizione di Antonio Gnoli e Franco Volpi, un «mediatore dotato di facoltà straordinarie» in grado «di mettere in contatto con le potenze celesti e infernali» 21. Tra i suoi allievi, come ricorda, confermando, Löwith, era chiamato il «mago di Meßkirch». Nonostante lo stile sobrio, asciutto rispetto a ogni gesticolare o artificio retorico, quello di Heidegger restava un eloquio «misterioso». Come un prestigiatore o un «sapiente incantatore» il filosofo era «capace di far sparire dinanzi agli astanti quel che aveva appena mostrato. La sua tecnica espositiva consisteva nel costruire un edificio concettuale che poi lui stesso demoliva per porre l'ansioso ascoltatore dinanzi a un enigma e lasciarlo sospeso nel vuoto […] Così ambiguo era l'effetto che quest'uomo faceva ai suoi allievi, che nondimeno ne rimanevano incantati perché egli sovrastava di gran lunga per l'intensità del suo volere filosofico tutti gli altri filosofi universitari».
BIGINI – Ricordando l'epoca dei suoi primi studi presso la Facoltà di Filosofia, all'Università di Marburgo, Hannah Arendt rievoca il vero e proprio terremoto che, già all'inizio degli anni Venti, provocò l'arrivo del giovane professor Heidegger. Preceduto dalla sua fama, fatta brillare, cioè, la miccia di un possibile “contagio mimetico” – fra gli studenti correva voce che a Friburgo «operava un giovane docente che diceva cose davvero insolite e che presto avrebbe avuto la fama di monarca senza corona nel regno del pensiero» (Nolte) – il suo arrivo ne “consacrò” l'immediata esplosione: «Quando Heidegger giunse a Marburgo, nel 1923, quasi tutti gli allievi di Nicolai Hartmann, il titolare della cattedra statale, passarono, come racconta Hans-Georg Gadamer, al più giovane “ordinario privato”, e ciò fu per il celebre fondatore di un'ontologia realistica un'esperienza amara e sconvolgente». Per non parlare del dopo-Essere e tempo. In occasione, ad esempio, della prolusione inaugurale di Heidegger a Friburgo nel 1929, quando non solo si diede appuntamento «tutta la città», ma convennero «da tutta la Germania». Nolte parla di «un fenomeno più unico che raro nella storia di tutta l'università tedesca: le aule di un docente, per le cui lezioni non c'era alcun obbligo di frequenza, erano letteralmente stipate di studenti, si può dire dall'inizio della carriera fino alle ultime apparizioni in pubblico, indipendentemente da quale fosse il clima storico del momento». E ancora: «Numerosi testimoni hanno parlato della potenza ammaliatrice di una lezione heideggeriana, e non pochi uditori hanno avuto l'impressione che le argomentazioni, estremamente concentrate e mai alleviate da una battuta, di quest'uomo piccolo e vestito stranamente che parlava dal pulpito, strappassero via un velo che copriva i loro occhi, anche se non sarebbero stati in grado di ripetere in maniera comprensibile il contenuto di quanto si andava dicendo».
TEOLOGO – Esemplari le parole del fisico Carl Friedrich von Weizsäcker, poi divenuto amico del filosofo – e come Medard Boss nella psichiatria, suo “discepolo” ed erede 22 – al termine di una lezione cui prese parte sul finire degli anni Trenta: «Questa è filosofia. Non capisco neanche una parola. Ma questa è filosofia».
Era un fascino proveniente da una doppia abilità, da una doppia maestria: Heidegger era dotato «in entrambi i registri», quello «della logica e della seduzione, dell'argomentazione e dell'immaginazione, della ragione e della visione […] In lui convivevano evidentemente anime agli antipodi e potenze inconciliabili fra loro. Quella dell'uomo di scienza, che conosce e pratica il rigore del concetto e dell'interrogazione, e al tempo stesso quella del pifferaio magico, del mistagogo, del seduttore che incanta con la sua musica e la sua parola»; circostanza della quale Heidegger era chiaramente consapevole dato che «si sentiva affidatario di una missione e custode di un mistero», continuano Gnoli e Volpi, «di cui lui solo sembrava possedere la chiave». Anche Heidegger, sulla falsariga del suo eroe Nietzsche “eletto” alla scoperta della morte di Dio e al suo annuncio come un anti-profeta, dovette sentirsi del pari un prescelto e un continuatore. Il carattere di annuncio sempre più deciso assunto dal suo ultimo filosofare (l’avvento di una nuova epoca dell’essere, la comparsa dell’ultimo Dio ecc…) ne è in un certo senso la prova.
BIGINI – Ne viene in definitiva la sensazione, assai comune e non facilmente stornabile, che il pensiero e i chiaroscuri di Heidegger accennino (e presiedano a loro modo) a un «evento» la cui verità e grandezza restano ancora in gran parte da decifrare, e che questa sorta di ininterrotto “processo di Norimberga” (Vattimo) alla sua biografia, prima ancora che alla sua filosofia, chiamata in causa sempre solo di rimando, contribuisca all'inverso a falsificare e deformare, tanto da confezionarsi un presunto diritto, da ultimo, di abolirla. Heidegger infatti, l'abbiamo anticipato, nasconde qualcosa in grado di spiegare al contempo (essendovi intimamente collegato) questa vis persecutoria che non lo abbandona neppure da morto, impaziente di ammutolirne la voce e depistarne gli sviluppi (se possibile per sempre) sotto lo stigma di un nazismo e un'antisemitismo, sia pur non del tutto presunti, di certo vistosamente pretestuosi (i “segni vittimari” del “capro espiatorio Heidegger”, utilizzando ancora le categorie di Girard) e sproporzionati rispetto alla condanna, abnorme ed emessa già da tempo, che ne imporrebbe addirittura la damnatio memoriae.
È come se Heidegger arrendendosi alla dis-velatezza (lasciando velata la «cosa» del pensiero, è il concetto di «im-pensato» introdotto nel primo, e penultimo, corso universitario post-epurazione, Cosa significa pensare?, del 1951-52) si riservasse di custodire qualcosa che da un preciso punto di vista (più chiaro forse ai suoi detrattori che lui stesso?) non dev'essere rivelato 23; qualcosa che perciò – per questo eccessivo timor latebrae e relativa, indebita, soggezione – funge altrettanto bene da sponda e “copertura” proprio a costoro, che dell'«im-pensato» heideggeriano si fanno forti, interpretandolo sbrigativa-mente al ribasso nel “politico” e nell'“umanistico”, per condurre una loro battaglia, in verità, puramente e strettamente teologica e più esattamente anticristiana 24.
TEOLOGO – È per questo che l'esigenza di illuminare un tale «im-pensato» (una tale «dis-velatezza») si fa oggi tanto più urgente, perché è attorno al “centro nascosto” del Dio cattolico e dell'avversario antico, e della loro filosofica confusione (dunque, se mai, della «Rivelazione» e del suo storico, luciferino, progetto di camuffamento e rovesciamento mondano) che si gioca la vera partita tra Heidegger e i suoi cosiddetti “futuri”, la partita del suo lascito filosofico autentico 25. Ecco allora che il motivo dell'altrimenti ingiustificabile accanimento contra Heidegger è, e può essere, solo questo: Heidegger va liquidato perché il suo pensiero, opportunamente sondato e setacciato, (ri)porta dritti al cattolicesimo 26. Cattolicesimo da cui il filosofo era partito e che è rimasto fino alla fine l'interlocutore privilegiato – certo, dentro a una dissociazione e un disconoscimento – di un ininterrotto dialogo sotterraneo, sia pure, e anzi a maggior ragione, come termine di una “protesta” e “rivalità” mai dome; il cattolicesimo dunque come fonte nascosta (rimossa solo in superficie) ed autentico vincitore di questa enigmatica partita di pensiero. Fonte lungamente e unilateralmente mediata – si vorrebbe quasi dire qui: “trattenuta” – dai cattivi maestri protestanti, a cominciare dallo Schleiermacher, come vedremo, dei Discorsi sulla religione.
21. È esattamente così. Gnoli e Volpi sono da prendere alla lettera.
22. Il suo lavoro L’immagine fisica del mondo si situa nel solco della tradizione heideggeriana de L'epoca dell'immagine del mondo.
23. Se non nel senso depistato e fuorviante del politico (nazionalismo) e dell'umanistico (anti-umanismo).
24. L'umanismo di matrice razionalista-illuminista dei detrattori si risolve infatti, poiché senza-Dio e anti-cristiano, in un umanismo a sua volta anti-umano. Ben di più, come vedremo, di quello contestato a Heidegger.
25. Futuri purtroppo per Heidegger, ma per nostra fortuna, mitologicamente coincidenti con quegli dei, semidei e capri espiatorii girardiani che, causa crucis, non potranno mai più venire.
26. E soprattutto alla sua escatologia, riconfermata ex tenebris dalla sua teorizzazione dell'Ereignis e dell'ultimo dio.