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Il 7 febbraio di ottant’anni fa fu battezzato nel sangue lo scisma della Resistenza. Nacquero allora, dopo una tensione covata nei mesi precedenti, le due resistenze: quella cattolica, liberale, azionista che guardava a Occidente e quella comunista che guardava all’Unione Sovietica e alla Yugoslavia di Tito. L’una voleva ripristinare la democrazia liberale, l’altra voleva instaurare tramite una rivoluzione, una dittatura comunista.

L’evento sanguinoso che sancì quella frattura avvenne a Porzus, dove diciotto partigiani “bianchi” della Brigata Osoppo furono trucidati dai partigiani rossi italo-yugoslavi. Tra le vittime il comandante Francesco De Gregori, nome di battaglia Bolla, zio del cantautore a cui fu dato il suo nome in suo onore e in sua memoria. E Guido Pasolini, fratello di PierPaolo. Una vicenda che si intreccia al capitolo tragico delle foibe e che è sempre stata rimossa o mal digerita. Quando un regista di sinistra, Renzo Martinelli, figlio di un partigiano, portò sugli schermi Porzûs, il suo film fu avversato nelle sale e sui giornali, fu poi riproposto in edicola con Panorama, senza molta fortuna. Allora, raccontò lo stesso Martinelli, il regista perse contratti e commesse per la realizzazione di spot pubblicitari perché fu considerato imperdonabile il suo film-verità su una pagina infame della guerra partigiana.

Ora, finalmente, si parla di Porzus senza veli di omertà e senza imbarazzi. L’occasione è un libro onesto e coraggioso di Tommaso Piffer, Sangue sulla Resistenza (Mondadori); Piffer in realtà si occupa da anni di quella strage, a cui accennò tanti anni fa anche il presidente della repubblica venuto dal comunismo, Giorgio Napolitano, rompendo un lungo silenzio a sinistra. Ma il libro di Piffer è stato accolto stavolta in grande stile sulla stampa se si considerano le pagine che ha dedicato prima Paolo Mieli sul Corriere della Sera e poi Simonetta Fiori su la Repubblica. Meglio tardi che mai.

L’accusa rivolta dai comunisti ai partigiani bianchi era la classica: quei partigiani lavoravano per la reazione, erano in sostanza sotto sotto “fascisti”, dunque traditori, distinguevano tra nazisti e fascisti, non erano abbastanza spietati ed erano ancora deplorevolmente “patrioti”. A nulla valeva la considerazione elementare che anche loro rischiavano la vita per combattere i nazisti e i loro alleati. In realtà non si perdonava loro il rifiuto di essere accorpati e sottomessi all’esercito di liberazione titino, e alle mire annessionistiche degli sloveni; volevano restare italiani, europei. I partigiani rossi italiani, agli ordini di Tito e dei suoi partigiani, guidati da Mario Toffanin, detto Giacca, compirono quel massacro nella prospettiva di unire la Venezia Giulia alla patria socialista. Sulla scia delle ricerche di Piffer e di altri autori citati, Mieli si spinge a evidenziare le responsabilità del Pci e la falsificazione compiuta sui fatti, al punto da attribuire in un documento del Pci udinese al comandante De Gregori al momento della sua fucilazione, il grido “Viva il fascismo internazionale”. Non solo trucidato ma anche diffamato post mortem. Il fratello minore di De Gregori, Luciano, si era invece arruolato a Salò con la Repubblica sociale. Anche Guido Pasolini, nome di battaglia Ermes, osava articolare il suo giudizio sul fascismo, non lo riteneva il male assoluto, salvava alcuni aspetti ma combatteva la sciagurata alleanza in guerra con la Germani; riteneva che si dovesse combattere con il tricolore e non con la stella rossa e pagò con la vita la sua libertà e il suo amor patrio.

Nei documenti e nelle circolari comuniste del tempo si parlava del resto di adoperare “la tattica della foibe”, con evidente riferimento al metodo criminale con cui furono trattati gli italiani d’Istria e della Dalmazia. C’era una complicità attiva e consapevole con i partigiani titini e con i loro massacri che arrivava fino a Mosca e a Palmiro Togliatti.

La strage di Porzus non fu la sola a scavare il fossato tra le due resistenze. Giampaolo Pansa ricordava ad esempio Giovanni Rossi, un bracciante agricolo di Sassuolo che creò una banda di partigiani, detta appunto Banda del Bracciante. Era contrario a mettersi sotto la bandiera comunista, aggregarsi alle Brigate Garibaldi e accettare di sottomettersi a un commissario politico comunista. Forse, commentò Pansa, “non gli andava di sparare nella schiena a civili fascisti o a piccoli esponenti della Repubblica sociale. Non era fatta di questi delitti la sua idea di guerra partigiana”. Il 28 febbraio 1944 due partigiani comunisti arrivarono di notte sui monti dove lui era rifugiato. “E ammazzarono a rivoltellate il Bracciante mentre dormiva su un saccone di paglia. Il comandante riposava da solo in una stalla. E nessuno si accorse di nulla…». In questo caso non era in gioco l’annessione slovena della Venezia Giulia ma il Triangolo rosso della Padania e i suoi eccidi che perdurarono anche dopo la guerra.

Ci furono anche, secondo la versione comunista, episodi inversi. Per esempio quello di Salvo Castenetto e di alcuni partigiani delle brigate Garibaldi in Friuli uccisi da partigiani della brigata Osoppo: ma le fonti sono piuttosto incerte e controverse.

Resta, invece, il tema di fondo: ci furono due Resistenze. Una combatteva contro il nazismo e il fascismo di Salò, per liberare l’Italia e ripristinare la democrazia; l’altra combatteva una dittatura per fondarne un’altra, o meglio per dar vita a una rivoluzione e poi instaurare un regime comunista, allineato a Mosca e a Belgrado.

L’egemonia delle bandiere rosse sulla Resistenza portò a cancellare o a reputare minore, meno significativa, l’altra Resistenza. Renzo De Felice ricordava ad esempio Alfredo Pizzoni, tra i capi della Resistenza ancor oggi il meno noto, ignorato a lungo dalla storiografia, nonostante abbia guidato durante tutto il periodo della lotta di liberazione il Comitato di Liberazione Nazionale Alta Italia (CLNAI), l’organo supremo del movimento partigiano nell’Italia settentrionale. E denunciava la “mentalità autoritaria che annulla ogni diversità, che non si preoccupa di rispettare le vicende della storia”. Poi venne la retorica del Cln e nel nome dell’unità antifascista quelle divergenze sostanziali vennero rimosse o sopite. Così l’Italia restò a Occidente ma l’antifascismo militante restò nelle mani delle bandiere rosse.

Ma questa onesta revisione storica su basi accertate e questa libertà di giudizio sono ancora possibili nel tempo in cui basse operazioni commerciali con alti patrocini istituzionali tendono a fare di quell’epoca una notte in cui tutte le vacche sono nere?


La Verità – 7 febbraio 2025

cibernetica transumanismo

Dopo avere indotto nelle popolazioni d'Occidente, con domiciliazioni coatte illegali, stati depressivi e psichiatrici di vario genere (specie tra i giovani), ma soprattutto dopo aver provocato - col diabolico ricatto dei "sieri della libertà condizionale" (o ti buchi o stai carcerato) -, nuove e più durature depressioni del sistema immunitario naturale, provocando in alcuni la recrudescenza di vecchi tumori o in altri direttamente l'insorgenza dalla sera alla mattina di leucemie mielomonocitiche croniche (su tutti, il caso del cavalier Berlusconi e dell'avvocato Ghedini), creando in milioni di cittadini terrorizzati e ansiosi di sopravvivere uno stato ematologico d'allora gravemente alterato, con "globuli rossi che si impilano" e quantum dots (sostanze esogene nel sangue, sì, proprio il grafene), il punto della situazione ancora oggi - nonostante il decadere del green pass e il ritorno, tra moltissime virgolette, allo status quo antea - resta non solo oggetto di taboo, tanto che sui social è praticamente impossibile parlarne (così Faccialibro censura una notizia con l'importante contorcimento logico di "parzialmente falsa" - fig.1), ma continua, e pare anche debba continuare, la gestione emergenziale da "Stato di eccezione" ad esempio del diritto alla salute, come testimonia l'ennesimo caso di apartheid sanitaria (rifiutata a un cardiopatico l'operazione a cui aveva diritto per "non essere in regola" con le vaccinazioni anti covid-19), con un SSN (Servizio Sanitario

cibernetica transumanismo
fig. 1

Nazionale, per chi ancora lo ricorda) espropriato di fatto al cittadino che lo finanzia e "annesso" ormai stabilmente alle multinazionali del farmaco, ai "fondi d'investimento" esteri che lo eterodirigono attraverso le consuete triangolazioni politiche comunitarie. Col benestare di tutti i Presidenti e le magistrature del caso (Pontefice compreso).

È ormai evidente, cioè, dietro la rivoluzione della "Farsemia" (cit. Elio Paoloni) - più un piccolo esperimento di ingegneria sociale e soprattutto un work in progress ben lungi dall'essere completato - la precisa volontà di nuocere ai più (altro che curare), già all'opera da secoli, in Occidente, in tutte le rivoluzioni che instaurarono via via la Modernità, ossia es-piantarono dal mondo Dio e il suo uomo preteso "superstizioso" e "oscurantista" (poiché religioso), per rimpiazzarlo con la nuova "soggettività", illuminata, razionale e "scientifica", poiché libera da vecchie illusioni e favolette, e i suoi idoli corrispettivi di Ragione, Comunità, Stato, Razza, Sangue e suolo, Scienza ecc (i cosiddetti "-ismi" di razionalismo, comunismo, statalismo, razzismo, scientismo ecc). È stato vero il contrario. Ne è venuto un uomo sempre più debole, pavido, ignorante, "indifferenziato" e violento. La rivoluzione protestante infatti, nel 1517, stabiliva la possibilità dell'uomo di vivere di fronte a Dio senza il Magistero e la mediazione sacramentale della Chiesa; quella Francese, nel 1789, stabiliva la possibilità dell'uomo di vivere in fratellanza direttamente senza alcun Dio; quella socialista, nel 1917, stabiliva la possibilità dell'uomo di vivere in fratellanza senza alcun Dio e senza alcun bene di proprietà; quella sessantottina infine, nel 1968, stabiliva il poter esser libero dell'uomo unicamente senza il "Padre" (con atto di parricidio) e dunque senza famiglia, per arrivare nel 2020 alla rivoluzione tecnocratica o digitale, che stabilisce, via inoculazioni obbligatorie e lasciapassare digitali, l'impossibilità dell'uomo di disporre dell'unica cosa, rivoluzione dopo rivoluzione, che fin qui rimastagli, ossia il suo corpo, vero fondamento di ogni libertà.

Ci si potrebbe chiedere come sia stato - ed è - ancora possibile, collusioni istituzionali a parte, aggirare quanto stabilito nel 1996 dalla Carta di Nizza (art. 3) sulle vaccinazioni antipolio (118/1996) dove si dice che “nessuno può essere semplicemente chiamato a sacrificare la propria salute a quella degli altri, fossero pure tutti gli altri”, ossia, come ha spiegato il prof. Mangia ordinario di Diritto costituzionale all'Università Cattolica di Milano, che “lo Stato non può disporre dei corpi dei suoi cittadini”. Ed è appunto quanto si erano premurati di scongiurare in Costituente, quando «il 28 gennaio 1947 un membro dell’Assemblea di nome Aldo Moro si presenta in Commissione spiegando che i medici dell’Assemblea gli si erano rivolti chiedendo di introdurre delle limitazioni al potere del legislatore di disporre trattamenti sanitari coattivi. Si trattava, ci dice Moro, “del problema della sterilizzazione e di altri problemi accessori”». Il riferimento era all'eugenetica (non solo nazista, ma anche americana ed europea in genere) praticata nel "civilissimo" Occidente fino agli anni Sessanta del Novecento. Il parallelo tra vaccinazione anti covid-19 e sterilizzazione non è sproporzionato. «Cos’hanno in comune vaccini e sterilizzazione?», chiede l'intervistatore. Risponde il giurista: «L’irreversibilità degli effetti di determinati trattamenti sanitari che possono essere disposti con legge. Sa, a parole io mi posso sbattezzare. Ma non mi posso svaccinare, neanche ritirando il consenso». Dopo, infatti, sempre che io sia ancora vivo, il corpo non è più il mio corpo di prima, ma un corpo reso a vario titolo invalido o comunque debilitato da effetti avversi più o meno gravi, cardiopatie, tumori e quant'altro.


La risposta al come ciò sia stato possibile è semplice e consegue dalle dette rivoluzioni che hanno via via disarmato, svirilizzato ed estraniato l'uomo dalla sua vera essenza. Se l'uomo pre-moderno era stato "liberato", cioè privato di tutto l'essenziale invalso fino ad allora ("liberato" dall'intercessione della Chiesa, "liberato" dalla presenza di Dio, "liberato" dalla proprietà dei beni personali e dalla propria identità, "liberato" dalla famiglia e dalla tradizione che ci ha messo al mondo), a quest'uomo di mondo, è il caso di dire, non restava effettivamente, nella rotazione forzata dell'asse spirituale da verticale a orizzontale, che il corpo. Lo aveva capito  Ernst Jünger nella sua meditazione sul dolore: «il rapporto di questo mondo con il dolore è il rapporto con una potenza che va innanzitutto evitata, perché qui il dolore non colpisce il corpo come un semplice avamposto, ma colpisce il quartier generale, il nucleo essenziale della vita stessa»(1). Non un semplice avamposto, ma proprio il quartier generale. Il corpo. Si comprende dunque da sé, con tutta questa serie di rimozioni gabellate per liberazioni (questo sì un processo di esproprio e alienazione dal Sé autentico, insieme storico e sovrastorico, terreno e trascendente) come l'uomo, non rimastogli che il corpo, vi si aggrappi con una violenza e una paura senza precedenti, divenendo quello stesso uomo superstizioso (se non peggiore) in senso etimologico - cioè uno che vuole sopravvivere a ogni costo (2) -che intendeva superare. Non è un caso che il rapporto con il dolore, e quindi con la morte, dell'uomo moderno sia il grande rimosso che la società moderna preferisce lasciare nascosto e impensato (interrogarlo costringerebbe a imboccare a rovescio la via della modernità risalendo fino a Dio, l'«uomo dei dolori», venuto una volta per tutte a rovesciare la tragedia in consolazione).


L'ultima preda possibile al Leviatano tecnocratico e alla sua diabolica volontà, di rivoluzione in rivoluzione, sono rimasti i corpi. Ed è per la loro conservazione che i più, sbagliandosi e pagando (i più sfortunati con la stessa vita che desideravano sopra ogni cosa conservare), hanno accettato i "sieri della libertà condizionale" e accetteranno di qui a breve l'Identità Digitale (con la stessa superstiziosa e gregaria obbedienza da Lemmings con cui hanno acconsentito al Lasciapassare Verde) ossia un guinzaglio cibernetico che permetterà loro di essere liberi per quanto lo permette la catena.

Harvey Mansfield, dell'Università di Harvard, a dimostrazione dell'indebolimento operato dalle rivoluzioni moderne ha scritto che «le persone ossessionate dalla propria salute non sono virili perché preferiscono un'esistenza più lunga alla vita breve ma ricca di eventi di cui Achille offre un nobile esempio» e che nello Stato leviatanico di Hobbes, che è quello in cui ci troviamo, «tutti hanno il dovere di dimenticare la propria virilità e diventare socievoli, o sensibili, o relazionali, o non virili». Ed eccoci con ciò giunti alla società dell'indifferenziazione di genere. Tutto si tiene, si potrebbe dire, nell'assenza voluta e pianificata di Dio, estromesso dal suo stesso creato.

La guerra al Vir(us) – per un Nuovo Mondo non più ordinato in (sacre) famiglie, matrimoni, patrimoni e tradizioni da conservare e rinnovare, ma ridotto a “grumo di cellule” isolate, femminizzate, superstiziose e (soprattutto) nullatenenti in pugno quattro faccendieri del demonio – non è che una teologica prosecuzione della guerra contro Dio con altri mezzi, e procede ormai a tappe forzate, trionfante e apparentemente inarrestabile.



 

(1) Ernst Jünger, Sul dolore, in Foglie e pietre, Adelphi, Milano 1997, pp. 139-153.

(2) Il termine "superstizione" fu creato da Cicerone nel De Natura Deorum, dove definisce superstiziosi coloro che sacrificano o pregano ossessivamente affinché i figli gli sopravvivano. Il concetto di Superstitio è connesso al verbo super-stare, cioè sopravvivere, che è alla base del termine che designa il testimone, i superstes, da cui il termine "superstite". Il testimone, termine usato soprattutto in questioni di leggi e tribunali, è colui che, essendo sopravvissuto a un fatto, è in grado di narrarlo con autenticità. Il concetto di superstizione cambia significato a partire da Lattanzio, retore romano convertito al Cristianesimo nel 300, come comportamento o credenza indebiti che conservano frammenti di paganesimo in un contesto cristianizzato.



Tra i lockdown globali del COVID del 2020 e le dislocazioni economiche che ha causato, Klaus Schwab, un fondatore precedentemente di basso profilo di un forum economico con sede in Svizzera, è emerso sulla scena mondiale chiedendo quello che ha definito un grande reset dell’intera economia mondiale, usando la pandemia come motore. Ha persino pubblicato un libro nel luglio 2020 che delinea il suo progetto. È stata giustamente definita una società tecnocratica con una pianificazione centralizzata dall’alto verso il basso. Schwab usa i timori del riscaldamento globale e la difficile situazione dei poveri del mondo per giustificare quello che è in effetti un piano per il totalitarismo globale in cui, come dice il sito web di Davos, nessuno possiederà nulla. Quello che non è noto è il fatto che l’ispirazione per i piani distopici di Schwab venga da un vescovo cattolico che ha incontrato in Brasile negli anni ’70.


Lontano da un tradizionale prete cattolico, questo vescovo era conosciuto come il «Vescovo Rosso» e sosteneva il modello Cuba di Castro, così come la Rivoluzione Culturale di Mao in cui milioni di cinesi furono uccisi o distrutti durante un’epurazione dei nemici di Mao. Il suo nome era l’arcivescovo del Brasile Dom Helder Camara, la prima figura di spicco nella diffusione del movimento della Chiesa noto come «Teologia della liberazione» negli anni ’60 e ’70.

Da nazista a comunista?

Helder Camara ha compiuto una transizione dai due estremi dello spettro politico. Nel 1934 Camara era una figura di spicco in un movimento fascista clericale brasiliano pro-Mussolini, l’Azione Integralista Brasiliana o Acao Integralista Brasileira (AIB).

Non è stato un coinvolgimento casuale. Da giovane sacerdote cattolico padre Camara entrò a far parte del Consiglio Supremo dell’AIB. Nel 1936 Camara era diventato segretario personale del fondatore dell’AIB, Plinio Salgado, e segretario nazionale dell’AIB.

Simile alle camicie nere fasciste di Mussolini o alle camicie brune di Hitler negli anni ’20, l’AIB del Brasile erano le camicie verdi, che schieravano gruppi paramilitari che attaccavano attivamente e violentemente i comunisti per le strade durante gli anni ’30 in Brasile. Quando Camara fu ordinato sacerdote nei primi anni ’30, si dice che indossasse la camicia verde sotto la tonaca. Più tardi, quando un autore brasiliano scrisse una biografia di Camara, ormai un vescovo, Helder Camara e la Chiesa intervennero per vietare di menzionare l’ormai famoso esponente di sinistra come un precedente attivista filofascista, una delle tante parti curiose della storia di Camara.

Alla fine della guerra, nel 1946, Helder Camara era riuscito in qualche modo a passare dal fascismo filomussoliniano e pro hitleriano dell’AIB a un «progressismo» filomarxista come assistente generale dell’Azione cattolica brasiliana, il cui gruppo giovanile, JUC, abbracciò apertamente la Rivoluzione Castro Cubana nel 1959.

Nel 1963 una fazione della JUC con cui Camara era favorevole, l’Ação Popular (AP), si definiva socialista e dichiarava il proprio sostegno alla «socializzazione dei mezzi di produzione».

Il gruppo cattolico AP adottava statuti che contenevano lodi per la rivoluzione sovietica e il riconoscimento dell’«importanza cruciale del marxismo nella teoria e nella prassi rivoluzionarie».

Dom Helder è diventato arcivescovo di Olinda e Recife nel nord-est del Brasile dal 1964 al 1985.

Un fondatore della Teologia della Liberazione

Helder Camara è stato una figura strumentale in un movimento che presto si è diffuso in tutto il mondo non solo nella Chiesa cattolica ma anche tra le altre chiese. In seguito fu chiamata Teologia della Liberazione dal sacerdote peruviano Gustavo Gutierrez.

La «liberazione» si riferiva a ciò che i sacerdoti sostenevano fosse il messaggio del cristianesimo secondo cui «Dio ama preferenzialmente i poveri».

Il movimento ha affermato che il ruolo della Chiesa dovrebbe essere impegnato nel processo di liberazione nella terra oppressa e sfruttata del Terzo mondo. Il movimento ha segnato un cambiamento radicale nella posizione della Chiesa cattolica. I preti iniziarono a legittimare la violenza contro dittatori come Somoza in Nicaragua, anche se alcuni di loro presero le armi e si unirono ai sandinisti e ad altri gruppi marxisti negli anni ’70.

Gustavo Gutierrez ha esplicitamente chiamato «ad abolire l’attuale situazione ingiusta e a costruire una società diversa, più libera e più umana».

Per usare un eufemismo, questa è stata una partenza radicale in cui la Chiesa doveva concentrarsi sulla liberazione dei più poveri della società nel mondo in via di sviluppo con la forza, se necessario, e ridistribuire la ricchezza.

I movimenti di guerriglia sostenuti dai comunisti nei paesi prevalentemente cattolici si sono affrettati a vedere l’utilità dei preti che danno alle loro guerre una legittimità sociale al di là della dottrina marxista. Gutierrez diceva: «La teologia della liberazione è radicata in una militanza rivoluzionaria». Un collega brasiliano sostenitore dell’attivismo sociale per la Chiesa di Helder Camara, padre Leonardo Boff, ha dichiarato: «Quello che proponiamo è il marxismo, il materialismo storico, in teologia».

Boff e altri da allora sono passati dal sostenere una riforma agraria radicale, prendere la terra dai grandi proprietari e darla ai contadini poveri, al sostenere programmi di riscaldamento globale radicale come parte del loro programma di liberazione. Da allora il movimento si è diffuso dall’America Latina all’Africa e all’Asia, dallo Zimbabwe allo Sri Lanka.

In sostanza, la Teologia della Liberazione di Helder Camara ha creato il clima sociale e ha favorito la diffusione attraverso la società dell’ideologia della «vittima» [più esattamente del “vittimismo“, ndc] dei diffusi movimenti odierni da ANTIFA a BLM e l’intero movimento dell’Agenda Verde.

Il vescovo rosso incontra Schwab

In recenti dichiarazioni pubbliche Klaus Schwab, fondatore mezzo secolo fa del World Economic Forum di Davos, ha citato due uomini che, secondo lui, gli hanno cambiato la vita. Uno era Henry Kissinger che era il suo mentore quando Schwab era ad Harvard alla fine degli anni ’60. L’altro, sorprendentemente, era il Vescovo Rosso, Dom Helder Camara. Fu Kissinger che, come Segretario di Stato di Nixon, complottò per assassinare i governi di sinistra in Cile, Argentina e altrove, sostituendoli con brutali dittature militari come Pinochet, mentre Helder Camara lavorava dall’altra parte, mobilitando i poveri contro lo Stato.

Nel 2010 il World Economic Forum di Schwab ha pubblicato un libro di autocelebrazione intitolato «The World Economic Forum: A Partner in Shaping History-The First 40 Years 1971-2010». Lì Schwab descrive il ruolo centrale svolto da Kissinger fin dall’inizio nella selezione dei relatori e degli ospiti per gli incontri d’affari d’élite di Schwab.

Per l’anno 1974 Schwab scrisse: «Al Simposio di gestione europea del 1974 (oggi WEF), Dom Hélder Câmara, l’arcivescovo cattolico di Olinda e Recife, in Brasile, ha fatto un’apparizione notevole, rafforzando il ruolo del Forum come piattaforma per voci provocatorie ma vitali. Câmara era stato invitato a Davos nonostante fosse considerato persona non grata da molti governi e imprenditori. Si era soprannominato «il portavoce di quei due terzi dell’umanità che soffrono per l’ingiusta distribuzione delle risorse della natura».

Il racconto di Schwab continuava: «Dom Hélder prevedeva che un giorno i Paesi in via di sviluppo avrebbero potuto sfidare e scontrarsi con le principali potenze economiche. Ha criticato le multinazionali per aver mantenuto così tanta umanità in condizioni spaventose. Ha chiesto una maggiore responsabilità sociale, prosperità per tutte le persone».

Schwab in un video ha dichiarato: «un esempio che per me è stato probabilmente un momento cruciale della mia vita. Ho viaggiato per la prima volta in Brasile, ho incontrato un sacerdote che a quel tempo era conosciuto come il sacerdote dei poveri, si chiamava Dom Hélder Câmara».

WEF e Papa Francesco

In una visita del 2013 in Brasile all’inizio del suo pontificato, Francesco ha nominato Dom Helder Camara come qualcuno che ha segnato indelebilmente il «cammino della Chiesa in Brasile».

Nello stesso anno, nella sua Evangelii gaudium, Francesco dichiarò nel linguaggio della Teologia della Liberazione di Helder Camara e altri: «Senza l’opzione preferenziale per i poveri, l’annuncio del Vangelo… rischia di essere frainteso o sommerso». Il termine «opzione preferenziale per i poveri» è fondamentale. Sembra nobile, ma cosa significa in realtà?

In particolare, nel 2014 Klaus Schwab ha esteso un invito personale a Papa Francesco a parlare all’incontro di Davos. Da allora Francesco ha scritto numerose lettere di questo tipo a Schwab ed è elencato dal World Economic Forum come Agenda Contributor.

Nell’ottobre 2020, il sito web ufficiale del WEF di Davos ha scritto: «In una sorprendente enciclica di 43.000 parole pubblicata domenica scorsa, il papa ha messo il suo marchio sugli sforzi per plasmare quello che è stato definito un Grande Reset dell’economia globale in risposta a la devastazione del COVID-19».

Nel 2015 Francesco, che si atteggia a guardiano speciale dei poveri, aveva dato la sua approvazione all’avvio del processo ufficiale, da parte della Congregazione per le Cause dei Santi, per iniziare un processo di «beatificazione» di Helder Camara.

Da allora l’attuale Papa ha preso posizioni politiche senza precedenti per le misure dell’agenda verde sul riscaldamento globale, i vaccini contro il COVID, il sostegno all’uguaglianza di genere, la migrazione, la ridistribuzione della ricchezza dai ricchi ai poveri e altre azioni sociali che hanno dominato il suo controverso papato.

Ottimo reset

La domanda rilevante da porsi è perché il fondatore del forum sulla globalizzazione aziendale più influente del mondo, Klaus Schwab, avrebbe abbracciato il fondatore della Teologia della Liberazione e l’attuale papa liberale Francesco, il primo papa gesuita che oggi fa rivivere astutamente quelle idee?

Sicuramente non è che Klaus Schwab stia abbracciando il marxismo. Schwab è il «padrino della globalizzazione». La fusione delle ideologie di Francesco e Schwab è un modo intelligente per creare un sostegno di massa, soprattutto tra i più giovani e i più poveri di tutto il mondo, per l’attacco in massa alla proprietà privata e a una borghesia stabile necessaria per il Grande Reset corporativo globale, un fascismo tecnocratico globale dall’alto.

Nel novembre 2020, Papa Francesco ha dichiarato che è necessaria una nuova «giustizia sociale», e che la proprietà privata non è cosa scontata nel cristianesimo: «Costruiamo la nuova giustizia sociale e ammettiamo che la tradizione cristiana non ha mai riconosciuto il diritto alla proprietà privata come assoluto e inamovibile», ha detto Francesco. Non ha spiegato la cosa. Nell’ottobre 2020 il papa ha emesso una lettera enciclica, Fratelli Tutti, in cui perseguiva la proprietà privata.

Scrive: «Le capacità imprenditoriali, che sono un dono di Dio, dovrebbero sempre essere chiaramente orientate allo sviluppo degli altri e all’eliminazione della povertà».

Dichiara: «Il diritto alla proprietà privata è sempre accompagnato dal principio primario e prioritario della subordinazione di ogni proprietà privata alla destinazione universale dei beni della terra, e quindi il diritto di tutti al loro uso».

Ciò è notevolmente simile a quanto scrive Schwab del WEF nel suo libro del 2020 The Great Reset, in cui afferma: «Prima di tutto, l’era post-pandemia introdurrà un periodo di massiccia ridistribuzione della ricchezza, dai ricchi [la classe media, ndc] ai poveri, e dal capitale [i beni della classe media, ndc] al lavoro». Schwab sostiene che l’era del neoliberismo del libero mercato è finita e che è necessario un grande intervento del governo per attuare politiche ambientali «sostenibili».

Sul sito web del WEF l’organizzazione di Schwab ha descritto la sua visione del Reset in un mondo in cui nessuno possiede nulla. Un video dichiara la loro visione del mondo nel 2030, «Non possiederai nulla e sarai felice», aggiungendo che «Qualunque cosa ti serva, la affitterai». Includerebbe anche il noleggio dei tuoi vestiti!

Schwab afferma che questa ridistribuzione radicale dei diritti di proprietà a livello globale sarà necessaria per raggiungere la «giustizia ecologica». Questo riecheggia l’appello di Francesco per un’«agenda finanziaria verde» per sostituire l’attuale sistema finanziario.


L’abbraccio di Davos all’agenda vaticana è molto più sinistro di quanto possa sembrare. Il loro Grande Reset riguarda la fine della libertà umana o della libertà a favore di una nuova agenda globalista di controllo totale, sorveglianza ad alta tecnologia, farmaci obbligatori e massiccia ridistribuzione del reddito dalla classe media della società verso il basso.

Schwab non è altro che un maestro del marketing, e il suo distopico Great Reset e la sua «giustizia ecologica» sono proprio questo.

F. William Engdahl è consulente e docente di rischio strategico, ha conseguito una laurea in politica presso la Princeton University ed è un autore di best seller sulle tematiche del petrolio e della geopolitica. È autore, fra gli altri titoli, di Seeds of Destruction: The Hidden Agenda of Genetic Manipulation («Semi della distruzione, l’agenda nascosta della manipolazione genetica»), consultabile anche sul sito globalresearch.ca.



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