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Santa Klaus è la brutta copia del vescovo di Mira che portava i doni ai bambini. E anche la Befana nasce dal cristianesimo.



Santa Klaus in realtà è San Nicola. Cattolicesimo in pillole: San Nicola fu un gran vescovo, in un periodo teologicamente difficilissimo, a causa dell'eresia ariana. Usava tutta la sua forza e il suo denaro per aiutare le famiglie povere: dava lui la dote alle fanciulle indigenti perché potessero sposarsi e avere dei bimbi e dove c'erano bimbi poveri lasciava sulle soglie dei panieri pieni di ogni ben di Dio. Assurto quindi a patrono dei bimbi, San Nicola nella leggenda porta i giocattoli.


 

È stata la Coca Cola a trasformarlo in un vecchio grasso, icona del consumismo

 

Lasciato il Mediterraneo per le gelide lande dell'Europa del Nord, San Nicola si è ammantato di pelli di animale e ha perso qualche lettera. Saint Nikolaus arrivava a portare i doni ai bimbi ma i bimbi non sapevano pronunciare il suo nome, storpiavano tutto: la «n», stufa di esser presa a calci dalla «t», se ne andò per i fatti suoi e il nome divenne Santa Klaus. Aspettate, Santa Klaus invece di Gesù bambino? Tanto è di Cristo pure lui. Avete l'albero di Natale invece del presepe per motivi di laicità? E Natale secondo voi che vuol dire? Che è nato Qualcuno. Niente da fare, laici, siete circondati. Il rustico Santa Klaus coperto di pelli di animali fu poi riconvertito in una pubblicità della Coca Cola in un signore sovrappeso vestito di rosso. Personalmente preferisco l'iconografia di San Nicola che prende a ceffoni Ario al concilio di Nicea: chi ama combatte.


Stesso discorso per l'Epifania. Festeggiate la Befana invece dei Magi? Cattolica anche la Befana. In Francia per l'Epifania si prepara la Galletta dei tre re. È un dolce che contiene una fava: chi la trova sarà il re della festa. La galletta dei re, che ha la forma di una ciambella appiattita, esiste in tre versioni:

  1. Vuota: spartana, semplice e sobria.

  2. Imbottita di onesta crema pasticciera

  3. Frangipane: la farcitura si fa con la crema frangipane ottenuta sbattendo insieme uova, burro, zucchero e polvere di mandorle. È di gran lunga la migliore e credo che faccia 1.200 calorie a porzione (a tenersi bassi): è roba per gente forte, che non passa il tempo sulla bilancia.

La galletta dei re ricorda impropriamente i Magi, impropriamente perché che fossero re è una tradizione popolare. Nel racconto canonico sono figure ben più alte di un re, personaggio politico che potrebbe aver condannato a morte qualcuno. Coloro che si rendono conto di quello che è successo invece sono Magi, ovvero maghi.

Ne parla il Vangelo di Matteo: non erano re e non è nemmeno detto che fossero tre. «Gesù nacque a Betlemme di Giudea al tempo di re Erode. Alcuni Magi giunsero da Oriente a Gerusalemme e domandavano: “Dov'è il re dei Giudei che è nato? Abbiamo visto sorgere la sua stella e siamo venuti per adorarlo“». Arrivano, coi piedi per terra e lo sguardo al cielo. Matteo dice «alcuni». Portano tre doni da cui si può arbitrariamente dedurre che siano tre, e che portino un dono ciascuno, ma è discutibile. Il numero tre è riportato in un Vangelo apocrifo, armeno e tardivo. Nel V secolo papa Leone decise che i re fossero tre, dando al numero l'intrpretazione simbolica dei tre continenti conosciuti al tempo: l'Africa rappresentata da Baldassarre, l'Asia da Melchiorre e l'Europa da Gaspare. È lo straordinario antirazzismo della Chiesa cattolica, mentre i colti illuministi e post illuministi, da Volatire fino alla sciagura del darwinismo sociale, nel razzismo hanno sguazzato e il mondo si è riempito di dolore e di sangue.


 

I Magi sono la sapienza del mondo che riconosce Gesù

 

I Magi portano tre doni: l'incenso per la divinità che si manifesta, la mirra per la sacralità, e l'oro, perché l'oro è lecito. La ricchezza è lecita perché permette il bene. L'oro diventa una maledizione quando è un fine, non quando è un mezzo per comprare il grano, la lana, il formaggio, la legna da ardere o le scarpine per i bambini.

Di sicuro sono Magi, non re. Sono cioè maghi, persone in grado di muoversi in una dimensione spirituale, la parte più alta di una cultura, quella dove possono avvenire i miracoli perché la materia può essere trascesa. La loro magia è una dimensione dello spirito, sono quindi in grado di sapere la grandezza di quello che sta succedendo: che la legge data da Dio al popolo ebraico può diventare universale, appartenere a tutta l'umanità; che un pezzo dopo l'altro abbandonerà il cannibalismo, razzismo e sacrificio umano. E l'umanità potrà diventare una.

Quindi vanno a rendere omaggio e portano in dono oro, perché la ricchezza e la bellezza sono il destino dell'umanità: l'oro, duttile, perfetto, è il metallo della moneta e dl gioiello. Che l'umanità viva nell'abbondanza perché è uno dei suoi destini.

Incenso per la divinità, la divinità del bambino e la divinità di tutti, la divinità di ogni creatura umana. Che l'umanità non dimentichi mai la spiritualità, il rapporto con Dio o sarà condannata alla depressione, alla disperazione, all'angoscia senza fine, al suicidio, che nelle statistiche si impenna tra Natale e l'Epifania, quando il senso di ciò che si è perso diventa insopportabile.

Mirra, olio denso e profumato, una delle sostanze alchemiche che garantiva l'imbalsamazione, ma anche piena di virtù curative: la conoscenza della materia. Vanno a rendere omaggio a Cristo che si manifesta, i pastori semplici, che lo capiscono con il cuore, e i grandi saggi che lo capiscono con la mente e la conoscenza. I tre saggi Magi quando vedono la stella non dicono fesserie, “tanto tutte le religioni si equivalgono“, “possiamo fare cose utili anche qui“, ma si alzano e attraversano il mondo perché Dio è uno, la verità è una, e si attraversa il mondo per trovarla.

I Magi (ricchezza e conoscenza) si incontrano con i pastori (semplicità ed essenzialità). L'intelligenza logica e razionale, e quella emotiva intuitiva e piena delle potenzialità «infantili», arrivano alla verità per vie diverse.

Nella versione popolare russa i Magi erano quattro e il quarto veniva appunto dalla Russia. Si era perso per strada per via della neve. Portava giocattoli e quindi, non avendo raggiunto Betlemme, li distribuì ai bambini che incontrò sulla strada, diventando la versione locale di Babbo Natale.


Attorno a Roma si racconta che i Magi si fermarono come ultima tappa nella povera casa di una vecchina e mostrarono ai suoi occhi incantati la stella. Era una donna sola, che non aveva avuto figli e una luce piena di tenerezza la riempì ad ascoltare di quel bimbo. Anche lei volle portare un dono, dei dolcetti con l'uva passa e il miele. Era una vecchina molto povera, dovette fare il giro di tutti i vicini per chiedere a chi un po' di legna, a chi un po' di farina. Quando alla fine i dolcetti furono pronti, i Magi erano già da tempo partiti e la stella che li guidava era già oltre l'orizzonte. La vecchina cercò di trovare il bimbo ma perse la via, e d'allora regala i suoi dolcini ai bimbi che trova sulla sua strada. Essendo Epifania una parola troppo difficile, la «p» è sparita. Si è aggiunta una «b» ed è nata la Befana.



(La Verità, Domenica 9 dicembre 2018)




Nell’anno decimoquinto dell’impero di Tiberio Cesare, essendo governatore della Giudea Ponzio Pilato, Erode tetrarca della Galilea, e Filippo, suo fratello, tetrarca dell’Iturea e della regione Traconítide, e Lisània tetrarca di Abilene, essendo sommi sacerdoti Anna e Càifa: la parola del Signore venne nel deserto su Giovanni, figlio di Zaccaria. E costui andò nelle terre intorno al Giordano, predicando il battesimo di penitenza in remissione dei peccati, come sta scritto nel libro del profeta Isaia: Voce di uno che grida nel deserto: preparate la via del Signore: appianate i suoi sentieri: saranno colmate tutte le valli, e i monti e i colli saranno abbassati: i sentieri tortuosi saranno rettificati e quelli scabrosi appianati: e ogni uomo vedrà la salvezza di Dio (Luca 3:1-6)




[...] sappiamo bene che il battesimo di Giovanni Battista non libera dai peccati, è il battesimo di Cristo che libera dal peccato, perché applica i frutti della sua passione e morte. Comunque, Giovanni Battista predica un battesimo di penitenza in vista della remissione dei peccati. Questo dà la chiave interpretativa di tutto. Perché viene il Messia? Perché Gesù Cristo si fa uomo? Per compiere la remissione dei peccati. Ma attenti, non è “un due tre liberi tutti...“. Il precursore predica un battesimo di penitenza... cioè: la questione del peccato è una questione seria. Il dramma di oggi è che si vuole fare un cristianesimo dove il peccato non è più una questione seria, questo è il male, il marcio. Se il peccato non è una questione seria, questo cambiamento di mentalità cambia anche la venuta di Gesù Cristo, cosa viene a fare il Signore? A “dirci che ci è vicino...“. Ma non era necessario fare tutto quello che ha fatto per dirci che ci era vicino. Il Signore fa tutto quello che fa fino alla fine, fino alla discesa agli inferi, perché è assolutamente necessario che noi siamo liberati dal peccato. Ecco perché il precursore non fa grandi annunci, ma predica un battesimo di penitenza. Avete in mente in Battista: Razza di vipere!, volete prendervi gioco del Signore. Non è un teatrino per dire “guarda com'eran severi nell'Antico Testamento, poi arriva Gesù e tutto finisce e c'è finalmente la bontà di Dio”. No. Questa predicazione del battesimo di penitenza ci dice esattamente cosa viene a fare Gesù Cristo nel suo Natale e qual è l'operazione che deve compiere in noi. Allora io mi domando, e domando a voi: chi domanda ancora esplicitamente, fuori dai denti, perdono per i propri peccati in modo serio? Noi siamo abituati che il peccato è la nostra condizione umana, che siamo dei miseri, queste cose le diciamo con molta poesia... ma il problema del peccato è un altro: che il peccato è una colpa tua. Noi nel Confiteor diciamo mea culpa, mia colpa, non è la “condizione umana”, della “condizione umana” noi non abbiamo colpa.

È questo che non c'è più. È questo che cambia tutta la preghiera cristiana, che la rende illanguidita e quasi impotente di fronte al male del mondo, è questo che cambia il Natale e lo fa diventare non più cristiano. Anche quando si fa il Presepe. Se non si guarda quel bambino nel Presepe invocando il perdono per le proprie colpe, non si fa Natale. Mutando la questione del peccato e facendola passare come miseria umana, come condizione umana, si fa nascere un nuovo cristianesimo e una nuova chiesa che nulla hanno a che fare con la Chiesa cattolica e con il cristianesimo di Gesù Cristo... si può tenere il Messia, si può tenere il Natale, si può tenere la Pasqua, ma se viene per modo di dire a perdonare i miei peccati "ma io non ho colpa”... mea culpa, mia colpa, mea maxima culpa, mia grandissima colpa... il senso del peccato... ecco perché prima che arrivi Gesù Cristo è necessario che sia predicato il battesimo di penitenza... se no non si capisce, sembra un teatrino di Giovanni Battista, che promette una cosa che non dà... eh no, prepara i cuori... alla penitenza... e questa resta la condizione di tutta la vita. Siccome è necessario che il Signore venga nell'avvento continuo della sua grazia per tutto il cammino del nostro pellegrinaggio terreno è necessario che noi abbiamo il senso della penitenza... domandando perdono per i nostri peccati, ma sul serio...


La preghiera cristiana, se non c'è il senso del peccato – proprio, non peccato in generale –, se non c'è questo cambia la preghiera.

Pensate al lavoro. Perché uno deve lavorare? In riparazione delle proprie colpe. E chi lo dice più questo? La fatica del lavoro il Signore l'ha data in vista della riparazione dei peccati, è conseguenza del peccato originale. L'offerta della sofferenza fisica o morale, l'offerta della fatica del lavoro, non han più senso se non c'è il senso del proprio peccato... cambia tutto, cambia il Natale, cambia il cristianesimo, sfigurata la Chiesa, sfigurata la nostra vita.

Allora teniamo caro Giovanni Battista e il suo battesimo di penitenza in vista della remissione dei peccati, e prepariamoci così con lui al Santo Natale.


Sia lodato Gesù Cristo.




Il Giornale è venuto in possesso di «un documento per circolazione interna» contenente «nuove linee guida per una “comunicazione inclusiva“» dell'Unione Europea che «hanno dell'incredibile». Il documento, chiamato Union of Equality, contiene le solite follie a cui la politically correctness dei cosiddetti liberal e "democratici" americani ci ha abituato ormai da un ventennio e che consistono essenzialmente nell'utilizzo delle vittime (minoranze etniche, religiose, sessuali) come armi di nuova divisione in vista di un definitivo livellamento e persecuzione dell'uomo – per chi ha letto René Girard: nell'uso del cristianesimo in senso anti-cristiano, che è poi l'ultima carta spendibile dal Nemico nella storia della Salvezza. Lo avevamo già visto con la follia della sostituzione di genitore1–genitore2 a Padre–Madre (abolita da Salvini ma reintrodotta dalla Lamorgese) nella carta d'identità, con l'abominio della compravendita di un essere umano, l'utero in affitto, ipocritamente ridenominata “gravidanza per altri” e con la vera e propria isteria indifferenziatrice dell'utilizzo della x (*) al posto del genere sessuale – singolare compresenza di super-differenze e super-indifferenziazione (Union of Equality) che coincide a ben vedere proprio con quel Great Reset (grande azzeramento) in cui ci si danno così gran pena di introdurci. Ettore Gotti Tedeschi ha fatto notare come il Great Reset altro non sia che il “vecchio“ Nuovo ordine mondiale di Kissinger di fine '60 primi '70 rivisto, emendato e opportunamente corretto per il nuovo millennio. Immutate però, in tali progetti, restano l'odio e la persecuzione del Bambino, di Maria SS e della Sacra Famiglia (come si vede l'anti-modello di riferimento di tutti gli azzeramenti suddetti) che li accomuna alle vecchie dittature socialiste – la cancellazione del Natale (una «schifosa festa borghese»), sostituita dai bolscevichi con la festa dell'Inverno, dovrà dirsi per l'Ue “periodo delle vacanze”, e addirittura il divieto di utilizzo dei nomi cristiani (al posto di “Maria e Giovanni” si dovrà dire “Malika e Giulio“) ecc.

Riportiamo di seguito un istruttivo articolo del 27 dicembre scorso di Francesco Agnoli, Il Natale dei dittatori, sulle inquietanti, ed “eternamente ritornanti“ analogie tra passato e presente, come se il nostro tempo sempre di nuovo ci mettesse di fronte alla medesima scena dell'Apocalisse di Giovanni: “E Il drago si pose davanti alla donna che stava per partorire per divorare il bambino appena nato... ” (Ap 12,4).



 

Il Natale dei dittatori

Il Settimanale di Padre Pio, n° 49, 27 dicembre 2020


I più grandi nemici dell’uomo e della civiltà si sono adoperati per depotenziare la festa del Natale, sostituendola con festività naturali e riti neopagani. Feroci dittatori, temevano il Bambino di Betlemme!

Il Natale è una di quelle feste che hanno civilizzato l’umanità, insegnando il rispetto per la vita, per i deboli, gli innocenti, la sacralità della famiglia... Per questo sono stati i peggiori nemici della civiltà, a cercare di abbatterlo. I primi a sradicare le feste religiose, il Natale e la Pasqua, furono i comunisti. Francine-Dominique Liechtenhan, nel suo Il laboratorio del gulag (Lindau, Torino, 2009), ricorda gli sforzi del PCUS per spingere i cittadini a festeggiare l’inverno al posto del Natale, e la rinascita primaverile della natura al posto della Pasqua. «Nei tempi antichi, quando si celebrava il culto delle piante e degli animali ignorando l’ipocrisia della Chiesa – recitava un testo della propaganda –, l’umanità festeggiava quel giorno e celebrava ingenuamente le forze della natura». Per i comunisti il Natale era una «schifosa festa borghese», che venne abolita per molti anni, e poi sostituita, a partire dal 1935, con il Capodanno, cioè con una ricorrenza laica. Rimaneva il vecchio albero di Natale, ma con un significato del tutto nuovo: nessun riferimento a Gesù, ad un bimbo in fasce, ma palline con la faccia dei “salvatori” Lenin e Stalin, stelle dell’Armata Rossa, statuette di uomini politici o di elementi naturali (limoni, pannocchie...). Nella Germania comunista si insegnava ai bambini: «Lenin ha spiegato che quest’epoca in cui non esisteranno più le lacrime ha un nome: non si chiama Natale né primavera. Tenete a mente questa parola difficile: si chiama comunismo» (1). Anche i nazisti preferivano le festività naturali a quelle religiose. Come noto Aldolf Hitler riteneva il Cristianesimo «un’invenzione di cervelli malati», «fandonie», «superstizioni» buone per le contadine, gli operai, ma non per le persone colte ed intelligenti (2). Il Führer disprezzava profondamente l’idea dell’Incarnazione, essendo convinto negatore di ogni dimensione trascendente: ad essa preferiva la reincarnazione; al Natale la festa del solstizio. Per questo si adoperò per depotenziare la festa, in parte sostituendola con riti neopagani, legati alla “rinascita del sole”, in parte mutandone il significato, decristianizzandola. Il tutto all’interno del tentativo di «sostituire il calendario nazista all’anno cristiano», creando una quantità di cerimonie che si svolgevano, di solito, la domenica mattina, «con l’intenzione di distogliere la gente dall’andare in chiesa» (3). Sotto il nazismo, ricorda lo storico Paul Ginsborg, in Famiglia Novecento (Einaudi, Torino 2013), «le famiglie furono incoraggiate ad accogliere nelle loro case i simboli del regime, addobbando l’albero di Natale con bandierine naziste ed esponendo la foto di Hitler». L’albero di Natale andava bene: bisognava però scollegarlo dalla Tradizione cristiana, e riagganciarlo a quella pagana. Per questo era chiamato “albero di luce” o “albero di Yule” ed era sormontato dalla svastica, simbolo solare, e non dalla croce. Il Natale stesso veniva chiamato più volentieri Rauhnacht (“L’aspra notte”) e il canto Astro del ciel venne riscritto, sostituendo il Salvatore Gesù con il salvatore Hitler. Persino Babbo Natale, e cioè san Nicola da Bari, venne restituito alla paganità: venne trasformato in Odino. Anche Benito Mussolini, che pure non arrivò mai ad imporre agli italiani la sua visione, aveva una certa avversione per il Natale. Se ne trova traccia in vari articoli dell’epoca in cui era socialista e direttore de l’Avanti («Il Natale cattolico è una mistificazione. Cristo è morto e la sua dottrina agonizza»), nel suo Diario di guerra, ma anche più tardi, nella stagione del fascismo. Ne abbiamo testimonianza, per esempio, nelle memorie di Galeazzo Ciano, così come in quelle di Quinto Navarra, che nel suo Memorie del cameriere di Mussolini (Longanesi, Milano 1946) scrive: «Mussolini odiava la domenica e le altre feste comandate dell’anno. Starace, che conosceva questa antipatia di Mussolini, fece ufficialmente vietare le celebrazioni dell’ultimo dell’anno e l’uso tradizionale dell’albero di Natale. Il Natale riconosciuto divenne soltanto il Natale di Roma e l’inizio dell’anno da festeggiare non era il 1° gennaio, ma il 28 ottobre, principio dell’anno fascista». Note 1) Citato da E. Neubert, I crimini politici nella RDT, in Il Libro nero del comunismo europeo, Mondadori, Milano 2006, p. 381. 2) Hitler, Conversazioni a tavola, Goriziana, Gorizia 2010. 3) George Mosse, La nazionalizzazione delle masse. Simbolismo politico e movimenti di massa in Germania dalle guerre napoleoniche al Terzo Reich, Il Mulino, Bologna 1975, pp. 92, 104, 230.







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