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Richard Von Kralik

 

      4. Il retroterra pantedesco (grossdeutsche) del cattolicesimo heideggeriano: i due poli del romanticismo tedesco (germanesimo), ariano-protestante e cattolico-fränkisch

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   BIGINI – Ora Farias nella sua nota, non riuscita, operazione persecutoria tesa a raccordare cattolicesimo e nazionalsocialismo nell'unicum coerente del pensiero stesso di Heidegger, operazione tesa a costruire, più in generale, un'immagine satanizzata del filosofo tale da giustificarne la messa all'indice e relativa damnatio memoriae – parte, un po' alla lontana, dal constatare la natura antiliberale e antisocialdemocratica della rivista «Allgemeine Rundschau», che come abbiamo visto aveva ospitato il suo primo scritto. Farias va e pescare il numero 12 in cui si poteva leggere un contributo in memoria del sindaco di Vienna Karl Lueger, definito da Heidegger “indimenticabile” nel suo intervento su Abraham-a-sancta-Clara: «Quando Lueger fu eletto al parlamento austriaco ebbe diretta e immediata occasione di constatare la generale corruzione e di individuarne la causa; per affrancare la patria comprese che occorreva innanzitutto schiacciare il liberalismo, le cui fila erano tirate da ebrei e fondare un nuovo partito […] È tra il 1875 e il 1896 che si svolse la lotta, invero grandiosa, contro il liberalismo giudaico infiltratosi a Vienna ormai da generazioni […] Lueger in un primo tempo credette di poter raggiungere questo scopo operando con il partito democratico. Ma il disgusto per gli ebrei che vi si erano insediati lo spinse a cambiare partito», ovvero, scrive Farias, «ad assumere l'iniziativa di fondare un movimento cristiano-sociale». Ma se «a partire dal 1913 l'“Allgemeine Rundschau” diviene ancora più radicale nel suo antisemitismo e nella sua opposizione alla socialdemocrazia», Farias è costretto tuttavia ad ammettere che «il nazional socialismo, nella sua scalata al potere, non troverà appoggio nella rivista, la cui successiva evoluzione la porterà, anzi, a pronunciarsi contro la legalizzazione della NSDAP [Nationalsozialistische Deutsche Arbeiterpartei, Il Partito Nazionalsocialista Tedesco dei Lavoratori1. Anche Lueger, come Heidegger, non vantava nobili origini: «per parte di padre proveniva da una famiglia contadina dell'Austria inferiore, per parte di madre da una famiglia di artigiani. La sua clientela non si discosta da questa matrice: raggiunto il dottorato in legge, Lueger si dedicò all'attività politica incarnando il ruolo di difensore e portabandiera della “gente modesta” che costituiva la maggioranza dei sobborghi viennesi». È sempre quel populismo cattolico (katholische Populìsmus) rilevato da Safranski per cui i ceti medio-bassi erano ben felici delle «promesse di farla finita “con gli interessi privati ebraici che minacciano di strangolare l'economia e la popolazione”». In qualità di principe degli antiliberali Lueger aveva ingaggiato «una sorta di lotta di classe sia all'interno della Chiesa che nella società viennese contro l'alleanza costituita dalla gerarchia cattolica, dall'aristocrazia e dai liberali»; e una volta divenuto sindaco, nel 1897, aveva avviato tutta una serie di riforme popolari per le quali Vienna fu per la prima volta dotata di un sistema di fognature, di una rete di distribuzione del gas, di linee tranviarie, di una più estesa rete di distribuzione dell'acqua nonché di nuove scuole e ospedali; lo scrittore cileno si accontenta di rilevare la presenza di Adolf Hitler ai funerali dell'austriaco nel 1910 e un'annotazione del Führer nel Mein Kampf per la quale «se il dottor Lueger fosse vissuto in Germania, sarebbe certamente entrato nel rango dei grandi uomini del nostro popolo»2. Benché sbagliata nell'impianto-intento generale, l’analisi di Farias coglie tuttavia un indirizzo del movimento cristiano-sociale, quello anti-illuminista e “romantico-cattolico” che, con i dovuti aggiustamenti, resterà ininterrottamente alla base del pensiero di Heidegger: «Il movimento cristiano sociale traeva origine dal romanticismo cattolico, ed esattamente come questo considerava il razionalismo dei Lumi come il proprio principale nemico»3. Heidegger rientra, cioè, a pieno titolo nelle coordinate del pensiero pantedesco (grossdeutsche Gedanke) del già citato Richard von Kralik».

TEOLOGO – Ed è a partire da quest'humus che acquistano senso le sue (polemiche) posizioni filosofiche sull'imperium romano e sul sacerdotium suo erede4, ivi compresa – ed è questo il punto del pensiero di Heidegger – la loro immaginaria rifondazione futura attraverso la “missione storica” che ancora nel 1943 attenderebbe a suo dire il popolo tedesco5; storica perché il popolo tedesco verrebbe a manifestarsi sul palcoscenico della storia universale come il legittimo portatore di un nuovo imperium (una nuova signoria mondiale) tale in quanto consacrato dal “ritrovamento” di un nuovo “dio” (un rinnovato sacerdotium). Ma vediamolo meglio. L'idea alla base del pensiero pantedesco è infatti che ogni popolo, ogni nazione, abbia il suo “angelo custode” di riferimento da cui riceve la sua specifica missione terrena. Scrive von Kralik nel 1921: «Come si trova scritto nel libro di Daniele, ogni nazione ha il proprio principio angelico, il proprio angelo protettore, un genio che la guida. Ma come ciascun membro del corpo organico, sebbene non posseggano tutti la medesima dignità, svolge una sua funzione, allo stesso modo la Divina Provvidenza ha affidato ai diversi popoli e Stati missioni e responsabilità differenti». Al popolo tedesco naturalmente (“il solo che meriti questo nome”), la missione e la responsabilità supreme. Infatti «la psicologia dei popoli dimostra che vi sono popoli attivi e popoli passivi […] Tacito […] collocò i germani del suo tempo ben al di sopra di tutti gli altri popoli, e ciò che egli ammirava era appunto lo spirito germanico. Questo fatto costituisce, come ha ben visto Jacob Grimm, l'albo d'onore dei germani di tutte le epoche […] Il popolo tedesco non muore, esso è sostanzialmente sano, cresce, si sviluppa, è adatto alla vita; costituisce un popolo assai più del popolo francese e degli altri suoi rivali […] non è un caso che deutsch significhi la medesima cosa che völkisch; infatti fin dalla Germania di Tacito, il popolo tedesco è il solo che meriti questo nome in tutto il periodo postclassico. Tutto ciò che ha valore nazionale (völkisch), politico e culturale, dall'antichità in poi, in Italia, Spagna, Gallia, Britannia, Russia ecc., lo si deve all'influenza germanica»6.

    Ora diciassette anni dopo Heidegger, nel suo capolavoro esoterico Contributi alla filosofia (Del- l'evento), tradurrà l'angelo di Daniele citato da von Kralik direttamente in un dio “custode” del popolo e della nazione: «Un popolo è un popolo solo se riceve la storia destinatagli nel ritrovamento (Findung) del proprio Dio […] L'essenza del popolo si fonda nella storicità di coloro che appartengono a sé in base all'appartenenza a Dio»7. Questo slittamento semantico da angelo custode della nazione a dio, direttamente, di un popolo, è chiaro segno del suo abbandono della fede e della teologia cattoliche per posizioni – in realtà – di purissima retroguardia pagana, ossia, dopo Cristo, non più oltre rifondabili e praticabili.

    Ancora nell'estate del '43 quando le sorti dell'imperialismo germanico apparivano irrimediabil-mente segnate, Heidegger arringava i suoi studenti scaricando sul cristianesimo la colpa di aver compromesso il pensiero e originato così la storia del nichilismo. La fuga di fronte al pensiero e alla storia «non è scoperta di oggi, ma è iniziata col Cristianesimo», chiariva il filosofo, «e ha solo cambiato forma col sorgere dell'età moderna. Il pianeta è in fiamme. L'essenza dell'uomo è allo sbando. Solo dai tedeschi – posto che essi trovino “ciò che è tedesco” [das Deutsche] e lo custodiscano – può venire un ripensamento dell'intera storia del mondo. Questa non è presunzione, ma la consapevolezza della necessità di una decisione conclusiva che riguarda un bisogno iniziale»8. In una precedente lezione dello stesso corso Heidegger aveva già detto che «questo sapere interrogante» a fondamento della filosofia, come dell'intera storia del mondo, benché «assai provvisorio […] deve esserci se mai i tedeschi – e solo essi – possano salvare l'Occidente conservandolo nella sua storia»9. E ancora: «In qualunque modo si possa configurare l'estremo destino dell'Occidente incombe ora sui tedeschi l'esame più grande e decisivo […] per vedere se essi stessi – i tedeschi – siano in accordo con la verità dell'essere, per vedere se essi, oltre a esser pronti per la morte, siano ancora sufficientemente forti per riuscire a salvare contro la meschinità di spirito dell'uomo moderno, l'iniziale [das Anfängliche] nel suo inappariscente ordinamento»10. Meschinità moderna la cui origine e radice sarebbe tutta ed essenzialmente cristiana...

 

BIGINI – Se non fosse che il ritrovamento di un tale “dio” da parte dei tedeschi (e in tal modo della consegna di “ciò che è tedesco”) non è – come noto – mai avvenuto, con conseguente mancata investitura del popolo e della sua altissima missione nella storia universale. Il “dio” dei tedeschi non si faceva trovare, lasciando il “suo” popolo senza bussola in un muto sgomento. Di più, l'«Ormai solo un dio ci può salvare» della celebre intervista allo Spiegel, nei tardi anni '60, sembra alludere nuovamente all'attesa di un tale “dio”. Per altro quest'autoinvestitura a “popolo eletto” (se non in quanto “ariano” almeno in quanto “filosofico”, benché l'in-quanto-che-cosa sia, a questo punto, ininfluente) sembra suggerire quella che Girard avrebbe chiamato una rivalità mimetica del popolo (eletto) tedesco, tutto “radici e tradizione”, con il popolo (eletto) ebraico, tutto “sradicamento e modernità”. Certo diverrà essenziale rilevare nella “tradizione” tedesca – e in modo analogo e speculare nello “sradicamento” ebraico – quell'humus caratterizzato nell'un caso dalla negazione e dall'assenza, nell'altro dal progetto, direttamente, di un “superamento” e una rifondazione del cristianesimo e della figura stessa di Nostro Signore Gesù Cristo. Fermo resta che la rivalità del popolo tedesco è qualcosa di totalizzante ed esclusivo («se mai i tedeschi – e solo essi – possano salvare l'Occidente conservandolo nella sua storia») e teologicamente determinato, poiché legato al “ritrovamento” del proprio “dio” («Un popolo è un popolo solo se riceve la storia destinatagli nel ritrovamento (Findung) del proprio Dio»), “dio” certamente superiore poiché ancora da rivelarsi e conoscersi, e in tal modo immacolato e preservato da quel nichilismo “giudeo-cristiano” di cui la modernità tecnica non sarebbe che un'ultima appendice.

TEOLOGO – Qui è da capire bene, in primo luogo, il quadro generale ossia questo “romanticismo cattolico” (Farias) che, come scrive von Kralik, vale lo stesso che germanesimo e lo stesso che Reich tedesco: «L'idea di Reich è in dissolubilmente legata al romanticismo tedesco, che, per essere rigorosi, andrebbe denominato germanesimo. Questo ideale viene plasmato fin dal 1871 ad opera di Richard Wagner, come antitesi al bismarckismo, i Nibelunghi, Parsifal... Qui dovrebbero appunto innestarsi una nuova poesia, una nuova arte, una nuova scienza cattoliche […] È dall'Austria, patria del canto dei Nibelunghi, di Walter von der Vogelweide, di Grillparzer e di Raimund, nonché dalla Germania, patria dei nostri classici weimariani, che sempre rinascerà lo spirito tedesco, bastevolmente almeno per dar vita all'autentica forma grossdeutsch o, per meglio dire, a ricrearla ancora una volta»11. Per esemplificare potremmo dire che, in modo speculare all'intreccio ebraismo-nazionalismo nel “genoma” del popolo ebraico, cristianesimo e nazionalismo si intreccerebbero e fonderebbero nel “genoma” del popolo tedesco. Infatti, scrive ancora von Kralik: «Dopo Cristo il mondo progredisce diventando germanico e cristiano […] L'idea del grande impero germanico è indistruttibile»12. Non ci sarebbe altra via. Inoltre, ciò che dovrebbe rassicurare, «tutto ciò non va inteso come imperialismo». Per che motivo? «Perché il popolo tedesco è il solo popolo di dimensione universale», l'unico che disporrebbe della possibilità di abbracciare e informare di sé tutti gli altri: «Gli inglesi e gli americani non sono che polloni della Germania e ciò che essi sanno l'hanno appreso dai tedeschi. La madre è sempre stata la Germania». Così anche «la letteratura tedesca è l'unica letteratura universale nel senso che è l'unica in grado di recepire la letteratura di tutti gli altri popoli, e questo grazie all'incomparabile strumento che è la lingua tedesca. Non ve n'è un'altra allo stesso grado perfetta (…) Soltanto quando l'umanità accoglierà il magistero spirituale della Germania e dell'Austria, saprà cos'è la politica, giacché finora non ne ha avuta idea».

     In secondo luogo all'interno di un tale, più che “romanticismo cattolico”, germanesimo cristiano – com'è più corretto chiamare quest'idealismo romantico assoluto dalle tinte cristiane – è da comprendere la curvatura protestante, se non proprio gnostica, impressale via via con sempre decisione da Heidegger, questa sua preferenza per il meno fecondo dei due rami della spiritualità germanica, quello ariano gotico-protestante: «Per von Kralik, dei due poli della spiritualità germanica – l'arianesimo gotico-protestante e il cattolicesimo fränkisch – solo quest'ultimo aveva dato prova di vitalità storica. In contrasto con la concezione prussiana e protestante von Kralik sostiene che sono stati i re carolingi, soprattutto Carlomagno, a creare la grandezza germanica in stretta collaborazione con Roma e il papato. L'ideologia grossdeutsch (pantedesca) era, nella sua essenza, cattolica. L'obiettivo era non di isolare i tedeschi bensì di unificarli, insieme ai danesi di stirpe germanica, e agli slavi della Boemia, con gli ungheresi che molto presto avevano accolto i valori tedeschi»13. Per Heidegger infatti non si tratterà più, ben presto, di unificare il popolo tedesco in un rinnovato “sacro impero romano germanico” con l'Austria cattolica alla sua testa, poiché lo stesso cattolicesimo sarebbe tutto da rifondare. Tanto la romanità (imperium) che il cattolicesimo suo erede (sacerdotium), in quanto romano, sarebbero colpevoli di aver misconosciuto, e dunque non pensato, il concetto autentico di verità – quella non-latenza che è il solo vero compito ontoteologico del popolo tedesco e dello stesso Heidegger, par di capire, in primis. Il punto è la “conservazione-superamento” del dominio illegittimo del primo (la romanitas dei popoli latini ereditata dalla Chiesa di Roma) e pertanto, anche, del Dio nichilistico del secondo (il Dio trinitario medesimo!).

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Note

1. V. FARIAS, Op. Cit., pp. 40-41.

 

2. Op. Cit. p. 35.

3. Op. Cit. p. 33.

 

4. Cfr. infra. 

 

5. senso indubitabilmente anti-liberale ma insieme anche, e proprio per la sua componente cattolica di fondo, ancorché pallida, certamente anche anti(nazional)-socialista.

6. RICHARD VON KRALIK, Der grossdeutsche Gedanke (Il pensiero pantedesco), in «Frankfurtes Zeitgemässe Broschüren», XXX (luglio 1921), 10, pp. 213 sgg. citato in V. FARIAS, Op. Cit., p. 44. 

 

7. M. HEIDEGGER, Contributi alla filosofia, p. 390.

8. M. HEIDEGGER, Eraclito, p. 83.

9Ivi, p. 74.

10Ivi, p. 119.

11R. VON KRALIK, Das Rätsel der Romantik (Il mistero del romanticismo), in «Der Gral», VI (ottobre 1911), 10, p. 242, citato in V. FARIAS, Op. Cit., p. 45.

12R. VON KRALIK, Der grossdeutsche Gedanke (Il pensiero pantedesco), in «Frankfurtes Zeitgemässe Broschüren», XXX (luglio 1921), 10, pp. 213 sgg. citato in V. FARIAS, Op. Cit., p. 44.

13Ibidem.

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