Pensando a Tommaso Moro
- Roberto Bigini
- 6 lug
- Tempo di lettura: 4 min
È una pensosità, questa che rimugina sulla discordia e sulla doppiezza coniugale – anche qui con un possibile traguardo ideale – che trova sfogo in un componimento poetico intitolato Scala (Scale), sulla non casuale figura del santo e martire cattolico Tommaso Moro, “evocato” accanto a una situazione che sta certificando e mettendo agli atti la propria “auto-de-cisione”. Fumando una sigaretta steso sul divano il narratore pensa al grande cattolico inglese dichiarato Santo nel 1935 da Pio XI – pensa al cilicio, alla castità e alla de-cisione di non tradire il Papa e la sua fede spinta al limite dell'offerta di sé e dell'auto-sacrificio. La scena iniziale è molto simile, come la descrive lo stesso narratore, a quella solita che si ha «dopo aver fatto sesso. Ma solo un po’».
È pomeriggio ormai quando si toglie
i vestiti e si stende un attimo.
Si accende una sigaretta. Tiene
il posacenere in bilico sul cuore.
Il petto si solleva e poi
si abbassa
ogni volta che inala, trattiene
ed esala il fumo a sbuffi.
Le tende sono chiuse. Le palpebre
sul punto di farlo. È un po’ come
dopo aver fatto sesso. Ma solo un po’.
Dapprima il narratore sembra immedesimarsi nel destino di Tommaso Moro:
Nel frattempo non ha fatto altro
che pensare a Tommaso Moro che,
secondo Erasmo, «era ghiotto di uova»
e non s’era mai giaciuto con la seconda moglie.
Era ghiotto di uova, e cioè adorava mangiare, va qui inteso non soltanto nel senso letterale indicato da Erasmo (ospite assiduo in casa Moro tanto da avervi composto il suo Elogio della follia), ma quasi certamente allegorico – l'uovo, in quanto ciò che il seme maschile feconda, è simbolo di fertilità e (ri)nascita – riportandoci nuovamente alla sessualità come mimesi (degradata) della creatività divina giustificata solo all'interno della cornice sacramentale del matrimonio. Tommaso Moro era dunque ghiotto di uova – cioè adorava l'accoppiamento sessuale tanto che dalla prima moglie, Joanna Colt, ebbe quattro figli in soli sette anni di matrimonio – anche se, come andrebbe tradotto e compreso quell'“e”, e cioè in senso avversativo, «non s'era mai giaciuto con la seconda moglie (“liked eggs” / and never lay with his second wife)». Per questo la situazione iniziale del narratore è assimilata a una situazione che ha a che fare col sesso «ma solo un po’». Perché è solo alla prima legittima unione, la sola autorizzata - dalla e alla creatività divina-, che si addice e spetta propriamente il compito della sessualità 10. Quel tanto che basta e non oltre. Tommaso Moro infatti, che pure con la seconda moglie trascorse i successivi venti quattro anni, non ebbe mai figli di secondo letto.
L'immedesimazione e assimilazione del narratore a Tommaso Moro e al suo destino di vittima e martire sembra ora approfondirsi fino all’attimo fatale:
La testa osserva il proprio tronco
finché crede di averlo imparato
a memoria al punto che lo riconoscerebbe
ovunque, anche dopo la morte.
Ma è a questo punto, riandando ai segni di fedeltà 11 quali il cilicio, che lo avevano accompagnato fino ai piedi del patibolo, che l’immedesimazione col narratore inizia a incrinarsi:
Sta ancora pensando a Moro
e al suo cilicio. Dopo averlo indossato per trent’anni
se lo tolse, insieme al mantello,
prima di abbracciare il proprio boia.
Il narratore ci informa del fatto che Moro vestiva il cilicio da prima di prendere la seconda moglie, ossia verosimilmente già dopo il concepimento del quarto e ultimo figlio Giovanni, quasi a evidenziare come il santo inglese considerasse conclusa la propria missione procreatrice (dunque sessuale) con la morte della sua prima moglie. Ed è proprio a questo punto che l’assimilazione del narratore con Moro sembra improvvisamente interrompersi e la de-cisione, annunciata dal correlativo oggettivo della «luce» che «taglia la stanza in due», far slittare dalla parte della vittima a quella del persecutore (e dell’auto-persecutore) il narratore, assurgendo a boia della sua stessa relazione matrimoniale, trattandosi ora di decidere e de-capitare se stesso da lei:
Si rialza per tirar su le tende.
La luce taglia la stanza in due.
[…] Da qualche parte, in un’altra stanza,
si è arrivati a una decisione.
Raggiunta la decisione, firmati i documenti,
messi da parte 12.
È una decisione che, come vedremo, verrà apertamente sconfessata nella poesia Compagnia (Company), in cui il narratore giunto a un bivio nella propria vita ammetterà di aver scelto la “via peggiore”, la “più facile”, la “meno virtuosa” 13, dunque non esattamente la “scala” per la croce di alcune raffigurazioni del XIII e XIV secolo (in cui il Signore è raffigurato mentre sale volontariamente sulla croce della Sua Passione e nostra Redenzione) salita anche e proprio da Tommaso Moro.

Ora, prima di rivolgerci ai due grandi capolavori di Carver, Una piccola, buona cosa e Cattedrale, è bene dare una rapida occhiata a Sogni (Dreams), edito solo postumo eppure...
Note
10. Quell’“adorava mangiare” va dunque tenuto assieme alla procreazione, e cioè alla “generazione del figlio”, pena il suo tramutarsi in un divorare… e il suo scoprirsi infine divoratore.
11. La fedeltà – alla prima moglie e al Signore – diventa particolarmente pregnante e significativa nel caso del narratore proprio poiché è in rapporto a Tommaso Moro che, osservandola e non confessando al sovrano al sua possibilità di derogarvi e divenire così capo della Chiesa d’Inghilterra, de-cise la sua stessa vita.
12. Cfr. la poesia Scala in R. Carver, Blu oltremare, pp. 165-169.
13. Cfr. Terza parte, cap. I.
[ per info sul libro > Roberto Bigini, Principianti (in fatto d'amore) | laportastrettaLc1324 ]