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La camera di Maria Valtorta (© Fondazione Valtorta)
La camera di Maria Valtorta (© Fondazione Valtorta)

Lo scarno ed inesaustivo Comunicato del Dicastero per la Dottrina della Fede del 22 Febbraio 2025 dal titolo Circa gli scritti di Maria Valtorta, parlando di “semplici forme letterarie di cui si è servita l’Autrice per narrare, a modo suo, la vita di Gesù Cristo”, accostandola poi a quei testi che “nella sua lunga tradizione la Chiesa non accetta come normativi”, ossia “i Vangeli apocrifi”, ha riaperto il vaso di Pandora della “pubblica opinione” con un’escalation di dichiarazioni d'indipendenza dalla mistica (la Valtorta, e più in generale, fors'anche, dall'intera branca teologica) da parte di religiosi e sacerdoti diocesani, giovani e meno giovani, con il seguito di semplici fedeli e cooperatori vari che, forse ansiosi di non apparire sempliciotti oscurantisti medievali (siamo nel 2025, o nell'anno 60°, circa, dal Concilio Vaticano II), e del tutto dimentichi dei vari Padri Agostino Gemelli e delle persecuzioni di grandi anime mistiche quali ad esempio Padre Pio e don Dolindo Ruotolo, si affrettano a dichiarare con certo compiacimento il proprio scetticismo, o plus-realismo rispetto al Re che dir si voglia.

Il Comunicato ricalca, a ben vedere, le parole dell’allora Segretario Generale della CEI, Dionigi Tettamanzi, in una lettera del 6 maggio 1992 all'editore dell'opera valtortiana: «Proprio per il vero bene dei lettori e nello spirito di un autentico servizio alla fede della Chiesa, sono a chiederLe che, in un’eventuale ristampa dei volumi, si dica con chiarezza fin dalle prime pagine che le ‘visioni’ e i ‘dettati’ in essi riferiti non possono essere ritenuti di origine soprannaturale, ma devono essere considerati semplicemente forme letterarie di cui si è servita l’Autrice per narrare, a modo suo, la vita di Gesù»; parole a loro volta in linea con la condanna espressa nel 1985 dall’allora Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede (CDF) Cardinal Ratzinger, in una lettera al Cardinal Siri di Genova: la messa all’Indice dell’Opera valtortiana conservava intatta dopo vent'anni «tutto il suo valore morale». Dunque, confermava il futuro Papa Benedetto XVI, «non si ritiene opportuna la diffusione e raccomandazione di un’Opera la cui condanna non fu presa alla leggera ma dopo ponderate motivazioni al fine di neutralizzare i danni che tale pubblicazione può arrecare ai fedeli più sprovveduti».

Proprio al cardinale Siri una trentina d'anni prima, nel 1956, era stato chiesto di scrivere una prefazione al testo della Valtorta, testo da cui affermava d'aver ricevuto «un’impressione eccellente», così da poter dare una sorta di imprimatur. Ma il cardinale aveva dovuto desistere non appena l’Opera era stata avocata a sé dalla Suprema Congregazione del Sant’Uffizio, che con decreto del 16 dicembre 1959 non concedeva l’imprimatur e anzi la inseriva nell’Indice dei Libri proibiti. Un articolo, non firmato, del 5 gennaio 1960 sull’Osservatore Romano spiegava, si fa per dire, il perché: «Una vita di Gesù malamente romanzata […] una lunga e prolissa vita di Gesù […] Alcune pagine, poi, sono piuttosto scabrose. […] potrebbe facilmente pervenire nelle mani delle religiose e delle alunne dei loro collegi […] gli specialisti di studi biblici vi troveranno certamente molti svarioni storici, geografici e simili […] avrebbe meritato una condanna anche se si fosse trattato soltanto di un romanzo, se non altro per motivi di irriverenza». Nel 1966 l'Indice sarebbe stato poi formalmente abolito, anche se «Mons. Pasquale Macchi, segretario particolare di Papa Paolo VI, aveva confermato già nel 1963, nel corso di un lungo incontro col Padre Berti, che l'opera di Maria Valtorta non era, in effetti, all'Indice (che già era stato abolito) ed aveva menzionato che il Papa, allora arcivescovo di Milano, aveva letto uno dei quattro volumi dell'opera di Maria Valtorta ed aveva donato l'opera completa al seminario Maggiore».

Anni prima Papa Pio XII aveva ricevuto il manoscritto della Valtorta dalle mani del suo confessore, il futuro Cardinale Padre Agostino Bea e il suo giudizio era favorevole. Con l'unica riserva di cassare la presentazione, in cui si parlava di fenomeno soprannaturale, consigliò di pubblicare l'opera senza togliere nulla, nemmeno dove la Valtorta dichiarava di riportare "visioni" e "dettati". Per il Papa evidentemente, le antenne del sensus fidei dei battezzati avrebbero fatto il resto: “Pubblicate l'opera così com'è. Non vi è motivo di esprimere un'opinione quanto alla sua origine, che sia straordinaria o no. Chi legge capirà”, disinnescando così, con un'accogliente prudenza, sia il fanatismo da esaltati che il pregiudizio scettico e aprioristico così tanto in voga ancora oggi.

Padre Pio da Pietrelcina, un anno prima della sua morte nel 1967, a una penitente di nome Elisa Lucchi che gli chiedeva il permesso di leggere L'Evangelo come mi è stato rivelato, rispondeva: “Non solo vi permetto di leggerlo, ma ve lo raccomando”.

Uno dei più insigni ed eruditi mariologi del Novecento, padre Gabriele M. Roschini (OSM), all’inizio della sua opera mariologica, La Madonna negli scritti di Maria Valtorta (1973), confessava di non aver mai trovato rappresentata prima – in decenni di ricerche e studi – una così vivida e compiuta immagine della SS. Vergine, e di esserci arrivato solo dopo aver vinto delle importanti resistenze interiori: «Anch'io, infatti, sono stato, un tempo, tra coloro che, senza un'adeguata conoscenza dei suoi scritti, hanno avuto un sorrisolino di diffidenza nei riguardi dei medesimi. Ma dopo averli letti e ponderati, ho dovuto come tanti altri lealmente riconoscere di essere stato troppo corrivo; e ho dovuto concludere: Chi vuol conoscere la Madonna (una Madonna in perfetta sintonia col Magistero ecclesiastico, particolarmente col Concilio Vaticano II, con la S. Scrittura e la Tradizione ecclesiastica) legga la Mariologia della Valtorta! […] giacché la Vergine Maria nell'opera di Maria Valtorta è più importante dei miei libri… la mariologia che scaturisce dagli scritti pubblicati e inediti di Maria Valtorta è stata per me una vera scoperta. Nessun altro scritto mariano, nemmeno la somma di tutti quelli che ho letto e studiato, era stato in grado di darmi su Maria, capolavoro di Dio, un'idea così chiara, così viva, così completa, così luminosa e anche affascinante, e nello stesso tempo semplice e sublime, come gli scritti di Maria Valtorta». Maria Valtorta è dunque da annoverare tra «i diciotto principali mistici (mariani) dei tempi antichi e moderni […] A chi poi volesse vedere, in questa mia asserzione, uno dei soliti iperbolici slogan pubblicitari, non ho da dare che una sola risposta: Legga, e poi giudichi!».


Da tempo nel mondo cattolico esiste un sospetto per il misticismo che non di rado, e più volentieri all’interno del clero medesimo, tende a cedere a un anti-misticismo dalle tinte isteriche. Proprio coloro i quali, si ritiene, dovrebbero avere innata una sana curiositas per i fatti evangelici “così come accaddero” e dovrebbero letteralmente ardere dal desiderio di conoscenza per quello che è malamente definito il “Gesù storico” ― non c’è una condivisa e viscerale passione, ad esempio, per quelle opere cinematografiche che cercano di restituirci vis a vis il Signore e il suo transito terreno, cito su tutti per accuratezza e “adesione” The Passion di Mel Gibson, dopo la cui visione un sacerdote mi confidò di aver pianto per tre giorni? ―, ebbene costoro sono i primi a incupirsi e a mettersi insensatamente di traverso al solo udire le parole “mistica” e “rivelazioni private”: «Dopo l'ultima uscita del Card. Fernandez e le obiezioni assurde di tanti che della Valtorta non hanno letto una riga e non conoscono gli studi di insigni teologi in materia», scrive sui social il teologo don Alfredo Maria Morselli, «questa grande donna mi sta diventando sempre più simpatica e sto pensando che ci sono molte probabilità che sia una vera mistica. Una opposizione che puzza di saccenteria sulfurea: in apologetica si dice probatio ex adversariis. Se viene negata la soprannaturalità di un fatto, mi devi spiegare anche il perché: altrimenti ti limiti al non constat, senza dire consta non esse». Il parallelismo Valtorta-Vangeli apocrifi, per altro, si rivela una toppa peggiore del buco, ossia, continua Morselli, «contro la logica; infatti bisognerebbe provare che la Valtorta dipende da detti Vangeli, e che tutte le affermazioni contenuti negli apocrifi sono false; infatti potrebbero esserci dei testi non ispirati che narrano cose vere; e la Valtorta potrebbe aver visto queste cose realmente accadute. L'autorità della Chiesa non può e non deve intervenire a mo' del Marchese del Grillo (Io sono io e voi non siete un cavolo), ma deve spiegare ai figli quali sono gli eventuali errori. Per uno studio della questione, consiglio l'introduzione del libro del P. Gabriele Maria Roschini, La Madonna negli scritti di Maria Valtorta». E come padre Roschini, al detrattore, non abbiamo da dare che la sua stessa risposta: Legga, e poi giudichi!.


“Santità ecco il pugnale sul cui manico è scritto: 'A Morte il papa!' con il quale avevo giurato di ucciderLa!”            (Cornacchiola a Pio XII il 9 Dicembre 1949)
“Santità ecco il pugnale sul cui manico è scritto: 'A Morte il papa!' con il quale avevo giurato di ucciderLa!” (Cornacchiola a Pio XII il 9 Dicembre 1949)

In occasione del 78° anniversario dell'apparizione delle Tre Fontane (il 12 aprile 1947) riproponiamo alcuni passi del veggente (ed ex persecutore convertito) Bruno Cornacchiola dal libro di Saverio Gaeta “Il Veggente. Il segreto delle Tre Fontane”. Alla domanda: “Perché proprio a me?”, rivolta tre decenni più tardi dal Cornacchiola alla SS. Vergine, l'uomo si sentì rispondere: “È l’onniscienza di Dio uno e trino che mi indicò il peggiore dei peggiori dei peccatori e il più indegno davanti a Dio e agli uomini. È la misericordia che mi ha inviato a te, scelto tra i peggiori che tu superavi; ora devi superare i migliori perché i peggiori si convertano a Dio e il mezzo sei tu, pieno di ignoranza e incapacità”.


 

Cornacchiola risalì rapidamente verso la grotta e là davanti, sul lato sinistro, vide il bambino inginocchiato con le mani giunte e gli occhi fissi nel buio, mentre ripeteva meccanicamente, in estasi: «Bella Signora, Bella Signora...» (Esattamente allo stesso modo avevano descritto la Madonna i ragazzi veggenti di La Salette nel 1846, Bernadette Soubirous a Lourdes nel 1858 e i tre pastorelli di Fatima nel 1917. E per giunta, Gianfranco raccontò in seguito che la Bella Signora lo aveva preso per mano mentre era seduto sotto l’albero e lo aveva condotto verso la grotta.) Come era prevedibile, Cornacchiola si arrabbiò perché il piccolo stava imitando la preghiera cattolica, laddove gli avventisti pregano in piedi e senza unire le mani. Disse a Isola: «Non voglio che giocate alla ‘Bella Signora’» ma lei replicò di non conoscere un simile gioco. «Detto questo, la bambina fa per allontanarsi, si ferma, si volta verso la grotta e lascia cadere il mazzolino di fiori. Si inginocchia alla destra di Gianfranco, unisce le mani in atteggiamento orante e fissa un punto della grotta ripetendo anche lei ‘Bella Signora’. Penso allora che hanno deciso di prendermi in giro, do un leggero scappellotto a Carlo e gli dico di andare a giocare anche lui. Mi risponde stizzito: ‘Papà, questo gioco io non lo so fare’. Ha appena terminato la frase, che si ferma. Non ha fatto due metri, che si gira anche lui, avanza verso la grotta, s’inginocchia alla destra di Isola e comincia a ripetere con i fratellini ‘Bella Signora...’ Sembrava che avessero ingoiato un disco di grammofono, ripetendo sempre la stessa parola in continuazione».


L’ira di Cornacchiola giunse al culmine. Si avvicinò a Carlo, il più a portata di mano, lo prese sotto le ascelle e con un’imprecazione cercò di sollevarlo: ma il bambino era diventato pesantissimo, come un blocco di pietra conficcato nel terreno. La medesima cosa accadde con Isola e con Gianfranco:

«Bianchissimi, quasi trasparenti, le pupille dilatate e lo sguardo fisso. Impossibile spostarli di un solo millimetro. Guardo nella grotta. Penso: ‘Forse era una tana di streghe? Oppure c’è il diavolo? O qualche prete che ci fa uno scherzo per metterci paura?’ Entro e con i pugni chiusi grido: ‘Ma chi c’è qui dentro? Su, esci, vieni fuori’. Ma la grotta è buia, vuota, non c’è nessuno. Più cercavo e più la paura mi invadeva. Esco fuori e i bambini sono sempre nella stessa posizione. Li chiamo piangendo:

‘Isola, Carlo, Gianfranco, belli di papà, su alzatevi!’ Ormai lo spavento mi stava paralizzando. Nel mio subcosciente dicevo: ‘Speriamo che sto sognando’».


Dal cuore gli scaturì, improvvisa, un’invocazione: «Dio, salvaci tu». Si mise a correre da una parte all’altra, in cerca di aiuto, poi si fermò e scoppiò in lacrime, con le mani nei capelli.

«Vedo venire da dentro la grotta due mani bianchissime in direzione dei miei occhi. Le dita si accostano lentamente, ma inesorabilmente, mi toccano gli occhi e sento che qualcosa mi viene strappato, come delle croste che cadono. Anch’io, come i miei figli, sono inginocchiato e con le mani giunte; ed entra dentro di me una vera pace, una tranquillità, una gioia indescrivibile, mai provata. I bambini li sentivo ancora, ma come una cosa lontana, una fioca eco. Ecco che un velo mi si apre davanti, un sipario trasparente che si va man mano aprendo. Poi vedo, da dentro il buio della grotta, una piccola luce che si va sempre più ingrandendo. È sempre più forte, come se il sole, mille soli, sfolgoranti d’intensa luce, fossero entrati nella grotta, facendo scomparire tutto. E io mi sento leggero, libero dal peso della carne e avvolto in una luce che non è quella che noi uomini conosciamo. In mezzo a questa luce soprannaturale vedo un masso di tufo. Sollevata in aria, sopra quel masso, vedo, con stupore ed emozione che appena si possono sopportare, una figura di Donna di paradiso.

Il colorito del viso è bruno chiaro, tipo orientale. Poggiato sulla testa ha un manto verde, come il colore dell’erba dei prati a primavera. Il manto le scende lungo i fianchi sino ai piedi nudi. Da sotto il manto verde si intravedono i capelli neri con la scriminatura al centro. Ha un vestito bianchissimo e lungo, con maniche larghe, chiuso al collo. I fianchi sono cinti da una fascia rosa, con due lembi che le scendono a destra, all’altezza del ginocchio. Ha l’apparente età di una giovane di venti/venticinque anni e l’altezza di un metro e sessantacinque». /Nel diario, in data 5 giugno 1973, Bruno annotò: «I tre colori della nostra Madre non sono colori d’una bandiera, ma simboleggiano le tre Persone divine in un solo Dio amore. Il verde è il Padre creatore che con bontà ci donò la vita e ciò di cui la vita ha bisogno per continuare; il bianco è il Figlio che ci ridiede la vita che perdemmo nell’Eden per mezzo della sua morte e ci donò la grazia mediante il battesimo; il rosa è lo Spirito Santo che ci dona la creazione del Padre e la grazia del Figlio nell’unione d’amore e di vita». L’11 agosto 1966 aveva sognato un dialogo fra le Persone della Trinità: «Vedevo il Padre, uguale al Figlio e allo Spirito Santo, perché dicevo al primo: ‘Chi è il Padre?’ ‘Sono io’ rispondevano in coro, poi ‘e il Maggiore è lui’, mi indicavano gli altri due l’uno. ‘Chi è il Figlio?’ ‘Sono io’, il coro rispondeva, ‘ma il Cristo è lui’, indicando gli altri due l’uno. ‘Allora tu sei lo Spirito Santo’ indicando l’altro: ‘Noi siamo!’ dissero in coro tutti. Solo dai colori potevi distinguerli: il verde-Creatore, il bianco-Salvatore, il rosa-Santificatore» /.


La ‘Bella Signora’ teneva nella mano destra, all’altezza del petto, un libro dalla copertina color cenere, mentre con la sinistra indicava verso i suoi piedi, dove c’erano un drappo nero simile a una tonaca aggrovigliato in terra e pezzi di un crocifisso, il medesimo che Cornacchiola aveva frantumato in casa al rientro dalla Spagna nel 1939, ammucchiati di lato. Poi coprì con la sinistra la mano che teneva il libro e iniziò a parlare. Parlò per circa un’ora, fra le 16 e le 17: «Mi dice tante cose, che incominciano con ‘Sono’ e finiscono con ‘Amore’». Durante il discorso ella «si mostrò al principio come una mamma che rimprovera amorevolmente il proprio figlio; per tutto il resto della visione il suo viso era atteggiato a un sorriso piuttosto mesto». Terminato di parlare, la Vergine della Rivelazione – così la ‘Bella Signora’ si era presentata – rivolse un ultimo sguardo e un sorriso materno ai quattro veggenti, indietreggiò, si inchinò leggermente verso di loro, quindi si girò alla sua sinistra e si allontanò in direzione di San Pietro. Alla fine dell’apparizione, Bruno si sentì ritornare alla realtà e contemporaneamente vide Carlo che correva verso il fondo della grotta gridando: «Papà, ancora se vede er vestito verde, adesso lo piglio». Il bambino corse con le braccia tese in avanti, urtò contro la parete, poi tornò indietro piangendo: «Se n’è annata e io me so’ fatto male alla mano. Guarda!» Bruno chiese se fosse stato un sogno, ma Isola disse di averla vista anche lei, la ‘Bella Signora’; e Gianfranco aggiunse: «E pure io. Masticava la gomma americana e faceva il compito» (così il più piccolo aveva interpretato il movimento delle labbra della donna – poiché i tre bambini non avevano udito nulla del suo discorso – e il libro che teneva in mano!).


[...]


Gli agenti del commissariato di San Paolo eseguirono un sopralluogo e sequestrarono un foglietto di carta, che Cornacchiola aveva attaccato il 23 maggio con un chiodo alla parete d’ingresso della grotta. Il testo vibra tuttora delle emozioni provate dal veggente:

«In questa grotta, con i bimbi, mi è apparsa, il 12 aprile 1947, la Madre divina, rimproverandomi perché la perseguitavo, essendomi fatto nemico di Dio, militando nelle sette protestanti. Mi invita amorosamente a rientrare nella Chiesa cattolica, apostolica, romana, promettendo benedizioni e guarigioni a tutti coloro che con fede entrano o si aspergono di questa terra benedetta, e pregare molto per l’incredulità. Amatevi – disse – e noi amiamoci sempre per il bene di tutto il mondo. Cornacchiola Bruno».


[...]


il 7 novembre 1979, mentre era in preghiera davanti alla grotta, Bruno la vide per la ventitreesima volta e si sentì innanzitutto spiegare «in che cosa consiste la conversione e come poterla mantenere: vivere in umiltà, essere sottoposto all’ubbidienza e conoscere per vivere la verità, avere pazienza nelle persecuzioni e umiliazioni, vivere la fede e dare il buon esempio in tutto». Poi la Madonna gli disse: «Il 12 aprile dell’anno che viene, 1980, è il trentatreesimo anniversario della mia venuta in questa grotta ed è lo stesso giorno sabato in Albis del 1947: in tale occasione e in un modo tutto speciale, prometto molte potenti grazie materiali e spirituali, nello spirito e nel corpo, a chi con fede e amore me le chiede. Per quel giorno io farò un gran portento nel sole, per richiamare gli increduli alla viva fede. Tu taci, non parlare: non dire nulla». [...] Giunse il giorno. La folla convenuta alla grotta era davvero tanta. In attesa della Messa, Cornacchiola guidò la recita del rosario, rivolse alcuni pensieri spirituali ai presenti e testimoniò degli avvenimenti del 1947. Il sole gli illuminava il viso:

«Lo vedo che stava sopra la cima degli alberi, brillante e maestoso come non mai! Dopo circa un’ora e venti minuti (dalle 15.20 alle 16.40), notavo che il sole, dal punto prima descritto, non si era spostato: era sempre lì, sopra la cima degli alberi, davanti a me». Ma poi la descrizione si fece più concitata: «Vedo il sole che si sdoppia, restando fermo al suo posto quello che avevo visto da principio; l’altro sole va sopra la grotta e la illumina tutta, in direzione della croce – anch’essa tutta illuminata, senza elettricità – e vedo il sole che inizia a girare come un carosello, avanzando e indietreggiando: era vivo e denso, sembrava acqua che ribolliva, come una fornace che squaglia l’acciaio. La sua luce era talmente forte che rimanda il mio pensiero alla luce che vidi dentro la grotta quando mi apparve la prima volta la Vergine della Rivelazione sopra un grosso masso di tufo. Distinti vedevo i tre colori che emanavano dal sole: verde al di fuori, rosa dentro e, al centro, bianco: il tutto vertiginosamente girava, girava. Resto in silenzioso raccoglimento; poi vedo il sole che, da sopra la cima degli alberi, si unisce all’altro sole sopra la grotta».

Intorno alle 17 cominciò la Messa e verso le 17.50 il momento della consacrazione: «Si sente un boato, come di terremoto; faccio gridare: ‘Evviva Maria’ per tre volte». Quindi, all’interno della grotta, la statua apparve come infuocata; qualcuno gridò che stava ardendo. Si sparse la voce dei giochi di luce nel cielo e tutti alzarono lo sguardo. Al Padre nostro la Messa venne momentaneamente interrotta e per una mezz’oretta, fino alle 18.20, tutti poterono assistere alla replica degli eventi di Fatima del 13 ottobre 1917. La relazione ufficiale inviata dal francescano Alfonso Zincarini al ministro generale dell’Ordine padre Vitale Bommarco, contiene una sintesi delle testimonianze scritte raccolte nei giorni successivi al prodigio:

«L’astro è sembrato muoversi per alcuni metri nel cielo verso la grotta e avvicinarsi alla Terra; lo si poteva vedere con assoluta tranquillità come una palla di fuoco roteante su se stessa vorticosamente, senza fastidi per gli occhi. Parendo più grande del normale, mostrava all’interno della sua corona cangiante in diversi colori (per i più verde, rosa e nero), come un magma incandescente in rapido movimento (in ebollizione) e tendente a formare figurazioni diverse, individuato variamente dai

testimoni: una croce, una M, un cuore contornato da stelle o grondante sangue, il monogramma di Cristo (IHS), due mani giunte, la Sacra Famiglia, la Vergine della Rivelazione... Alcuni asseriscono anche di aver visto la corona solare scomporsi e ricomporsi in tre cerchi di vario colore; altri di aver notato che, nonostante l’ostacolo dei numerosi alberi, il sole balzava chiaro ai loro occhi e illuminava di una calda e vivida luce, quasi fuoco, la cappella del convento (dove si conserva l’Eucaristia), le fronde degli alberi, i volti e gli abiti delle persone».

I faldoni con i resoconti di quanti erano presenti – e fra loro anche molti bambini, insieme con numerose autorità religiose, civili e militari – sono custoditi sia nell’archivio dei francescani, sia in quello della Sacri. Uguali testimonianze si sono avute anche in anni successivi, sempre il 12 aprile. In particolare: nel 1982, nel 1985, nel 1986 e nel 1987, per il quarantesimo anniversario.



(Gaeta Saverio, Il Veggente. Il segreto delle Tre Fontane, Salani 2016)



Il Giornale è venuto in possesso di «un documento per circolazione interna» contenente «nuove linee guida per una “comunicazione inclusiva“» dell'Unione Europea che «hanno dell'incredibile». Il documento, chiamato Union of Equality, contiene le solite follie a cui la politically correctness dei cosiddetti liberal e "democratici" americani ci ha abituato ormai da un ventennio e che consistono essenzialmente nell'utilizzo delle vittime (minoranze etniche, religiose, sessuali) come armi di nuova divisione in vista di un definitivo livellamento e persecuzione dell'uomo – per chi ha letto René Girard: nell'uso del cristianesimo in senso anti-cristiano, che è poi l'ultima carta spendibile dal Nemico nella storia della Salvezza. Lo avevamo già visto con la follia della sostituzione di genitore1–genitore2 a Padre–Madre (abolita da Salvini ma reintrodotta dalla Lamorgese) nella carta d'identità, con l'abominio della compravendita di un essere umano, l'utero in affitto, ipocritamente ridenominata “gravidanza per altri” e con la vera e propria isteria indifferenziatrice dell'utilizzo della x (*) al posto del genere sessuale – singolare compresenza di super-differenze e super-indifferenziazione (Union of Equality) che coincide a ben vedere proprio con quel Great Reset (grande azzeramento) in cui ci si danno così gran pena di introdurci. Ettore Gotti Tedeschi ha fatto notare come il Great Reset altro non sia che il “vecchio“ Nuovo ordine mondiale di Kissinger di fine '60 primi '70 rivisto, emendato e opportunamente corretto per il nuovo millennio. Immutate però, in tali progetti, restano l'odio e la persecuzione del Bambino, di Maria SS e della Sacra Famiglia (come si vede l'anti-modello di riferimento di tutti gli azzeramenti suddetti) che li accomuna alle vecchie dittature socialiste – la cancellazione del Natale (una «schifosa festa borghese»), sostituita dai bolscevichi con la festa dell'Inverno, dovrà dirsi per l'Ue “periodo delle vacanze”, e addirittura il divieto di utilizzo dei nomi cristiani (al posto di “Maria e Giovanni” si dovrà dire “Malika e Giulio“) ecc.

Riportiamo di seguito un istruttivo articolo del 27 dicembre scorso di Francesco Agnoli, Il Natale dei dittatori, sulle inquietanti, ed “eternamente ritornanti“ analogie tra passato e presente, come se il nostro tempo sempre di nuovo ci mettesse di fronte alla medesima scena dell'Apocalisse di Giovanni: “E Il drago si pose davanti alla donna che stava per partorire per divorare il bambino appena nato... ” (Ap 12,4).



 

Il Natale dei dittatori

Il Settimanale di Padre Pio, n° 49, 27 dicembre 2020


I più grandi nemici dell’uomo e della civiltà si sono adoperati per depotenziare la festa del Natale, sostituendola con festività naturali e riti neopagani. Feroci dittatori, temevano il Bambino di Betlemme!

Il Natale è una di quelle feste che hanno civilizzato l’umanità, insegnando il rispetto per la vita, per i deboli, gli innocenti, la sacralità della famiglia... Per questo sono stati i peggiori nemici della civiltà, a cercare di abbatterlo. I primi a sradicare le feste religiose, il Natale e la Pasqua, furono i comunisti. Francine-Dominique Liechtenhan, nel suo Il laboratorio del gulag (Lindau, Torino, 2009), ricorda gli sforzi del PCUS per spingere i cittadini a festeggiare l’inverno al posto del Natale, e la rinascita primaverile della natura al posto della Pasqua. «Nei tempi antichi, quando si celebrava il culto delle piante e degli animali ignorando l’ipocrisia della Chiesa – recitava un testo della propaganda –, l’umanità festeggiava quel giorno e celebrava ingenuamente le forze della natura». Per i comunisti il Natale era una «schifosa festa borghese», che venne abolita per molti anni, e poi sostituita, a partire dal 1935, con il Capodanno, cioè con una ricorrenza laica. Rimaneva il vecchio albero di Natale, ma con un significato del tutto nuovo: nessun riferimento a Gesù, ad un bimbo in fasce, ma palline con la faccia dei “salvatori” Lenin e Stalin, stelle dell’Armata Rossa, statuette di uomini politici o di elementi naturali (limoni, pannocchie...). Nella Germania comunista si insegnava ai bambini: «Lenin ha spiegato che quest’epoca in cui non esisteranno più le lacrime ha un nome: non si chiama Natale né primavera. Tenete a mente questa parola difficile: si chiama comunismo» (1). Anche i nazisti preferivano le festività naturali a quelle religiose. Come noto Aldolf Hitler riteneva il Cristianesimo «un’invenzione di cervelli malati», «fandonie», «superstizioni» buone per le contadine, gli operai, ma non per le persone colte ed intelligenti (2). Il Führer disprezzava profondamente l’idea dell’Incarnazione, essendo convinto negatore di ogni dimensione trascendente: ad essa preferiva la reincarnazione; al Natale la festa del solstizio. Per questo si adoperò per depotenziare la festa, in parte sostituendola con riti neopagani, legati alla “rinascita del sole”, in parte mutandone il significato, decristianizzandola. Il tutto all’interno del tentativo di «sostituire il calendario nazista all’anno cristiano», creando una quantità di cerimonie che si svolgevano, di solito, la domenica mattina, «con l’intenzione di distogliere la gente dall’andare in chiesa» (3). Sotto il nazismo, ricorda lo storico Paul Ginsborg, in Famiglia Novecento (Einaudi, Torino 2013), «le famiglie furono incoraggiate ad accogliere nelle loro case i simboli del regime, addobbando l’albero di Natale con bandierine naziste ed esponendo la foto di Hitler». L’albero di Natale andava bene: bisognava però scollegarlo dalla Tradizione cristiana, e riagganciarlo a quella pagana. Per questo era chiamato “albero di luce” o “albero di Yule” ed era sormontato dalla svastica, simbolo solare, e non dalla croce. Il Natale stesso veniva chiamato più volentieri Rauhnacht (“L’aspra notte”) e il canto Astro del ciel venne riscritto, sostituendo il Salvatore Gesù con il salvatore Hitler. Persino Babbo Natale, e cioè san Nicola da Bari, venne restituito alla paganità: venne trasformato in Odino. Anche Benito Mussolini, che pure non arrivò mai ad imporre agli italiani la sua visione, aveva una certa avversione per il Natale. Se ne trova traccia in vari articoli dell’epoca in cui era socialista e direttore de l’Avanti («Il Natale cattolico è una mistificazione. Cristo è morto e la sua dottrina agonizza»), nel suo Diario di guerra, ma anche più tardi, nella stagione del fascismo. Ne abbiamo testimonianza, per esempio, nelle memorie di Galeazzo Ciano, così come in quelle di Quinto Navarra, che nel suo Memorie del cameriere di Mussolini (Longanesi, Milano 1946) scrive: «Mussolini odiava la domenica e le altre feste comandate dell’anno. Starace, che conosceva questa antipatia di Mussolini, fece ufficialmente vietare le celebrazioni dell’ultimo dell’anno e l’uso tradizionale dell’albero di Natale. Il Natale riconosciuto divenne soltanto il Natale di Roma e l’inizio dell’anno da festeggiare non era il 1° gennaio, ma il 28 ottobre, principio dell’anno fascista». Note 1) Citato da E. Neubert, I crimini politici nella RDT, in Il Libro nero del comunismo europeo, Mondadori, Milano 2006, p. 381. 2) Hitler, Conversazioni a tavola, Goriziana, Gorizia 2010. 3) George Mosse, La nazionalizzazione delle masse. Simbolismo politico e movimenti di massa in Germania dalle guerre napoleoniche al Terzo Reich, Il Mulino, Bologna 1975, pp. 92, 104, 230.







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