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Carl Braig (sx) e Conrad Gröber (dx)

 

      2. I buoni maestri del primo Heidegger e il noviziato "interrotto"

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    BIGINI – Ma tornando a Gröber. Unico cronista della “battaglia culturale” nel Baden, questi si sarebbe posto nei confronti del cattolicesimo, stando al comunista Viktor Farias, «come [un] tedesco del sud» (la stessa indelicata accusa, quella, in breve, di “essere un contadino”, mossa successivamente al filosofo da Adorno); avrebbe allarmisticamente visto, cioè, in questo tentativo (ulteriore in terra tedesca) di scisma modernista dalla Chiesa cattolica (derubricata dal cileno a mera «controversia»), «il tentativo di distruggere tradizioni regionali intimamente legate al cattolicesimo». Gröber, sempre nelle parole di Farias, accusa il veterocattolicesimo «di essere un movimento radicalmente ostile alla Chiesa e alla sua gerarchia, favorevole al liberalismo e ai Lumi, assai vicino alla massoneria, e tanto lontano da ogni base popolare da configurarsi come elitario, più vicino all'aristocrazia che al popolo. Esso poteva trovare accoglimento soltanto in ambiti privilegiati, intrinsecamente scettici. Con il sostegno di Bismark e della Prussia, sarebbe diventato lo strumento di una politica rivolta contro la provincia, la patria locale, e, parimenti, contro il potere centrale della Chiesa cattolica romana». L'arcivescovo rovesciava poi l'accusa fatta dal governo prussiano al cattolicesimo, preteso “nemico interno” ed elemento disgregatore dell'unità nazionale del Reich (non diversamente, si diceva, che dell'Impero Romano quasi due millenni prima) sostenendo che «è al contrario il disgregarsi del cattolicesimo» ad «attentare realmente all'unità nazionale». Dunque la causa «principale» dello scisma e le parole di Gröber suonano oggi addirittura profetiche – sarebbe se mai «l'insufficiente impegno dei cattolici, la loro inadeguatezza nella pietà militante, la loro incapacità di affrontare il nemico con un fermo orientamento politico, armati di una fede autenticamente vissuta». Nel caso particolare, i «maneggi opportunistici» dei dissociati che si sarebbero lasciati trascinare in una «spregevole alleanza con la socialdemocrazia, il “vero nemico interno” del Reich»1.

 

TEOLOGO – L'educazione cattolica di Heidegger fu in tal modo naturale per provenienza e necessaria per condizione. Infatti benché «piccoli borghesi benestanti», gli Heidegger non potevano permettersi di mandare i figli nelle costose scuole superiori. E qui, come d'uso, interveniva la Chiesa: «Era una prassi comune che la Chiesa pagasse sussidi agli studenti più dotati e che reclutasse al tempo stesso nuove vocazioni sacerdotali, soprattutto nelle campagne». Camillo Brandhuber, parroco di Meßkirch – nonché militante dello Zentrum, deputato al parlamento prussiano per l'Hohenzollern dal 1909 al 1918 e presidente dello stesso fino al 1932 – impartì gratuitamente al giovane Martin delle lezioni di latino, consentendogli così l’accesso al collegio cattolico di Costanza, il convitto ginnasiale arcivescovile Konradihaus. Con Gröber, allora direttore del collegio, Brandhuber riuscì poi a procurare al giovane la borsa di studio «Weiß» (Costanza 1903-1906)2, il sussidio «Eliner» («legato alla formazione sacerdotale» coprì gli ultimi anni di liceo a i primi due presso il seminario di teologia a Friburgo, fino al 1911) e infine un finanziamento dalla donazione «Schätzler» (1913-1916) con cui Heidegger potè completare gli studi universitari. Lo scopo della fondazione erogatrice dei sussidi di studio era quello di «avviare i borsisti alla salvaguardia del patrimonio filosofico e teologico di San Tommaso d'Aquino». Si era certi, insomma, della carriera ecclesiastica del futuro filosofo. A detta di Nolte «Brandhuber, Gröber e senza dubbio anche il giovane Martin supponevano che questo sarebbe stato per lui l'inizio della via verso il sacerdozio». O, come scrive Ott senz’alcun margine di dubbio, «Heidegger voleva percorrere la via diretta, cioè entrare, dopo gli studi a Friburgo, come allievo nel seminario sacerdotale arcivescovile, ed essere ordinato sacerdote». Prova ne è l'attestato rilasciatogli il 10 settembre da Leonard Schanzenbach, rettore del convitto del ginnasio di Friburgo nonché suo professore di religione e lingue ebraiche: «Martin Heidegger, nato a Messkirch il 26 settembre 1889, figlio del sacrestano della parrocchia locale, è entrato nella nostra settima classe liceale, provenendo dal ginnasio-convitto di Costanza; il trasferimento è stato determinato dal desiderio di usufruire di una borsa di studio Eliner. Il suo talento, il suo zelo e il suo comportamento morale sono buoni. Il suo carattere rivela una certa maturità, anche nello studio si è dimostrato autonomo, applicandosi talvolta anche un po' troppo, a spese di altre discipline, alla letteratura tedesca, nella quale si mostra particolarmente edotto. Nella scelta in seno all'attività teologica è sicuramente incline alla vita all'Ordine. Si candiderà, probabilmente, all'ammissione nella Compagnia di Gesù». Così avvenne. Superata brillantemente la prova di maturità nell'estate del 1909, il 30 settembre Heidegger entra nel noviziato della Compagnia di Gesù a Tisis, presso Feldkirck, per esserne però congedato già il 13 ottobre. Erano precisamente le due settimane di prova in cui i candidati, non “vestiti” e con alcune limitazioni, partecipavano alla vita della comunità. Nel libro di entrata a Tisis non fu registrata alcuna motivazione benché, «stando a una voce non ufficiale proveniente dall'ambiente dei gesuiti Heidegger», scrive ancora Ott, «avrebbe accusato alcuni disturbi cardiaci durante una passeggiata all'“Älple”, nei pressi di Feldkirch». Dunque solo a causa della sua cagionevole salute non sarebbe stato accettato nell'Ordine3; non fu «una decisione di Heidegger, ma una risoluzione dei Gesuiti; un fisico sano e adeguato era infatti la condizione per la vita nell'Ordine»4. La bontà della spiegazione è riconfermata dal successivo congedo dalle armi cui era stato chiamato nell'ottobre del 1914, allo scoppio del primo conflitto mondiale, sempre «a causa dei suoi disturbi di cuore» (Safranski, p. 74)5; ma anche la buona fede del ventenne (futuro) filosofo, ossia la sua genuina intenzione di farsi gesuita, è riconfermata, come stiamo per vedere, dai primissimi scritti del contiguo biennio 1910-11. Archiviata l'opzione del sacerdozio, Heidegger presentò subito domanda per il convitto teologico di Friburgo – il Collegium Borromaeum, dedicato a San Carlo Borromeo6 – accolta la quale poté iniziare lo studio della teologia cattolica all'Università di Friburgo già nel semestre invernale del 1909.

 

BIGINI – Del 1909 è anche l'incontro con il teologo dogmatico e antimodernista Carl Braig, rappresentante della «teologia sistematica» e punto di riferimento decisivo (un «maestro») per l'intero suo cammino di pensiero. E benché il filosofo ventiseienne e abilitando non fece alcuna menzione di Braig nel suo curriculum vitae del 1915 (per ovvi motivi che vedremo a breve) viceversa, nel 1957, per il discorso inaugurale all'Accademia delle scienze di Heidelberg, Heidegger dichiarerà di aver ricevuto «la determinazione decisiva» per la successiva attività accademica da due sole persone, lo storico dell'arte Wilhelm Vöge e appunto Braig, «professore di teologia sistematica» e «ultimo appartenente alla tradizione della teologia speculativa di Tubinga, che attraverso il confronto con Hegel e Schelling conferì ampiezza e rango alla teologia cattolica». I primi rudimenti del mestiere Heidegger li aveva infatti ricevuti, nell'ultimo anno di liceo, imbattendosi in un lavoro di Braig, Dell'essere. Schizzo sull'ontologia; la contemporanea lettura della tesi di laurea di Brentano, Del molteplice significato dell'essere in Aristotele, ricevuta da Gröber, aveva poi dovuto accendere in lui la domanda sul senso “dell'essere”: «Se l'essere è detto in molti modi» – ricorderà lui stesso nel 1963 in uno scritto commemorativo di Braig per l'editore Niemeyer – «quale ne è allora il significato guida fondamentale? Che significa essere? Nel mio ultimo anno di liceo mi ero imbattuto nello scritto dell'allora professore di dogmatica all'Università di Friburgo Carl Braig: Dell'essere. Compendio d'ontologia. Era apparso nel 1896 al tempo in cui il suo autore era professore straordinario di filosofia nella Facoltà di Teologia di Friburgo. I capitoli principali dello scritto recavano ogni volta alla fine brani molto lunghi dai testi di Aristotele, Tommaso d'Aquino e Suarez, e in più l'etimologia delle parole per i concetti ontologici fondamentali»7. Da Braig, scrive ancora Heidegger, «sentii parlare per la prima volta, durante le passeggiate in cui ebbi modo di accompagnarlo, dell'importanza di Schelling e Hegel per la teologia speculativa in opposizione alla dottrina della scolastica. Così entrò nell'orizzonte della mia ricerca la tensione tra ontologia e teologia speculativa come l'armatura della metafisica» (Ott, p. 56). Braig è particolarmente importante nell'esplorazione della “contrada” heideggeriana poiché la “mappa” ne mostra ancora, ben visibili, alcuni suoi punti fermi: l'anzidetta «tensione tra ontologia e teologia speculativa» e più in particolare, lo ha rilevato Nolte, l'«antimodernismo» quale sua «componente più duratura» – e che a detta dello storico ne consentirebbe l’apparentamento alla “rivoluzione conservatrice”, respinta invece dal filosofo al pari dell’etichetta di “esistenzialista…

 

TEOLOGO – …in realtà l’antimodernismo di Heidegger, eccettuata la breve parentesi 1910-12 – cui risale il primo vero esordio letterario del filosofo – subirà una paradossale involuzione che andrà a neutralizzarne la portata, trattenendolo così necessariamente su sentieri interrotti (Holzwege)8. Ma lo vedremo più avanti.

 

BIGINI – Di più, lo spessore della figura di Braig, affatto antiscientifica e “oscurantista” ma orientata anzi entro l'unico binario (tipicamente cattolico) insieme teologico e scientifico9, avrebbe conquistato il giovane Heidegger tanto da restarne ininterrottamente modello. Gli antimodernisti infatti, nota correttamente Safranski, non avevano «semplicemente a cuore la difesa dei dogmi ecclesiastici (l'“immacolata concezione”) e dei principi della gerarchia clericale (l'infallibilità del papa). Questa è l'immagine che ne hanno dato spesso i loro avversari, che perciò hanno visto nell'antimodernismo nient'altro che una pericolosa o persino ridicola congiura oscurantistica contro lo spirito scientifico del tempo, contro l'illuminismo, contro l'umanismo e le idee di progresso di qualsiasi tipo». E, purtroppo per i modernisti, «che si potesse essere antimodernisti senza diventare oscurantisti, lo mostra proprio l'esempio di Carl Braig». Il teologo maestro di Heidegger, in un magistrale “contropiede” a liberali, progressisti e rivoluzionari, era solito difatti «mettere allo scoperto i presupposti fideistici irriflessi che si annidano nelle diverse varianti della scientificità moderna. Egli voleva svegliare dal “sonno dogmatico” tutto ciò che si illudeva di essere libero da credenze e presupposti. Anche i cosiddetti agnostici, diceva, hanno una fede particolarmente primitiva e semplicistica: quella nel progresso, nella scienza, nell'evoluzione biologica», per non parlare della «fede nelle leggi economiche e storiche». Il modernismo, dice lo stesso Braig, «è cieco davanti a tutto ciò che gli sia estraneo o che non sia al suo servizio», ma è il suo stesso impianto filosofico (guidato da una cecità tutta particolare, lo sguardo della soggettività metafisica cartesiana) a esser totalmente senza fondamento: «la verità storica», scrive Braig, «come ogni verità [...] precede l'io soggettivo e sussiste senza di lui». Braig, continua allora Safranski, sembra a volte «voler fare a pezzi, con piglio risoluto, la stanza degli specchi in cui vede prigioniero l’uomo moderno. Braig predica apertamente un realismo di stampo pre-moderno, insieme spirituale ed empirico», che giustifica con l’affermazione che l’uomo, poiché a conoscenza dei limiti, se ne troverebbe (perciò stesso) già anche al di là: «avendo conoscenza del conoscere e percezione del percepire ci muoviamo già nel campo della realtà assoluta». Per tale ragione «dobbiamo liberarci dell’assolutismo del soggetto, afferma Braig, per diventare liberi per la realtà dell’assoluto» (corsivi nostri)…

 

TEOLOGO – …liberarci, cioè, dell'errato modello di soggettività (quello “angelistico” ben illustrato nel  tomismo del primo Maritain) divenendo liberi per l'imitazione dell'unico vero Dio possibile (quello trinitario). Ma dicevamo di Heidegger appena “scartato” dal seminario e neostudente di teologia presso il Collegium Borromæum di Friburgo. Il fondamentale biennio 1910-1911. Ott fa notare come nel volume XIII della Gesamtausgabe, autorizzato da Heidegger in un tardo periodo della sua vita, compaiano solo il breve scritto commemorativo per Abraham-a-sancta-Clara dell’agosto 1910 e le tre poesie Sfarzo morente (Sterbende Pracht), Vogliamo attendere (Wir wollen warten) e Passeggiata serale a Reichenau (Abendgang auf der Reichenau)10, uscite per il settimanale cattolico Allgemeine Rundschau di Monaco, ma non gli altri (importantissimi) scritti dello stesso periodo – le recensioni ai libri di Jörgensen (marzo 1910) e Förster (maggio 1910) comparse su Der Akademiker, rivista «del tutto allineata alle direttive di Papa Pio X» sulla questione modernista11. Su questa rivista Heidegger si trovava, tra gli altri, nell'ottima «compagnia di Romano A. Guardini». Il giovane filosofo già dal 1909 era membro del circolo viennese Gralbund (L’unione del Graal), «gruppo di stretta osservanza antimodernista facente capo al movimento giovanile cattolico, la cui guida era il viennese Richard von Kralik, un fanatico», secondo Safranski, «della ricostituzione della pura fede cattolica e dell’impero cattolico-romano della nazione tedesca. Il centro di quest’impero dovevano essere gli Asburgo, non la Prussia», e naturalmente Vienna, sotto le cui mura la cristianità aveva vinto l'ultima battaglia contro l'invasore asiatico, ne sarebbe stata centro e roccaforte; «Si trattava quindi di una concezione politica della Mitteleuropa». Vi si vagheggiava il Medioevo romantico dei Novalis e «si credeva nella “legge soave” della fedeltà alla tradizione»11, da difendere ad ogni costo dal veleno e dalle presunzioni della modernità. Von Kralick era anche il fondatore della rivista cattolica collegata all'omonimo circolo, Der Gral, il cui lavoro intendeva portar fuori la cultura cattolica dalla difensiva in cui i modernisti e il Kulturkampf l'avevano costretta, così da «tornare alle proprie origini e forgiare una letteratura e una scienza specificamente cattoliche, conformandosi in spirito di totale obbedienza alla volontà di Roma. Von Kralik e la sua rivista vedevano in Karl Muth e nell'“Hochland”», la rivista avversaria di ispirazione modernista, «la tentazione di trovare ammaestramenti nella cultura non cattolica e denunciavano questa posizione come un tradimento delle idee cattoliche». Questi ultimi scritti, «piuttosto particolari» e che «lasciano un po' stupiti», sono forse «sfuggiti ai solerti ricercatori del periodo giovanile di Heidegger» perché «stampati in pubblicazioni poco accessibili, in parte sotto pseudonimo o firmati con le sole iniziali e comunque non apocrifi», si domanda Ott? O forse, ancor più decisivo, «sono caduti successivamente sotto l'accetta dello stesso Heidegger?». Ad oggi possiamo rispondere di no. Il titanico lavoro di pubblicazione degli oltre cento volumi dell'edizione completa delle opere (Gesamtausgabe)12 avrebbe visto infatti pubblicato nel 2000 (Ott scrive la sua biografia nel 1988), e in altro volume, il sedicesimo13, il materiale “incriminato” non comparso nel tredicesimo. Inesatto dunque che tali scritti non fossero ritenuti degni da Heidegger di essere inseriti nell'edizione completa delle opere. Se è «soprattutto da essi si può ricavare un'immagine corretta dello studente di teologia Martin Heidegger», è altrettanto vero che il filosofo non ha mai inteso occultarli, così come apparso in un primo momento, al vasto pubblico.

Note

1.VICTOR FARIAS, Op. Cit., p. 16.

 

2. Nel 1906 Heidegger, come racconta Nolte, «passò da Costanza al Bertholds-Gymnasium di Friburgo, dove fece ugualmente parte del collegio ginnasiale ecclesiastico, perché soltanto con questo presupposto poteva usufruire del cosiddetto “Erlinersche Stipendium”, una borsa di studio di cui godette ancora fino al 1911, dunque anche per i due anni successivi alla maturità, durante i quali studiò teologia, in conformità alle intenzioni del donatore». 

3. HUGO OTT, Op. cit., p. 55.

 

4. R. SAFRANSKI, Op. Cit., p. 74. «Riconosciuto parzialmente abile e rimandato a casa», Heidegger può fare ritorno «alla sua scrivania, dove si immerge a capofitto nei sottili dibattiti medievali sul nominalismo».

 

5. A proposito del Santo, solo l'anno seguente, nel 1910, in occasione del trecentesimo anniversario della sua canonizzazione (1610), Pio X scriverà l’enciclica Editae Saepe, meglio nota in area tedesca come Borromäus-Enzyklika. L’enciclica, mettendo a confronto la figura di san Carlo Borromeo, definito “riformatore sincero”, con i promotori della riforma protestante, definiti “riformatori falsi” e “faziosi riformatori”, suscitò indignazione tra i luterani tedeschi che giudicarono i contenuti irriverenti nei loro confronti. A seguito delle proteste dei governi di Prussia, Baviera, e Sassonia e dietro pressione dei vescovi cattolici tedeschi, la Curia rinunciò alla notificazione ufficiale dell’enciclica in Germania (cfr. https://parrocchia sanpioxcl.net/2012/08/29/san-pio-x-la-storia-del-papa/).

6. M. HEIDEGGER, Mein Weg in die Phänomenologie, in Zur Sache des Denkens (Band 14), tr. it. Il mio cammino di pensiero e la fenomenologia, in Tempo ed essere, Guida editori, Napoli 1998, pp. 193-201.

 

7. Cfr. infra.

 

8. Scienza ed “essere”, sapere e “dio” sono infatti anche nella metafisica tedesca, secondo lo stesso Heidegger lettore di Hegel, sinonimi.

9Quest'ultima, risalente al 1916, scritta per la futura moglie e fedele compagna di vita Elfride Petri.

 

10Nel 1907, con l'enciclica Pascendi Dominici Gregis, Pio X dichiarava guerra alle false dottrine dei modernisti – De falsis doctrinis modernistarum, come recita il sottotitolo dell'enciclica. Modernismo e antimodernismo si opponevano già in Germania (lo abbiamo visto nel Kulturkampf) non solo in quanto “naturale” opposizione della Chiesa romana al mondo secolare, ma anche in quanto opposizione alla Chiesa, e ormai dal suo stesso interno, del saeculum medesimo – con pure velleità di “riforma” e “rinnovamento” della dottrina e dell'interpretazione fondamentale stessa del Logos: «I fautori dell'errore (fautores errorum) già non sono ormai da ricercarsi fra i nemici dichiarati (apertos hostes); ma, ciò che dà somma pena e timore, si celano nel seno stesso della Chiesa (in ipso sinu gremioque ecclesiae), tanto più perniciosi quanto meno sono in vista (eo sane nocentiores, quo minus perspicui)». Pio X non si riferiva solo al laicato cattolico, ma a molti «dello stesso ceto sacerdotale (ex ipso sacerdotum coetu)» che, «scevri d'ogni solido presidio di filosofico e teologico sapere (nullo solido philosophiae ac theologiae praesidio), tutti anzi penetrati delle velenose dottrine dei nemici della Chiesa (immo adeo venenatis imbuti penitus doctrinis quae ad Ecclesiae osoribus traduntur) si danno, senza ritegno di sorta, per riformatori della Chiesa medesima (Ecclesiase eiusdem renovatores se iactitant)». Fra i nemici della Chiesa questi sono i più dannosi (perniciosiores) poiché la scure essi la pongono «non già ai rami o ai germogli (non ad ramos surculosque ponunt), ma alla radice medesima (sed ad radicem ipsam), cioè alla fede e alle fibre in lei più profonde (fidem nimirum fideique fibras altissimas). Intaccata poi questa radice dell'immortalità», proseguiva Pio X, «continuano a far correre il veleno per tutto l'albero», adagiandosi «in una falsa coscienza (mendaci quadam conscientia animi)» e persuadendosi «sia amore di verità ciò che è infatti superbia e ostinazione (veritatis studio tribuere quod uni reapse superbiae ac pervicaciae tribuendum est)». Papa Sarto veniva poi a tratteggiare la poliedrica figura del modernista, in apparenza – ma solo in apparenza – di grande ricchezza ed erudizione nel suo mescolare e compendiare (commiscere) in sé «molteplici personaggi: quelli cioè di filosofo, di credente, di teologo, di storico, di critico, di apologista e di riformatore».

11R. SAFRANSKI, Op. Cit., p. 30.

 

12Opere che il filosofo avrebbe voluto pubblicate come “vie” (Wege) in polemica con l'opus di tradizione romana, idea comprensibilmente bocciata dall'editore e risolta in un più ragionevole frontespizio all'opera: «Wege - nicht Werke».

13. Cfr. M. HEIDEGGER, Discorsi e altre testimonianze del cammino di una vita. 1910-1976 (Reden und andere Zeugnisse eines Lebensweges. 1910-1976).

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