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[...] Fui incaricato dal mio Arcivescovo di cacciare il demonio dal corpo di una ragazza che era tormentata da qualche tempo. Sottoposta più volte a visite da parte di medici specialisti, era stata trovata perfettamente sana. Quella ragazza aveva una istruzione piuttosto bassa, avendo frequentato soltanto le scuole elementari.

Nonostante questo, appena il demonio entrava in lei, riusciva a comprendere e ad esprimersi in lingue classiche, leggeva nel pensiero dei presenti e vari fenomeni strani avvenivano nella stanza, quali: rottura di vetri, forti rumori alle porte, movimento concitato di un tavolo isolato, oggetti che uscivano da soli da un cesto e cadevano sul pavimento, ecc...

All'esorcismo assistevano parecchie persone, tra cui un altro sacerdote e un professore di storia e di filosofia che registrava tutto per un'eventuale pubblicazione. Il demonio, costretto, manifestò il suo nome e rispose a diverse domande.

- Mi chiamo Melid!... Mi trovo nel corpo di questa ragazza e non l'abbandonerò fino a quando non accetterà di fare quello che voglio io! - Spiegati meglio. - Io sono il demonio dell'impurità e tormenterò questa ragazza fino a quando non sarà diventata impura come la desidero io. - Nel nome di Dio, dimmi: all'inferno c'è gente a motivo di questo peccato? - Tutti quelli che sono là dentro, nessuno escluso, ci sono con questo peccato o anche solo per questo peccato! Gli rivolsi ancora tante altre domande:

- Prima di essere un demonio, chi eri? - Ero un cherubino... un alto ufficiale della Corte Celeste.

- Che peccato avete commesso voi angeli in Cielo? - Non doveva farsi uomo!... Lui, l'Altissimo, umiliarsi così... non doveva farlo! - Ma non sapevate che ribellandovi a Dio sareste sprofondati all'inferno? - Lui ci disse che ci avrebbe messi alla prova, ma non che ci avrebbe puniti così... L'inferno!... L'inferno!... L'inferno!... Voi non potete comprendere che significhi il fuoco eterno!

Pronunciava queste parole con rabbia furibonda e con una tremenda disperazione.



(Don Giuseppe Tomaselli, L'inferno c'è, cap. I)


Approfittiamo dell'inaugurazione – domani 9 gennaio nella chiesa di Sant’Ambrogio a Lugano, di una pala d’altare di Giovanni Gasparro raffigurante Sant’Antonio da Padova – per due brevi note sull'arte del giovane pittore barese.


In hoc signo vinces – Il sogno di Costantino (2015)

Definito da Vittorio Sgarbi «l’ultimo caravaggesco», Giovanni Gasparro (Bari, 1983) si è dichiarato fin da subito un discendente della stagione artistica della Controriforma cattolica, e non solo per il connotato tipicamente “devozionale” che assume la luce in Caravaggio e nella sua scuola, luce «che in qualche modo illumina in maniera molto netta quasi a voler evidenziare le figure, dando loro un peso più marcato e aiutando i fedeli anche nella devozione», ma anche per motivazioni letteralmente teologiche che ne richiamano di identiche, ad esempio, nella teoria letteraria di Flannery O'Connor («la narrativa è più che mai un’arte basata sull’incarnazione […] noi siamo fatti di polvere, dunque se disdegnate d’impolverarvi non dovreste tentare di scrivere narrativa») e che vedono nella materia sensibile e nella carne in particolare – prediletta, come noto, da Nostro Signore con l'Incarnazione, in vista di una Sua eterna comunione con noi – un punto d'avvio inaggirabile per poterlo conoscere: «Mi rifaccio alla grande tradizione tomista», dice Gasparro, «che ha forgiato la teologia cattolica, quindi al fatto che in maniera inevitabile attraverso i sensi l’uomo possa accedere alla conoscenza del divino e accettarla nelle verità di fede.Questa scelta artistica la Chiesa la compie a partire dalla Controriforma: mostrare le figure in


(foto dal profilo Facebook di Giovanni Gasparro)

maniera realistica, dunque in modo figurativo», prendendo così le distanze dal vicolo cieco dell'astrattismo e dell'informale, foraggiati non a caso in tempi di guerra fredda in funzione anti-sovietica (il realismo dell'homo-faber proletario infatti, benché unicamente materia, conservava ancora i tratti dell'uomo, ossia dell'“immagine di Dio”), concludendo dunque il pittore: «questo è l’unico modo in cui il fedele può conoscere e capire le figure dell’arte sacra e questa è la tradizione pittorica che rende maggiormente comprensibile il dogma dell’incarnazione di Cristo in un corpo reale, pur mantenendo la natura divina». Dunque, l'obbligo della forma umana.


San Sebastiano curato da Sant'Irene Olio su tela, 205 X 165 cm, 2013

Beato Angelico, Cristo schernito (Firenze, convento di San Marco, 1438-1440)

Un'ultima curiosità riguarda il singolare utilizzo nei suoi dipinti, a volte con effetto inquietante, di più mani che appaiono dal nulla e che lo stesso Gasparro ha spiegato come un'eredità della pittura quattrocentesca: «lo stesso soggetto mi interessa indagarlo nei suoi aspetti più disparati. Anche in questo ho trovato delle rispondenze iconografiche con opere del passato, soprattutto di area fiorentina e fiamminga del '400, perché si dipingevano queste immagini della passione di Cristo con queste mani svincolate dai corpi che reggevano gli strumenti della passione. Mi è servito come pretesto iconografico per ricavarlo nella contemporaneità».




Torculus Christi. Torchio mistico con San Gabriele dell'Addolorata e Santa Gemma Galgani (dettaglio), 2013




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