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Grandezza e limiti del pensiero di Pavel A. Florenskij

Aggiornamento: 28 dic 2023


Lettura e commento integrale della sua opera maggiore: La colonna e il fondamento della Verità1. Parte prima


Il martire Pavel Aleksandrovič Florenskij ha portato nella tomba molti meriti con sé.

Il merito maggiore è la morte cruenta, per fucilazione, dopo la prigionia nel gulag sovietico delle Solovki2. Eppure nessuno apre una causa di beatificazione per lui. Nessuno della chiesa ortodossa; e non perché don Pavel non abbia dato prova di una vita santa, ma semplicemente per una deriva erronea (gli ortodossi dicono eretica) della sua Weltanschauung, della sua visione del mondo.

Quale deriva? Seguace del sofianismo russo3, Florenskij pone accanto al Padre,

al Figlio e allo Spirito Santo – seppure a modo suo, non come Bulgakov o Solov’ëv – una quarta ipostasi: la Sofia, la sapienza di Dio. E questo attiene alla teologia.

Ma Florenskij cade anche sul piano della filosofia, quando pone a fondamento della verità l’«antinomia», ovvero una sorta d’incoerenza congenita.

Conclusioni sorprendenti e deludenti per tanti aspetti. L’unica preoccupazione che sta all’inizio dell’opera di Florenskij, infatti, è la difesa della metafisica e la proposta di una teoria del Tutto, di un sistema completo della realtà. Il pensatore russo non riuscirà mai a produrre qualcosa di sistematico, ma solo per contingenze storiche, dovute alle avversità della vita. Non certo nelle intenzioni: la sua mente abitò l’immensità, l’assoluto, la completezza che si trova solo in Dio.

L’opera maggiore – La colonna e il fondamento della Verità – è solo un’antologia di dodici lettere, dove comunque c’è l’ombra di una certa sistematicità. L’autore, dunque, ha potuto esprimersi, in questa e in altre opere, anche sotto le molte difficoltà, dovute alla persecuzione dei comunisti sovietici. Ne è venuto fuori un lavoro notevole, originale e spesso veritiero, anche rispetto alla teologia occidentale.

E vediamo allora dove il pensiero di Florenskij è grande e dove invece si fa ambiguo, proprio nella sua opera maggiore.


Introduzione del libro: «Al Lettore»

Un senso di delusione appare subito e l’entusiasmo scema alla lettura della prima riga, dove Florenskij esprime «l’intenzione» di questo suo libro: «L’esperienza religiosa viva come unico legittimo mezzo per conoscere i dogmi».

È davvero possibile che l’autore imposti il suo percorso metafisico con un clamoroso aut-aut? E chi giudica se l’esperienza religiosa sia viva o morta? Qual è poi il criterio per cui l’esperienza religiosa è vera o falsa? Florenskij considera solo i santi asceti, la cui esperienza religiosa è certamente viva e vera. E fa bene quando dice che «gli asceti della Chiesa sono vivi per i vivi e morti per i morti». Sì, ma chi giudica chi sia asceta o mentitore? Perché se l’asceta è un mentitore, non solo è fuori dalla Chiesa, ma è morto per i vivi e vivo solo per i morti.

Florenskij spazza via, nelle prime poche righe, il criterio oggettivo, che fonda la metafisica. La delusione è tanto più forte in quanto si tratta dello stesso autore de Le porte regali4, testo profondamente metafisico. Ci aveva deliziato, il sacerdote martire. Aveva parlato dei sogni della salita e dei sogni della discesa, facendoci quasi toccare il mondo metauranico. Aveva parlato della mollezza pittorica occidentale su tela e della solidità iconica orientale, che usa supporti in legno. Criticava l’occidente per via del rinnegamento del canone pittorico. E ancora bacchettava – con piena ragione – il molle occidente, molle anche nel suono dell’organo nelle chiese.

Ora invece (in Stolp), in difesa dell’«indefinibilità dell’ecclesialità ortodossa», assicura che la vita ecclesiale si può comprendere «soltanto vivendola, non astrattamente e razionalmente». Ma la razionalità in Dio non è razionalismo: «la fede senza ragione è superstizione», scriveva Pascal, ispirato da sant’Agostino. Di nuovo un aut-aut infondato: o la vita o la ragione.

Davvero si può accennare al fondamento della verità lodando l’«indefinibilità» e mortificando il «concetto»? Il «concetto» – scrive Florenskij – è ciò che accomuna cattolici e protestanti e che «rende superflua ogni manifestazione di vita». Per il cattolicesimo, però, le cose stanno diversamente: i santi della Chiesa sono una sintesi di vita e di concetto. Nessun santo è stato mai un razionalista (fede ridotta a concetto), né un superstizioso (assenza di concetto e fede cieca).

Non bisogna, dice l’autore, confinare la Chiesa – che è il Corpo di Cristo – in una «definizione logica». E infatti la Chiesa cattolica non rinchiude il pléroma (pienezza) ecclesiale nella definizione logica, ma lo esprime nel dogma, che è ragione e fede insieme.

Arriviamo all’assurdo florenkijano: «l’ortodossia si mostra, non si dimostra». Non è vero, perché la santità è sempre stata mostrata e dimostrata. I teologi maggiori della Chiesa furono anche grandi santi. E dunque mostrarono e dimostrarono, perché diedero sempre ragione della speranza che era in loro (cf. Prima Lettera di Pietro).

Et-et cattolico, non aut-aut protestantico ed ora, qua, anche florenkijano.


NOTE


1 Pavel A. Florenskij, Столп и утверждение истины (Stolp i utverždenie istiny), Put’ Editrice, Mosca, 1914. In questa sede il testo di riferimento è: Pavel A. Florenskij, La colonna e il fondamento della Verità. Saggio di teodicea ortodossa in dodici lettere, Mimesis Edizioni, Roberto Revello (a cura), Emilia Sassi (trad.), Kira Mladič (trad.), 2012. Da qui abbrevio il titolo con Stolp.

2 Nel 1933 Florenkij è arrestato e deportato nel campo di prigionia delle isole Solovki (Mar Baltico). È fucilato l’8 dicembre 1937 presso Stalingrado, almeno secondo una fonte del KGB, rinvenuta dai familiari.

3 O anche «sofiologia»: «Orientamento mistico speculativo promosso da alcuni pensatori russi moderni, in particolare V. S. Solov’ëv, P. Florenskij e S. N. Bulgakov: riallacciandosi a motivi tradizionali del cristianesimo orientale con forti accentuazioni gnostiche e utilizzando motivi presenti nel platonismo rinascimentale e nella mistica di J. Böhme, svolge una concezione metafisico-teologica in cui sophìa (che è insieme l’“eterna armonia”, “unità prodotta dal divino organismo di Cristo”, “umanità ideale perfetta, contenuta ab aeterno nell’essenza totale di Dio o di Cristo”) si rivela in Cristo e si attua nella Chiesa; lo stesso processo storico anzi è un realizzarsi e un progressivo incarnarsi di sophìa» (Enciclopedia Treccani).

4 Pavel A. Florenskij, Le porte regali. Saggio sull’icona, Adelphi, 1977.


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