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[...] i primi dubbi sulla solidità dell'«ipotesi 1984» risalgono già alla pubblicazione del libro. In una famosa lettera indirizzata al collega più giovane, Aldous Huxley riconosceva sì nel «sadismo» dei reggenti di Oceania la «logica conclusione» di una rivoluzione che partendo da Robespierre e Babeuf «mira alla sovversione totale della psicologia e della fisiologia dell'individuo», ma si diceva scettico sul fatto che «la politica dello stivale-che-calpesta-il-volto possa andare avanti all'infinito». Riteneva piuttosto che «nella prossima generazione i padroni del mondo scopriranno che il condizionamento dell'infanzia e la narco-ipnosi sono strumenti di governo più efficaci delle mazze delle prigioni, e che la fame di potere può essere soddisfatta meglio condizionando le persone ad amare la propria schiavitù, che non frustandole e prendendole a calci per spingerle all'obbedienza».


Per Huxley non si poteva aggirare il problema del «consent of the ruled», il consenso dei dominati che, spiegava in un'intervista televisiva del 1958, sarà assicurato dalle nuove tecniche di propaganda suggerite dalla pubblicità commerciale per «bypassare il lato razionale dell'uomo e appellarsi direttamente alle sue forze inconsce» in modo non direttamente violento. Per rendere i sudditi «felici sotto il nuovo regime [o almeno] in situazioni in cui non dovrebbero esserlo» sarà fondamentale, prevedeva, l'apporto dei nuovi ritrovati tecnici: da un lato degli «apparecchi tecnologici che tutti desiderano utilizzare [e che] possono accelerare questo processo di sottrazione della libertà e di imposizione del controllo», dall'altro della «rivoluzione farmacologica in corso... potenti sostanze in grado di alterare la mente quasi senza effetti fisiologici collaterali». Molte di queste strategie sono diventate pietre angolari della gestione del consenso, dalla sempre più fitta codifica dei programmi educativi rivolti all'infanzia allo stile tanto martellante e suggestivo quanto povero di ragionamento delle campagne di «sensibilizzazione» governative, fino alle onnipresenti tecnologie digitali che agiscono sia come anestetico della socialità, sia come strumento panottico di sorveglianza globale. Per quanto ci è dato sapere, mancano invece gli indizi di un condizionamento psicochimico in larga scala, benché l'apparato di medicalizzazione reiterata e universale su cui si insiste oggi con così tanta ossessione renderebbe per la prima volta praticabile un siffatto intervento, almeno in potenza. Non è inutile ricordare che nel romanzo distopico di Huxley, Brave New World, la scure della repressione si abbatte sui dissidenti proprio dopo un loro tentativo mancato di impedire la distribuzione del «soma», la droga di Stato con cui il governo mondiale manteneva soggiogati e «felici» i cittadini.


Secondo alcuni commentatori la prospettiva huxleriana non sostituisce quella del collega [Orwell], ma la integra, dovendo il bastone della repressione spingere sempre più persone verso la carota del condizionamento. Sennonché oggi accade l'inverso: la carota perde appeal e il bastone picchia sempre più duro, il residuo dissenziente si espande e i dispositivi di propaganda, per quanto poderosi, non tengono il passo. Gli scenari possibili sembrano dunque tendere alla crisi più che alla normalizzazione. Ma fino a che punto? Una persecuzione aperta, una purga, una recessione, un collasso, una rivoluzione «colorata» o una guerra che offra il destro alla legge marziale? E quanto l’esasperazione delle piazze è un intoppo, quanto un coltivato pretesto? Non lo sappiamo. Ma anche l'idea che all'«ultima rivoluzione» potrebbero non bastare gli strumenti sin qui affinati e che debba perciò reclamare un reset anche fisico non era estranea all'Huxley, la cui lettera si concludeva con l'ammissione che «nel frattempo, naturalmente, potrebbe scoppiare una guerra biologica e nucleare di vaste dimensioni, nel qual caso avremo incubi di altro genere e difficili da immaginare».


Una conclusione un po' sconcertante, invero, che sconfessa l'ineluttabilità del processo e conferma il sospetto che i grandi architetti, i costruttori di un progresso lontano da Dio e dagli uomini, riescano solo a seminare macerie per trionfare tristi e gioire schiumando, e che il loro sognato edificare sia precisamente e soltanto un distruggere. Alla fine - ma solo alla fine - è una buona notizia.


[fonte - Il Pedante, Un trionfo triste, 28 novembre, 2021 http://ilpedante.org/post/un-trionfo-triste]

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