- Roberto Bigini
- 16 nov 2021
- Tempo di lettura: 2 min


In una recente intervista di Byoblu a Cacciari il noto filosofo progressista, richiamandosi alla fondazione della scienza moderna in Cartesio, ne rievoca il principio di verità – il "dubito ergo cogito" – opponendolo allo scientismo del tecnoregime odierno il quale, dice a ragione, è colpevole portatore di "una visione certa e d'insieme delle essenze"... visione, in quanto assoluta dai dati reali, senza dubbio a-scientifica.
Cacciari intende ovviamente il dubbio dell'experimentum e cioè delle scienze sperimentali, eppure il riferimento a Cartesio quale suo fondatore giunge entro una certa dissonanza, e non solo perché, come ha scritto il filosofo della scienza Paolo Musso, «Cartesio non fece nessuna scoperta scientifica e non capì nulla del metodo di Galileo [che quel metodo invece lo attuò, ndc]», ma soprattutto per le implicazioni, per così dire, "esoterico"-teologiche implicate nella grande rifondazione cartesiana del pensiero, nonché della "scienza", moderne (implicazioni ancora poco conosciute e frequentate, ma trattate in modo magistrale, ad esempio, da Glenn Alexander Magee nel suo Hegel e la tradizione ermetica del 2001).
Infatti secondo un noto studio di stampo tomista di Maritain (Cartesio, ossia l'incarnazione dell'angelo), una "visione certa e d'insieme delle essenze" sarebbe malcelata all'origine della filosofia moderna e proprio nel Cogito cartesiano, il cui peccato originale - peccato cosiddetto di "angelismo" - farebbe slittare il funzionamento stesso del pensiero, attraverso una specie di “training autogeno“, l'atto di fede del penso dunque sono, anziché su un fondamento certo, all'interno di un modus pensandi di tipo angelico (qualcosa di umanamente indebito e inattuabile) portando il Cogito cartesiano, così come la mens di ogni creatura angelica, a disporre in anticipo, non però per natura né per grazia di Dio, della visione di tutte le essenze dispiegate (estensione, pensiero ecc) avanti a "sé" quale fondamento delle stesse. E un pensiero che tutto riferisce tautologicamente a sé - "auto-fondandosi" in un solipsismo spirituale sinistramente allergico a tutto ciò che è carne e incarnazione, dunque dato reale ed experimentum - non vale, essenzialmente, di più di un pensiero che, pur senza dubitare, ha una medesima (e altrettanto irrealistica) visione d'insieme, ancorché positiva e incarnata, e in cui il positivo (senza nemmeno fare la fatica di presentarsi come “contraddizione dissolta“) è ingenua posizione d'essere.
Visto da qui dunque, il dubbio iperbolico cartesiano, unitamente al teatro delle sue negazioni e contraddizioni più o meno dissolte, più che a principio scientifico, equivarrebbero essenzialmente alla finzione uguale e opposta a una visione d'insieme ingenuamente positiva ma altrettanto priva di fondamento, cioè di un pensiero veramente umano che è stato in grado di pensarla.
Così se per il dubbio e le scienze sperimentali ci ostiniamo a guardare a Cartesio, ci muoveremo e ci ritroveremo sempre all'interno del circolo – non virtuoso – dell'“idea di ragione”, un pensiero che pretende di auto-fondarsi prima e al di qua dei dati reali, ossia della vera experientia (l'experimentum) scientifica. Ma non è a questo che pensava Cacciari.