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Oggi, ultimo giorno della sua vita sulla terra dell'emerito Benedetto XVI, ma anche ultimo giorno del 2022 e forse non casualmente memoria liturgica di San Silvestro I papa, è giornata di profondo dolore. Anche se, visto retrospettivamente, si può dire che dal 2013 a oggi sia stato un tempo di grazie e di conversioni di molti cuori (anche del sottoscritto), quasi un decennio in cui la misericordia del Signore ha posto un argine ai "tempi" e forse, all'inverso, è passato paradossalmente al contrattacco con questo suo mite "pastore tedesco" (come schernendolo lo presentò, il giorno della sua salita al Soglio, un giornale comunista) e che con la sua clamorosa rinuncia al papato – quando ormai tutti poteri del mondo lo cingevano d'assedio, tentandone la presa – non ha fatto altro che imitare Cristo ossia, come scrisse una volta Girard a proposito di Hölderlin, «imitare la “relazione nel ritiro” che lega Cristo al Padre», e ritirandosi «nel momento stesso in cui avrebbe potuto regnare». Dove? Nella preghiera e nell'offerta nascosta fatta nel nascondimento, e a Dio, come noto, maggiormente gradita e dai rami solitamente più carichi di frutti. Come ha notato ieri Marcello Veneziani infatti, il bilancio del pontificato di Benedetto XVI vede 8 anni di ministero pubblico contro ben 10 di ministero nascosto, condotto cioè misticamente nel nascondimento dopo la famosa "renuntiatio muneris" dell'11 febbraio 2013...


Dunque gli smarriti rientrati nel frattempo nell'ovile, in questo decennio, sono forse la risposta, o una delle tante possibili, al perché di questo fatto realmente clamoroso e storico – un sacrificio nel sacrificio – benché, conoscendo Ratzinger, impossibile non credere meditato, ponderato e soprattutto divinamente ispirato.

Oggi anche i, tra di noi, più impassibili e granitici, sono commossi di questo illustre trapasso, del suo lascito (come tacere, oltre a quello teologico, l'altro argine liturgico del Summorum Pontificum?) e dei suoi molteplici, tutti cristianissimi significati. Oggi si piange, ma come diceva un'altra santa rimasta anch'ella a lungo tempo nascosta, Antonietta De Vitis (nella foto), «senza il dolore non si può salire il gradino, perché è gradino per gradino che si fa la scala», gradini impastati di dolore e d'amore: «il dolore insegna ad amare», diceva ancora Antonietta, «perché è il dolore la scala più sublime», la scala per il Cielo.

Grazie allora al nostro amato Benedetto XVI, e insieme ad Antonietta e a tutti i mistici e ai santi che – nel nascondimento – hanno portato e portano ancora avanti, con il loro sacrificio tanto inapparisciente quanto più gradito al Signore, “l'immensa opera della Rivelazione”, che è sempre di nuovo opera di conversione e redenzione di tutti i cuori.

Allacciamoci allora le cinture della santità e rimettiamoci in cammino con umiltà e confidenza nel Signore, consapevoli che, anche se le difese non reggeranno, in qualche modo pur sempre reggeranno e che combattendo una battaglia persa, come diceva Chesterton, tuttavia non la perderemo.

©2021 Laportastretta(Lc13,24)
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