- Massimo Rodriguez
- 27 ott 2021
- Tempo di lettura: 2 min
Iersera ho terminato questo libro, dopo averlo letto a un ritmo dalla non consueta lentezza, almeno per me, dato che sin dalle prime pagine ci si accorge che non è un testo meritevole né di uno sguardo frettoloso e superficiale né di una lettura bulimica, da notte prima degli esami, ma che ha bisogno di essere gustato, assaporato - come, d'altronde, succede di regola con i testi veramente buoni. È solo quando l'ho chiuso, però, che ho capito di aver appena terminato, forse, uno dei migliori saggi filosofici in lingua italiana di questi primi vent'anni del secolo. Anzi, più che di filosofia strictu sensu io non esiterei a parlare di metafisica;

e quando si ardisce tirar in ballo la "philosophia prima", la mente di chi ama un certo tipo di letteratura non può non correre a un autore - da sempre a me caro, en passant - quale il torinese Elémire Zolla, e nella fattispecie al suo capolavoro del 1971, Che cos'è la Tradizione, e più in dettaglio al quarto capitolo della Seconda parte, "Che cos'è il satanismo", cui, senza tema di esagerazione, Filosofia del diavolo può essere tranquillamente accostato, sia per il valore intellettuale e la qualità di scrittura che per i temi affrontati. Appunto: di cosa tratta questo libro? L'avvio del medesimo è una recensione, anzi una replica puntuale (e puntuta) a una vecchia recensione del '79, a firma del marxista tedesco Franz Fuhmann (1922-1984), di una delle novelle fantastiche di Ernst T. A. Hoffmann, Ignazio Denner [1814]. Da qui, lo sguardo dell'autore s'inoltra nel background hegeliano dello stesso Fuhmann per azzardare una critica originalissima a una delle più note (e discusse) "figure" della Fenomenologia dello spirito, la dialettica servo-padrone, cui - grazie anche agli studi sulla nascita delle società arcaiche del filosofo e antropologo francese René Girard e alle intuizioni di uno dei principali filosofi cattolici del secolo scorso, Jacques Maritain - viene impressa una torsione teologica che ne mette in crisi la supposta essenza logico-razionale e ne smaschera, anzi, il retroterra speculativo impregnato di occultismo, esoterismo, in ultimo satanismo, eredità culturale pesantissima destinata a gettare una luce più che sinistra sulla natura della volontà di potenza di Nietzsche e le cui radici affonderebbero niente meno che nel primato razionale del sacro e indiscutibile "cogito" cartesiano, sul quale poggia la stessa dialettica hegeliana e, com'è noto, l'impalcatura tutta della moderna filosofia post-cristiana. L'opera, dunque, si colloca esplicitamente sulla falsariga - tanto da potersi ritenere un seguito ideale, ma con un quid di ulteriore ardimento! - del capolavoro del 2001 firmato da Glenn Alexander Magee, Hegel e la tradizione ermetica, che ha rivoluzionato gli studi sul filosofo tedesco, non solo nel mondo anglosassone, ma di cui ben poco si è parlato in Italia a causa degli stranoti condizionamenti politico-culturali su cui non c'è né il tempo né lo spazio - né, tanto meno, la voglia - di soffermarsi.
Nell'attesa di recensirlo come Dio comanda, in un futuro che mi auguro non troppo remoto, posso soltanto rivolgere un grazie al suo autore, Roberto Bigini, per aver scritto uno dei libri non solo più belli ma più fondamentalmente necessari degli ultimi tempi - una qualità che, in tempi di sovrapproduzione editoriale e connessa perdita del senso critico, oltre che estetico, davvero non può riconoscersi a cuor leggero.
18 Gennaio 2019